ph carlozanzi
Mancava l'aria ieri sera al Teatro Santuccio di Varese, vuoi perché era stracolmo, vuoi per il piacere del canto regalato da tre cori, riuniti per fare memoria di Lino Conti, amante della musica corale. Insieme ai più che rodati e noti Coro Sette Laghi (in foto), diretto da Giacomo Mezzalira, e Coro Val Tinella, diretto da Sergio Bianchi, anche il Coro La Madonina-Lino Conti, composto da studenti universitari, coro nato dopo l'incontro con Lino, nel 2011, all'Istituto dei Tumori di Milano. Fu lì che Lino insegnò ad alcuni studenti di medicina il canto 'La Madonina', e lì nacque la scintilla della passione musicale. Chi semina raccoglie, caro Lino.
lunedì 29 febbraio 2016
Ritorno
ph carlozanzi
Ieri sera sono tornato alla Vecchia Varese, per il concerto degli 'Amici di Mock': Cecilia, Annina, Stefano e Franco. Tornavo dopo il luglio 2015, quando in questi locali Marco ha tenuto uno degli ultimi suoi concerti. Sentimenti contrastanti per me: riconoscenza per Marco e questi amici, malinconia per la sua mancanza, piacere per la musica ma anche nostalgia.
Ieri sera sono tornato alla Vecchia Varese, per il concerto degli 'Amici di Mock': Cecilia, Annina, Stefano e Franco. Tornavo dopo il luglio 2015, quando in questi locali Marco ha tenuto uno degli ultimi suoi concerti. Sentimenti contrastanti per me: riconoscenza per Marco e questi amici, malinconia per la sua mancanza, piacere per la musica ma anche nostalgia.
domenica 28 febbraio 2016
Manital Torino-Openjobmetis Varese: 72-84
ph carlozanzi
Varese torna alla vittoria fuori casa, e contro una diretta avversaria per la salvezza: Torino. Sempre avanti (14-28; 39-44; 56-66) sino al finale, 72-84. SuperKuksiks, un numero impressionante di triple, una percentuale fantastica. Finalmente una boccata d'ossigeno per per il basket bosino.
Forza Varese!
Varese torna alla vittoria fuori casa, e contro una diretta avversaria per la salvezza: Torino. Sempre avanti (14-28; 39-44; 56-66) sino al finale, 72-84. SuperKuksiks, un numero impressionante di triple, una percentuale fantastica. Finalmente una boccata d'ossigeno per per il basket bosino.
Forza Varese!
La mia scrittura - 45
Certamente
galvanizzato dal premio trevigiano, davo inizio al nuovo anno con qualche
ambizione. Da tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto collaborare con lo storico
quotidiano varesino, ‘La Prealpina’, seguendo il buon esempio dell’amico Riccardo
Prando, che lavorava sia al ‘Luce’ che, da alcuni anni ormai, alla ‘Buciarda’,
come i leghisti definivano il quotidiano di via Tamagno. Così, in quell’inizio
di 1996, come avevo fatto per il ‘Luce’ sette anni prima, senza nessuna
raccomandazione se non il mio nome, che cominciava a circolare un po’ almeno a
Varese, bussai alla porta della Prealpina. Non ricordo chi fosse il direttore
allora, ma non andai da lui. In alto alle scale, sulla sinistra, c’erano due
uffici. Nel primo lavorava Max Lodi, nel secondo Fausto Bonoldi. Si girava a
destra e c’era la redazione; le pagine di Varese città erano curate da Gianni
Spartà. Mi fermai alla prima porta, dove venni accolto da un silenzioso e
accigliato Max Lodi. Il figlio dello storico direttore della Prealpina, Mario
Lodi, che mi conosceva di nome e anche perché, per il tramite di Sul Sagrato,
ero in confidenza con suo padre (santambrogino doc come il mio), non mi accolse
certo a braccia aperte. Non era nel suo
stile. Né mi incoraggiò nella mia decisione. Mi ascoltò e disse che si sarebbe
fatto sentire, nel caso. E in effetti mi richiamò, se non erro avrei dovuto
scrivere una recensione su un libro di narrativa, per la pagina culturale della
domenica. Incoraggiato da quella proposta, lessi il libro, stesi la recensione
e azzardai io una proposta di pezzo, un’intervista al poeta belfortese Arnaldo
Bianchi. Ci eravamo conosciuto come giurati, proprio quell’anno, del Premio di
poesia Eraldo Benvenuti, mi piacevano le sue poesie. Lodi acconsentì e così,
una ventosa e gelida serata di fine inverno, bussai alla porta del poeta
Bianchi, lo intervistai, feci anche le foto e scrissi quello che considero il
mio primo pezzo sul quotidiano varesino, uscito giovedì 28 marzo 1996. Pezzo,
che ovviamente, ancora conservo nel libro di Arnaldo, la raccolta poetica ‘Paesaggi
inattesi’. Senza voler sminuire ‘Luce’, uscire su ‘La Prealpina’ era una
promozione, un passaggio, un ‘successo’. Sebbene semplice collaboratore (pagato
una miseria, va scritto) ero orgoglioso.
45-continua
sabato 27 febbraio 2016
La mia scrittura - 44
Il
1995, che era iniziato con la vittoria al concorso Poeta Bosino, terminava con
una medaglia di bronzo, che mi rincuorò non poco, appianando altre delusioni.
Ho sempre pensato che partecipare a concorsi, premi letterari ha certamente il
rischio della delusione (molto probabile, almeno in base alla mia esperienza),
ma in caso di successo regala carica. Avevo saputo della prima edizione di un
premio letterario nazionale per racconti, nato per festeggiare i 40 anni di
fondazione della Fameja Alpina di Treviso: ‘Parole attorno al fuoco’. Si
trattava di scrivere un racconto, seguendo la traccia: Storie di Alpini in
guerra e pace. Andavo a nozze, essendo un alpino. Scrissi il racconto ‘A
Flavia’. Arrivò il telegramma: terzo classificato. Mi pagavano viaggio e
albergo, due giorni (5-6 gennaio 1996) ad Arcade, in provincia di Treviso, per
ritirare il premio (denaro e coppa di cristallo) ed assistere al panevìn, così
si chiama il falò da quelle parti, come il nostro falò alla Motta, per Sant’Antonio.
Ricordo emozione, gioia e un gran freddo: nevicava. Il fuoco del panevìn sulla
faccia, la neve sul cappello d’alpino, strette di mano, e un incoraggiamento
implicito per la mia narrativa: non dovevo mollare. Ricordo, per dovere di
cronaca, che ho partecipato un altro paio di volte (una senz’altro) al premio,
senza ripetere il podio. Poi hanno messo una tassa di partecipazione; sono
contrario alla tassa per partecipare a questi concorsi, quindi non inviai più
nulla. Il Premio si rinnova ancora, ed è considerato un premio nazionale di
ottimo livello.
44-continua
Festa di laurea
Ieri sera ho visto su youtube un bel film di Pupi Avati: 'Festa di laurea'. Un grande Carlo Delle Piane, la falsità del mondo borghese contro la sincera spontaneità del mondo meno abbiente, un amore non corrisposto, un amore immaginato capace di resistere dieci anni e di regalare una festa struggente, con il deludente finale di una laurea taroccata e di un regalo sprecato. Bello. E mi è venuto in mente che proprio oggi, 28 febbraio, ma del 2012, si laureava (laurea magistrale) in matematica mia figlia Maddalena: una laurea non taroccata, però. Molto è cambiato nella vita di Maddalena da allora, ma per fortuna ha incontrato quel genere di vita che è a misura dei nostri desideri. La fatica non è finita (quella non finisce mai) ma c'è anche la gioia...come allora.
Benvenuta, Maria
Evviva! E' nata Maria, figlia della mia amica e collega Simona e di suo marito Angelo. Auguri anche ai nonni, in particolare ai nonni Monti, che conosco.
La mia scrittura - 43
in foto: vetrina della libreria Don Bosco, nel 1994. Qui sopra: il solo sport che praticavo sino al 1995 era portare le mie bimbe in bici
E
dopo tanto ‘correre’ con la biro sul foglio, tanto battere sui tasti della
macchina da scrivere e poi del mio primo notebook, dopo tanto sognare e creare
storie e inviare dattiloscritti agli editori, e sperare e raccogliere gioie e
delusioni, il 1995 –pur con due libri usciti- segnò per me un momento di crisi,
per ciò che riguarda soprattutto la scrittura creativa. Vado a cicli decennali,
e un decennio si era concluso. I motivi? Certamente il poco successo con gli editori (a parte per ‘Papà
a tempo pieno’) e anche i non lusinghieri (per lo meno per ciò che mi
aspettassi) commenti di critici e lettori (il silenzio vale più di mille
parole) contribuirono a farmi perdere coraggio. Il vento dell’entusiasmo iniziale
andava spegnendosi, la famiglia aveva il suo peso (tre figlie) ma anche le sue
gioie, e poi un lavoro come docente che mi coinvolgeva e mi piaceva, fatto sta
che non riuscivo più ad alzarmi la mattina presto per scrivere, e quando ci
riuscivo non era più come un tempo. La pagina restava bianca o con poche frasi
maldestre. L’estate, periodo che mi avrebbe concesso più tempo e spazi per un
nuovo romanzo, mi vedeva fiacco, distratto, poco motivato, forse deluso dopo
tanto correre. Persi entusiasmo, e quando notai che questa disistima stava portandomi
ad una lieve apatia reagii...ma non con la scrittura, bensì recuperando una mia
passione che, con la nascita delle figlie e con la nuova ‘mania’ letteraria
avevo trascurato: lo sport, ovviamente. Non ne praticavo più, a parte andare a
scuola in bicicletta, portate le mie figlie sul seggiolino della bici, e le
camminate in montagna durante l’estate. Partii quindi, con la bici e con la
corsa. Fu una scelta saggia per la mia salute, evitò il montare di una
insidiosa, velata ma fastidiosa depressione, mi regalò aria e un cuore più
vivace. E come dico spesso, come lo dicono in tanti e come ha scritto recentemente
Fabio Ilacqua, mio ex alunno artista-cantautore, ‘il movimento muove le idee’.
43-continua
Un concerto per Lino
Solo in un secondo momento ho scoperto che Lino era anche un ottimo direttore di coro. Del resto i Conti hanno la musica nel sangue. Ho conosciuto Lino Conti come tipografo; per un certo periodo andai da lui a far stampare Sul Sagrato, 'rivista' della parrocchia di Sant'Ambrogio Olona. Non era di molte parole, ma mi era simpatico. I suoi amici lo vogliono ricordare con un concerto: 'In memoria di Lino'. E' in programma domenica 28 febbraio, ore 21, Teatro Santuccio (via Sacco, Varese).
Canteranno tre cori:
Coro Val Tinella (direttore Sergio Bianchi)
Coro La Madonina-Lino Conti (direttore Johannes Toti)
Coro Sette Laghi (direttore Giacomo Mezzalira).
Ingresso libero
La mia scrittura - 42
Ma
ancor prima dell’uscita di ‘Luzine’ (alla fine del 1995) quell’anno porterà
alla luce un altro mio libro, diciamo libretto. Disattendendo le indicazioni
soprattutto dell’amico Gino Montesanto (che mi invitava a prendere sul serio la
mia narrativa e a fare una scelta, a dedicarle una, due ore al giorno), avevo
accettato una nuova proposta di lavoro di don Adriano Sandri, parroco di Velate.
Mi aveva coinvolto, per narrare i novant’anni di storia della ‘Edelweiss’, la
filarmonica velatese, la banda di Velate. Andavo a mille e accettai. E allora
interviste, lettura di vecchi documenti e la realizzazione del volumetto, che
purtroppo contiene nel titolo un clamoroso errore, direi imperdonabile,
trattandosi della copertina, che richiede la massima cura. Nel sottotitolo
scrissi novantanni tutto attaccato, nessuno me lo corresse e così uscì. Se ne
accorse Pierfausto Vedani, ma ormai la frittata era servita sul piatto. Per le
foto coinvolsi Gianfranco Bertani, Angelo Buttè e Alessio Diolisi, giovane
fotografo (oggi medico) che si era appassionato grazie a Sul Sagrato. La foto
di copertina è del vulcanico fotografo professionista Gianfranco Bertani, che
allora aveva il negozio in piazza Milite Ignoto, a Sant’Ambrogio. Il libro
venne presentato nell’estate 1995, nell’ambito dei festeggiamenti per i 90 anni
della banda.
42-continua
venerdì 26 febbraio 2016
la mia scrittura - 41
Nel
1995, vista la non disponibilità delle case editrici di grossa taglia, cercai
–per la mia Luzine- un piccolo editore locale. Avrei anche potuto battere la
porta a qualche editore medio-piccolo, ma preferii restare a Varese, e mi
ricordai dell’editore Rino Nicolini. Ero stato per la mia raccolta di poesie,
da lui gentilmente rifiutata. Ma le cose per me erano cambiate. Avevo
pubblicato un libro sui parroci di Velate, edito da Nicolini. Ci eravamo
conosciuti, sapeva che ero un giornalista e che avevo scritto altre recensioni
su libri editi dalla sua casa editrice. L’accoglienza fu quindi diversa, mi
ascoltò con interesse e sposò la mia causa. Sapendo per esperienza che era un
editore che tirava per le lunghe, che arrivava sempre all’ultimo momento, inventai
una data di presentazione anticipata, e feci bene, perché il libro tardava a
concretizzarsi. Curai anche la copertina. Nel frattempo ero diventato amico del
fotografo Giorgio Lotti, uno fra i maggiori fotografi italiani, nella squadra
di Epoca. Si era trasferito a Varese, ci eravamo conosciuti l’anno prima, erano
sue molte foto del libro ‘Maroni l’arciere’ (pagate non poco dai Redaelli di
Lativa). A Giorgio chiesi una sua foto, mi regalò una bella immagine dell’arrivo
di una nave albanese al Porto di Brindisi. Non so perché l’editore scelse una
carta patinata e non uso mano. Il libro uscì giusto in tempo per la
presentazione alla Palazzina della Cultura, il 14 dicembre 1995. Quella sera
nevicava. Nonostante il meteo sfavorevole, la gente non mancò. Con me il
giornalista Gianni Spartà, l’editore Rino Nicolini e Natale Gorini, che lesse l’intervento
di Annalina Molteni (assente per malattia). Il Comune di Varese mi aiutò dandomi
la sala e la stampa degli inviti. Anche per dimostrare all’editore che mi davo
da fare per la promozione del libro (ma soprattutto perché a quel libro
credevo) organizzai nel 1996 altre presentazioni: il 22 marzo alla mia scuola,
la Vidoletti, con l’intervento dell’amico giornalista Riccardo Prando. Conobbi
allora Augusto Ossola, che aveva fatto la guerra in Albania e, letto il libro,
si complimentò perché aveva ritrovano nelle mie pagine quei luoghi e quel
clima. Il 10 maggio andai nella mia ex parrocchia, Biumo Inferiore,
coinvolgendo la professoressa Carla Rossi e Antonio Colombo. Avrei dovuto
fermarmi lì, tre presentazioni a Varese erano già tante. Ma, galvanizzato,
esagerai. Confidando nel fatto che quei circoli culturali avessero già un loro
pubblico, e non i miei soliti amici, organizzai un’altra presentazione alla
Piccola Fenice di Silvio Raffo, e alla Castellanza di Bosto. Dal poeta e
scrittore Raffo vennero in tre, e alla Castellanza nessuno. Un buco clamoroso,
che mi demoralizzò non poco. L’inesperienza aveva giocato un brutto scherzo
alla mia autostima.
41-continua
La mia scrittura - 40
Ho
scritto ‘Luzine’ ancora a mano, su vecchie agende. Questo nuovo romanzo segna
la fine della mia abitudine di scrivere solo al mattino. Mi alzavo sempre
presto ma dopo un po’ il sonno aveva la meglio, così me ne tornavo a letto. Ho
così imparato a sfruttare altri momenti della giornata, a casa ma soprattutto
fuori casa: in un’aula scolastica, nelle chiese. Ricordo che salivo spesso
nella piccola chiesa di Fogliaro, dove si erano sposati i miei genitori nel
luglio del 1953. Il primo dattiloscritto di Luzine è ancora battuto a macchina
da scrivere. Per la prima volta scelsi sia la prima che la terza persona, alternandole
nella narrazione. Mi era molto piaciuto ‘Lo scherzo’, di Milan Kundera, e avevo
preso spunto da quel romanzo. Terminato il lavoro, convinto che fosse un buon
lavoro e che l’argomento fosse d’attualità, lo inviai ad alcune case editrici
nazionali, persino a Mondadori, e lo feci leggere sia a Mario Spinella che a
Gino Montesanto. Mario ebbe un parere più che lusinghiero, ravvisando un
notevole miglioramento nella mia scrittura. Con mia sorpresa, invece, Gino non
lo troncò ma quasi, rimproverandomi l’eccesso di personaggi, il passaggio
troppo agevole fra la prima e la terza persona…..Lo giudicò un lavoro affrettato,
non ‘masticato’ come L’ultimo nemico. In
effetti non era stato sottoposto ad un lungo lavoro di revisione, mi pareva di
aver raggiunto già una certa pratica, evitando gli errori del principiante già
nella prima stesura. Le Case Editrici contattate non furono generose con il mio
lavoro. Non mi persi d’animo e lo lasciai decantare un po’.
40-continua
Scenderò
SCENDERO’
di carlozanzi
Scenderò
tutti i giorni da te,
fra
le braccia la tua vita di latte.
Pregherò:
‘La mia veste di sacco
con te diventa abito di
gioia.’
Mi
basta il tuo sonno appagato,
piccoli
occhi al riparo dalla luce,
fili
di labbra, tremiti e sospiri,
i
miei soli minuti di bellezza.
Correrò
tutti i giorni da te,
come
ogni giorno respiro questa vita
che
ti cercava, che ti contemplava;
una
precarietà che ti implorava.
26
febbraio 2016
Grazia
Più ripenso a come si è conclusa la vicenda umana di mio fratello Marco, più mi convinco che Mock ha ricevuto una Grazia particolare, un dono, un aiuto oltre l'umano, che gli ha permesso di affrontare quel tempo in maniera invidiabile. E questa convinzione-speranza è ancora più marcata se raffronto quei giorni di Marco con i miei.
giovedì 25 febbraio 2016
La mia scrittura - 39
ph giorgio lotti
Alla
fine del 1995 uscì il mio secondo romanzo, ‘Luzine’. Anche in questo caso mi
permetterò di parlarne diffusamente perché lo considero ancora un buon lavoro,
sebbene piuttosto affrettato, frutto di quella mia bulimia da scrittura che mi
ha condizionato soprattutto negli anni Novanta. Una premessa: ho sempre
cercato, nei primi anni, di dare alla mia ‘perdita di tempo’ di scrittore un
fondamento, una motivazione alta, una missione, un compito. In principio, con ‘La
Comune di Barbara’ e ‘L’ultimo nemico’, la scrittura voleva essere
comunicazione di una fede, quindi era la mia forma di missionarietà, di
testimonianza cristiana. Così mi mettevo il cuore in pace e nascondevo un po’
di vanagloria. Già nella raccolta di racconti prevale il dubbio, la domanda, la
fatica di un Dio che non si fa sentire, ma resta la fede il motore, la ragione
nobile che mi permette di scrivere. Con ‘Luzine’ le cose cambiano. L’esperienza
giornalistica, l’incontro con il mondo della politica mi hanno fatto conoscere
la città, la società, problemi non ecclesiali ma più universali. E’ cresciuta la
mia sensibilità verso le vicende dei popoli, prima incanalata soprattutto nell’attenzione
missionaria verso l’Africa. E così non passò inosservato in me il dramma del
popolo albanese, che raggiunse le coste italiane agli inizi degli anni Novanta.
Mi sembrò fosse anche un mio dovere parlarne, scriverne, e scelsi la forma
narrativa, dopo aver intervistato per il settimanale ‘Luce’ una famiglia di
profughi albanesi arrivati qui a Morosolo. Lì incontrai per la prima volta il
nome femminile Luzìne, che mi colpì. E cominciai a pensare ad un romanzo che
partendo dall’Albania arrivasse in Italia, per concludersi di nuovo oltre il
Mediterraneo. Un romanzo ambizioso, che cercava di indagare le ragioni di
quella fuga. Lessi parecchio, soprattutto i romanzi di Ismail Kadarè, massimo
narratore albanese. E nel 1993 iniziai la scrittura.
39-continua
Marco e Cecilia
Domenica 28 febbraio, ore 20.30, La Vecchia Varese (via Ravasi 37), 'Gli amici di Mock' (Cecilia & Friends) in concerto, nell'ambito dell'Ewe Mama Tour.
La mia scrittura - 38
Il
1995 iniziò bene per la mia scrittura: il 26 gennaio vinsi il concorso Poeta
Bosino, organizzato dalla Famiglia Bosina. Avevo partecipato con una poesia
dialettale, ‘Rusari d’un vecc’. Fu una grande emozione, un inatteso successo,
inatteso ma sperato. Il mio desiderio di scrivere poesie nel dialetto varesino
era nato nel 1993, nato dal mio bisogno di esprimermi in ogni forma letteraria
possibile, e nato ripensando soprattutto a mia mamma Ines, con la quale
dialogavo continuamente. Era un modo di sentirmela vicino; i miei genitori, fra
di loro, parlavano in dialetto, e grazie ai loro dialoghi avevo imparato questa
lingua, che non utilizzavo mai ma che era rimasta dentro di me, come dono,
ricchezza, la lingua del passato, dei ricordi, della memoria. Nel 1993 avevo
scritto un paio di poesie e avevo partecipato al concorso Poeta Bosino,
organizzato ormai da alcuni decenni. Non venni scelto fra i primi tre, cioè fra
i premiati. Ma –come è mio costume- non mi scoraggiai, diedi ancora voce a
questo mio desiderio e il 23 gennaio ricevetti la telefonata del regiù della Bosina,
Augusto Caravati. Mi invitava per la serata del 26 gennaio, festa du ra Giobia,
momento che tradizionalmente ospita la premiazioni dei poeti finalisti. Ero nei
tre, ma in quale posizione? Vinsi, ricevetti la statuetta d’argento del Pin
Girometta, i complimenti dei presenti e soprattutto di Clemente Maggiora,
grande esperto di dialetto; mi regalò un volume di Speri Della Chiesa Jemoli,
con la dedica: ‘Al giovane poeta bosino Carlo
Zanzi, a nome mio personale e degli Amici di Speri, i più vivi complimenti e l’incitamento
a continuare sulla strada della tradizione bosina’.
Devo
dire che l’augurio di Clemente mi ha portato bene: da allora ho sempre partecipato
al concorso, qualche volta sono arrivato finalista, ho sempre mantenuto l’abitudine
di scrivere poesie in dialetto e mi sono sempre più avvicinato alla mia città, ‘letta’
nel passato, nel presente e nel futuro.
mercoledì 24 febbraio 2016
martedì 23 febbraio 2016
La mia scrittura - 37
Mi
permetto a questo punto di aprire una parentesi, per descrivere l’evoluzione
della mia scrittura, non come stile, ma come strumenti. E devo dire un grazie
enorme al giornalismo se ho imparato a scrivere direttamente sulla macchina da
scrivere, e poi sul pc. Inizialmente scrivevo sempre prima a mano, poi battevo
a macchina. I tempi del giornalismo mi hanno ‘obbligato’ a scrivere direttamente a macchina, e non è
stato facile. La distanza fra il pensiero e la scrittura a mano è più breve, la
macchina da scrivere aumenta lo spazio, mette una barriera, bisogna farci l’abitudine.
Prima ho imparato con i pezzi giornalistici, poi sono passato a scrivere
direttamente a macchina anche i testi di narrativa. Ci sono scrittori che non
superano mai questa fase. Non che sia necessaria, ma velocizza molto i tempi.
Ad esempio Andrea Vitali scrive ancora prima a mano, con la matita (nemmeno con
la biro), e poi batte sul pc. Decisivo è stato poi l’avvento del notebook, che
ho senz’altro usato già a partire dal libro su Maroni, agli inizi del 1994.
Avevo un meraviglioso notebook Highscreen, simile a quello in foto. Il mio non
funzionava più e qualche anno fa l’ho eliminato. Per uno scrittore il computer
è una vera pacchia, e lo è ancora di più per chi ama anche la fotografia, come
me. Un’altra vita.
37-continua
La mia scrittura - 36
Per
quindici anni, dal 1984 al 1999, ho mantenuto un dialogo costante, scritto, con
mamma Ines, riportato in tre libretti, stampati in poche copie, solo per i miei
familiari. Nel primo, che ho intitolato ‘Da
quel balcone’, dialoghi 1984-1999 ho voluto pubblicare la foto del nostro
balcone in via Ugo Foscolo (il balcone più piccolo, in alto), la nostra
abitazione dal 1956 al 1961.
Come
introduzione al primo libretto, il 7 dicembre 1990, scrivevo queste note, che
credo riassumano bene il senso di questa mia scrittura privata:
“Ho scritto e scrivo questo
dialogo con mamma Ines perché il legame non si sfilacci, mortificato dalla
dimenticanza e dagli ‘affari’, che elidono ricordi ed emozioni. Pochi pensieri,
sovente ripetuti, con temi ricorrenti e, più sollecito di altri, l’incontro con
la morte, obbligato e misterioso, drammatico e volto alla speranza. Non
potrebbe essere altrimenti perché mamma Ines è morta, sei anni or sono. Apro
queste pagine a mio padre, ai miei
fratelli, ai parenti più intimi, sperando che possano contribuire a
riabbracciarla. Condividiamo una comune lacerazione e la medesima attesa di
quell’Incontro.”
36-continua
A.A.Alice Offresi
ALICE NELLA CITTA' è una realtà no profit che si sorregge interamente sul volontariato dei propri associati e sulla mole di appuntamenti che riesce a produrre. Nel corso degli anni ha dovuto cercare forme diverse di finanziamento per poter portare avanti la propria attività mantenendo prezzi accessibili per il pubblico. A questo proposito, siamo in cerca di gruppi, compagnie, collettivi artistici, associazioni, professionisti, hobbisti o altro che abbiano necessità di utilizzare uno spazio attrezzato per la loro attività di produzione o ricreazione. Alice negli anni è riuscita a costruire un ambiente ampio e attrezzato che potrebbe fare comodo a molte realtà, a fronte di un contributo associativo decisamente popolare. Se siete interessati, scrivete per maggiori dettagli a
collaboraconalice@gmail.com
specificando nell'oggetto "alice offresi"
Libertà è partecipazione!
Pedata nel sedere
Sono diventato nonno a 57 anni. Un nonno relativamente giovane, la maggior parte dei miei amici coetanei nonno non è ancora. Lo considero un privilegio, una responsabilità, una gioia, a volte una fatica, senz'altro una grande pedata nel sedere a quel sottofondo malinconico che intona, per solito, le mie giornate.
La mia scrittura - 35
Nel
1994 pubblicai la storia delle Crocerossine di Varese. Fu il mio primo libro
con l’editore Pietro Macchione, che diventerà il mio editore di riferimento,
con il quale ho pubblicato la maggior parte dei miei libri. Avevo conosciuto
Macchione in Consiglio Comunale a Varese, agli inizi del 1993. Era consigliere
comunale, un uomo di sinistra abile nella mediazione, prof. di lettere e grande
amante della storia locale, pur essendo di origini meridionali. Aveva
pubblicato molti libri sulla nostra Varese, e proprio in quel periodo fondò la
casa editrice, che porta ancora oggi il suo nome. Ricordo ancora l’uscita dei
suoi primi due volumi, con una bella conferenza stampa al Caffè Zamberletti e
ricco aperitivo. Agli inizi del 1994 ci incontrammo in piscina e lui mi propose
di collaborare con lui, scrivendo la storia delle infermiere volontarie della CRI, a Varese. Accettai, perché allora
non rifiutavo nulla, pur di scrivere e di pubblicare. Già impegnato in vari
progetti, accettai anche quella nuova avventura, fatta di interviste, di
letture di diari, di resoconti storici. E il libro uscì nel mese di dicembre,
con presentazione in grande stile, alla Palazzina della Cultura. Ricordo che me
la presi, perché nel biglietto d’invito non avevano scritto il mio nome, come
autore del libro. Un puntiglio che oggi giudico ridicolo, una vanità da
principiante, ma tale ero ed è giusto annotarlo, a futura memoria. Ero molto
preso nel mio ruolo, sicuro di me stesso e convinto di saper scrivere bene. Oggi
penso che avrei fatto meglio a seguire le indicazioni del mio amico Gino
Montesanto, a privilegiare la narrativa, rischiando in una sola direzione, ma
tant’è, così è andata.
35-continua
La mia scrittura - 34
Nel
biennio 1993-1994 ho pubblicato altri due libri, su commissione. Nel 1993 a
Gornate Olona insegnava mio fratello Marco, che era amico del prof di
religione, nonché parroco a Gornate, il simpatico don Ruggero Selva. Un giorno
il curato, parlando con mio fratello, gli fece capire che aveva in animo di
scrivere una breve storia della parrocchia di Gornate Olona, Marco fece il mio
nome, il don mi contattò ed io accettai. Ebbi così modo di conoscere quella
zona di Varese, la storia ecclesiale soprattutto del Novecento, le
testimonianza architettoniche e di fede popolare. Curai la pubblicazione dal
principio alla fine, comprese molte foto e la copertina (che copiai
spudoratamente da quella di Paolo Zanzi, utilizzata per il libro su Velate).
Coinvolsi anche il disegnatore Giancarlo Bertonotti, di Sant’Ambrogio, che
collaborava con me a Sul Sagrato e che qui voglio ricordare con affetto. Un
personaggio simpatico e disponibile, un finto burbero che aveva una gran mano,
un tratto inconfondibile, grazie al quale ha ritratto angoli del mio rione e
della nostra bella città. E sempre nel libro su Gornate parlo anche del mio amico
scultore Antonio Quattrini, che proprio in quel periodo stava realizzando uno
dei suoi primi lavori in quella parrocchia, sempre su commissione del dinamico
don Ruggero. Se ben ricordo, non ci fu una presentazione ufficiale del
volumetto, che mi lasciò un po’ insoddisfatto soprattutto per il lavoro tipografico.
Mi avevano consigliato un tipografo che non si dimostrò all’altezza.
34-continua
domenica 21 febbraio 2016
Ma chi è 'sto genio?
Un tempo i sacchetti per la raccolta dell'umido li portavano direttamente a casa (parlo del Comune di Varese). Oggi dobbiamo andarli a prendere noi. E sia, un piccolo sforzo una volta l'anno si può fare. Ma qual è la sorpresa? I nuovi sacchetti per l'umido sono la brutta copia dei loro antenati: più piccoli, molto più sottili, facili alla rottura ma, quel che è peggio, inadatti al recipiente marrone che li deve contenere. E l'umido fuoriesce.
La mia scrittura - 33
ph giorgio lotti
Il
mio amico giornalista Pierfausto Vedani, che pure mi aveva invogliato a
scrivere il libro su Maroni (gli avevo chiesto un parere) lo definì anni dopo
un mio peccato di gioventù. A tanti anni di distanza non sono affatto pentito
di aver scritto quel libro, ma sono dispiaciuto perché avrebbe potuto ottenere
un maggior riscontro di vendite, un maggior successo editoriale se il
neoministro avesse fatto un minimo per promuoverlo. Del resto bisogna capire
anche la situazione: Maroni, primo ministro degli Interni del dopoguerra non
Dc, si trovò con un mare di lavoro. Anche per lui era tutto nuovo, era un impegno
gravoso e rischioso. Non poteva certo avere il tempo di promuovere un libro su
di lui. Inoltre non è tipo che ama farsi pubblicità, e poi vi è da dire che già
si stava creando un certo attrito fra lui e Umberto Bossi, che cominciava a vederlo come un rivale, capace di rubargli
la scena. E il Bossi del 1994 era una ‘belva’, andava a mille e la sua Lega era
determinante per gli equilibri politici. Nemmeno la Lega di Varese fece nulla
per promuovere quel libro. Anche perché non tutti i leghisti varesini stavano
con Maroni, giudicato da qualcuno un figlio di papà, il laureato che, ottenendo
una eccessiva fiducia da parte del capo, stava bruciando le tappe e
raccogliendo più di quanto avesse seminato. In particolare era inviso a Beppe Leoni,
militante della prima ora, braccio destro di Bossi, molto amato dai duri e puri
varesini. Tutto ciò fece sì che il libro passasse quasi inosservato. In verità
uscì un bel pezzo su Sette del Corriere della Sera (venne ad intervistarmi
Antonio D’Orrico), apparvero altre recensioni ma nemmeno una presentazione, una
apparizione in qualche studio televisivo. Bastava che Maroni (che pure andava
regolarmente a Porta a Porta, al Maurizio Costanzo Show…) portasse con sé una
copia del libro, ma non lo fece mai. Né io insistetti. Ma avevo visto giusto. Maroni
era (ed è ancora oggi) un personaggio politico di primo piano, il varesino che
più di tutti è stato ministro (due volte degli Interni e uno del Lavoro) e ora
governatore della Lombardia. Qualcuno lo definisce l’Andreotti leghista, sempre
a galla nonostante le bufere che hanno (anche al presente) strapazzato il suo
partito. A me (da non leghista) interessava descrivere un personaggio e un
clima politico in evoluzione, l’Italia del dopo tangentopoli, un partito nato
dalle idee di un istrionico personaggio del mio territorio, che era diventato
determinante, ago della bilancia della politica nazionale. E credo di esserci
riuscito. Sempre l’amico Vedani mi fece capire che se avessi avuto intenzione
di cambiare mestiere, di fare il giornalista di professione, quello sarebbe
stato il momento. Non nascondo che se mi
fossi proposto, che se avessi manifestato simpatie leghiste, conoscendo gli
uomini giusti avrei magari trovato spazio alla Padania, e poi chissà….ma amavo
troppo il mio lavoro di prof, la mia famiglia, le mie figlie. Una scelta di
quel tipo significava un rischio a tempo pieno, una diversa concezione della
vita e del lavoro. E poi –diciamolo- grosse simpatie per la Lega non ne avevo.
Così non se ne fece nulla, e quel libro resta a testimoniare una fase comunque
entusiasmante della mia vita.
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L'incredibile James
Chi mi conosce sa che sono molto critico sullo sport professionistico, sullo sport estremo, sullo sport dannoso. Non tutto lo sport è per la salute, anzi, diciamo che perché lo sport faccia bene deve rispettare regole precise, di solito trascurate dai praticanti, dagli amatori. Parlo qui di James Lawrence perché la sua storia è incredibile, cioè non avrei mai pensato che un corpo umano potesse resistere a tanto. Ciò che ha fatto James è senz'altro dannoso per la sua salute, credo che ne pagherà le conseguenze più avanti, se già non le paga adesso, ma la sua impresa è pazzesca. Ognuno sceglie come farsi del male, e lui ha scelto questa via. Io ho corso una maratona, so cosa vuol dire correre per 42 km di fila. Ci ho messo una settimana per riprendermi. So cosa vuol dire fare una gara di triathlon, non un ironman ma un triathlon olimpico, cioè 1,5 km di nuoto + 40 km di bici + 10 km di corsa. Ci ho messo non dico una settimana, ma due o tre giorni per riprendermi. Ebbene, James nel 2012 ha portato a termine 30 Ironman in un anno! Un Ironman vuol dire 3,8 km di nuoto + 180 km in bici + 42 km di corsa! E lui, in un anno, ci è riuscito 30 volte! Non contento di essersi già fatto del male abbastanza, ha deciso di fare 50 ironman in 50 giorni di fila in 50 Stati diversi degli Usa. E ci è riuscito. Non lo credevo umanamente possibile. E' chiaro che ha un fisico fuori dal comune, ma anche ciò contemplando, resta per me incomprensibile. Non è certamente questo lo sport che amo, ma James è davvero (come lo chiamano) l'Ironcowboy!
La mia scrittura - 32
A
febbraio parlai con Maroni del libro, durante una pausa del Consiglio Comunale.
Come suo solito fece un sorrisino ma parve contento. Cominciò per me la caccia
a Bobo Maroni, perché da quel momento in avanti entrò nel vortice della
campagna elettorale e fu un vero problema incontrarlo. Una lunga intervista, la
più lunga, riuscii a ritagliarla dopo la mezzanotte, al Blubeg’s Cafè di viale
Europa. Un vero sacrificio per me, abituato ad andare a letto alle 21 e ad alzarmi alle 4 del
mattino. Dopo un incontro con gli elettori alla Schiranna, seguii la Passat di
Maroni e ci trovammo al bar, sino alle 2-3 di notte. Un’altra intervista la
feci a casa sua, quando recuperai anche le foto che mi servivano. Poi mozziconi
di interviste, e soprattutto interviste ai suoi amici e ai suoi nemici, a
giornalisti e parenti, a politici e non, lettura di giornali... Poi la lunga
notte d’aprile in via Bellerio, a Milano, sede della Lega Nord, in attesa dell’esito
del voto, con le prime immagini del tripudio leghista, Bossi esaltato, Maroni estasiato
dal responso delle urne (53.640 preferenze). Il libro si chiude con l’incontro
da Maroni, nel suo salotto, la sera del 10 maggio 1994. La tele ha appena comunicato
alla nazione la lista dei nuovi ministri, con premier Silvio Berlusconi. Maroni
è viceprimoministro e ministro degli Interni. Vado, la sua casa è già
circondata dalle forze dell’ordine, ultime battute, il libro è già pronto,
avevo lasciato aperto solo l’ultimo capitolo. Chiudo anche quello e dieci
giorni dopo il libro è nelle librerie di tutta Italia, distribuito da Longanesi.
Tre mesi per scrivere duecento pagine, un record per me. E anche –diciamolo-
una soddisfazione, perché pur essendo una biografia autorizzata, Maroni non ha
fatto alcuna modifica al testo (a parte due rettifiche risibili) e non è un
libro leghista. In cinque anni di carriera giornalistica avevo perfezionato uno
stile, avevo appreso con sufficienza un mestiere, conosciuto un mondo a me
ignoto e un sacco di gente.
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sabato 20 febbraio 2016
Eco, grande intellettuale
E' morto Umberto Eco, grande intellettuale, troppo grande e troppo intellettuale per me. Ho certamente invidiato la sua memoria, la sua cultura e il suo successo di scrittore. Ma non ho letto nulla di lui, sino in fondo. 'Il nome della rosa': avendo visto prima il film (bello) sapevo già come andava a finire e non ho finito il libro (ben scritto). Ho voluto rimediare (nel periodo in cui leggevo parecchio) acquistando 'Il pendolo di Foucault'. Dopo una ventina di pagine sono tornato dal libraio, chiedendo gentilmente se poteva cambiarmelo: "Giuro, non l'ho sciupato!" dissi. Me lo cambiò, e forse aggiunse che non ero il primo caso.
Comunque un grande.
venerdì 19 febbraio 2016
La formazione
Completo il post precedente, con la formazione della Cassiopea, stagione 1962-63.
In piedi, da sin: Bonina, Chiesa, Castagna, Frigerio, Antonini, Borrello, Lobbia, Frattini, Masini, coach Giorgio Bianchi.
Accosciati, da sin: Zonda, Binda, Mascotto, Gandolla, Figini, Cunati, Bernasconi, Mazzucchi, Passera.
Eccolo, il portierino
Eccolo il portierino. Fine anni Sessanta, campetto di Velate. In piedi da sin: Zanzi G., Frattini, non ricordo. Accosciati, da sin: Guarnieri, Zetta, Calaciura, Canedoli, Zanzi C.
Il portierino
Ringrazio l'amico Antonio Bonina (il portiere nella foto), per questa bella immagine. Oratorio 'Molina' di Biumo Inferiore, metà anni Sessanta. Bonina è stato fra i miei portieri preferiti, insieme a Giuliano Sarti dell'Inter, a Lonardi e Da Pozzo del Varese. Cercavo di imitarlo, quando decisi che avrei fatto il portiere. Perché scelsi questo ruolo niente affatto amato dai ragazzi? Non so, forse per via del mio carattere, tendente al sacrificio: poiché nelle nostre partite in quartiere nessuno voleva stare in porta, alla fine dicevo: 'Vabbè, ci sto io!' Poi, visto che paravo discretamente, mi sono appassionato al ruolo. Mi chiamavano il portierino. Oggi, 50 anni dopo, credo molto meno nel sacrificio. In vista del grande sacrificio, sono invogliato a preferire i piccoli-grandi piaceri della vita.