sabato 30 aprile 2016

Ultimo tratto



35 anni, 12.853 giorni...e ora via, verso l'ultimo tratto...

Il mio sport - 56



Nell’estate del 1998, oltre alle Dolomiti, ci concedemmo anche una quindicina di giorni al mare, a Pineto degli Abruzzi. Portai la bici, che mi permise di alternare l’attività: corsa nella bellissima pineta e bici sulla salita di Mutignano (foto), e poi verso Atri. La salita di Mutignano diventerà un classico delle mie vacanze a Pineto, la citerò anni dopo, nel racconto ‘Cicale al carbonio’, scelta come salita del mio immaginario Giro d’Italia. In verità però avevo già in mente un nuovo obiettivo. Avevo letto ‘Correre è bello’ di Enrico Arcelli, avevo letto un libro su Gelindo Bordin e la maratona, scritto dal mio amico Max Lodi, maratoneta. La corsa mi stava prendendo più della bici. Rileggendo le uscite di running programmate in quel 1998, noto fra le altre la salita di corsa al Campo dei Fiori il 31 agosto, 9 km di salita in 57’10”, oppure una competitiva Campus-Sacro Monte, il 13 settembre (6 km in 30’24”). Feci alcune corse del Piede d’Oro, il 22 settembre andai a correre persino con Chicco Cantoreggi, grande atleta dei 3000 siepi, che saltò per una bronchite l’Olimpiade di Montreal.  In bici salivo al Campo dei Fiori, in scioltezza, intorno ai 45’ (tempo per me oggi non facile), di corsa viaggiavo fra i 5’ e i 4’30” al mille. La forma stava salendo. Ed era chiaro il progetto: correre una maratona.  

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Il mio sport - 55



Il 1998 trovò sempre l’accoppiata corsa-bici, anche se la corsa prenderà il sopravvento. Iniziai però con una novità ciclistica. Il 2 gennaio andai al Decathlon e comprai la mia nuova bici da corsa (eccola al cannoncino del Campo dei Fiori): una Decathlon Cobra 740, telaio in acciaio, cambio e freni Shimano 600, rapporti 53-39 + 13-14-15-16-17-19-21-23. Quindi il più leggero è il 39/23, che non è leggerissimo. La pagai ben Lire 1.489.000, una cifra esagerata rispetto alle 178.000 lire del costo della mia Olympia, che mandai in pensione dopo quasi vent’anni. Il 17 febbraio (foto) la collaudai andando ad intervistare per il Luce, intervista in bici, Claudio Chiappucci, allora ancora professionista. Per ciò che riguarda la corsa, aumentai sia il minutaggio che il ritmo, correndo anche sulla pista dello stadio ‘Franco Ossola’, mentre in bici andai ancora in vacanza a Penia di Canazei nel mese di luglio (foto). Era il tempo delle prime edizioni della Maratona delle Dolomiti in bici. Infatti l’anno prima avevo visto scendere i partecipanti dal Passo Fedaja. Decisi di non iscrivermi a quel giro, ma di farmene uno simile, visto che ero in zona. Così il 4 luglio 1998, sempre partendo prestissimo al mattino da Penia, feci il passo Sella, poi il passo Gardena, quindi il passo di Campolongo e infine il passo Pordoi, salendo da Arabba, con picchiata finale verso Canazei. Una piccola Maratona delle Dolomiti. Naturalmente, in quei giorni, salii più volte al Sella e al Pordoi.    

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Finale alla Vidoletti



Chi vorrà tifare forza Varese (alludo al basket, in finale nella Fiba Europe Cup) potrà farlo anche alla Vidoletti. E' stato allestito dal tifosissimo preside Antonio Antonellis (e dalla tifosissima vicepreside Daniela Crespi) un maxischermo. Il ritrovo è alla Vidoletti alle 20.30 di domani, 1 maggio: i ragazzi della Openjobmetis non faranno la festa del lavoro, anzi, dovranno guadagnarsi la pagnotta, vincendo questa finale, una finale europea che manca dalla bacheca varesina da ben 36 anni. Basta digiuno.
Forza Varese!

venerdì 29 aprile 2016

Il mio sport - 54



Deluso dalla debacle del Mortirolo, non misi certo la bici in cantina e finii il 1996 con altre salite e giri di corsa. Il 1997 ebbe lo stesso andamento sportivo, bici e corsa. Intensificai i minuti di corsa, 154 km nel 1996, 500 nel 1997 ma soprattutto mi preparai, perché le vacanze estive erano in programma a Penia di Canazei. Tornavo sulle dolomiti, ma questa volta per alcuni giorni, con bici al seguito e la possibilità di salire sui passi tutti i giorni. E così feci. Mi alzavo prestissimo al mattino, quando in Val di Fassa era ancora buio, e via in bici, ben coperto, verso il Passo Sella (foto) e il Passo Pordoi. Poi giù in discesa, colazione e via per le passeggiate con la famiglia sui sentieri dolomitici. Avevo con me anche la mountain-bike dell’Iper, un cancello più che una bici, con la quale salii comunque al rifugio Micheluzzi e al rifugio Gardeccia. Conclusi il 1997 con altre salite varesine e soprattutto aumentando i minuti di corsa continuata, arrivando a correre più volte oltre l’ora. Forse già stavo ipotizzando di realizzare un sogno di vecchia data.

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Elan Chalon-Ojm Varese: 82-91

                                                                                      ph carlozanzi

Continua il momento magico del basket varesino. Stasera, a Chalon, in Francia, nelle semifinali della Fiba EuroCup, la Ojm batte i padroni di casa della Elan Chalon, guadagnando la finale di domenica 1 maggio. Equilibrio nel primo quarto (31-25 per noi), poi un secondo quarto sofferto (53-48 per loro). Si temeva il contraccolpo psicologico, invece Varese regge nel terzo quarto (70-64) e poi mette la quinta nel quarto (91-82). 17 punti per Davies, Wayns (fondamentale nel finale) e Kuksiks (mano calda nelle triple), 15 per Campani e 12 per Wright. Il sogno continua.
Forza Varese! 

Marika e la fatica



Guardo sempre con particolare attenzione e stima gli alunni che corrono i 1000 metri. So cosa vuol dire. E' l'incontro con la fatica. Certo, anche gli altri vivono la 'fatica' soprattutto psicologica, l'ansia della gara, ma qui abbiamo anche la fatica fisica, il fiato che manca, la voglia di fermarsi, soprattutto quando davanti a noi abbiamo molti concorrenti. Eppure si va avanti. Marika Benatti, prima a destra alla partenza (al suo fianco la vincitrice, della Dante di Varese), mezzofondista Vidoletti, è una ragazza che pare nata per correre. Eppure non pratica l'atletica leggera, da poco tempo gioca a basket e pratica judo. Ha una corsa naturale, leggera, pare non faccia alcuna fatica ma non è così. Senza allenamento specifico, dall'inizio dell'anno è passata dai 4' sui 1000 ai 3'42" di oggi. Non è poco. Bravissima! 

L'argento di Michela



Michela Castellano è arrivata seconda negli 80 ostacoli con l'ottimo crono di 13"78, tenuto conto della pista bagnata. Eccola col prof. Enrico Piazza.

Isabella, ragazza d'oro


Isabella Tibiletti (a destra, con l'amica Claudia Casoli, lanciatrice di vortex) ha vinto nel salto in alto con 1.41. Ma vale molto di più: detiene infatti il record Vidoletti con 1.54

Gli ostacoli di Alex


Alex Lazzaroni, ostacolista Vidoletti, pur non arrivando sul podio è stato autore di una buona prova. Ha da poco iniziato la pratica dell'atletica leggera al Cus dei Laghi: promette bene.

Gloria, terza nel lungo


Gloria Venturini, pallavolista prestata all'atletica, è arrivata terza nel salto in lungo con m 4.08

Miki, figlio d'arte

                                                                                               ph carlozanzi


Un post se lo merita Miki Balsamo, sprinter Vidoletti, anche se non è salito sul podio, arrivando sesto negli 80 e contribuendo al buon risultato della staffetta 4x100. Miki è figlio d'arte: suo papà, Giuseppe detto Beppe, mio collega e amico, è stato grande triplista, nonché insegnante e fra i migliori tecnici nazionali nel salto in lungo e triplo. Allenatore delle mie tre figlie, ha seminato bene e ora raccoglie il sorriso di Miki.

Le cadette Vidoletti alle regionali di Milano



Si sono svolte stamani, a Bolladello di Cairate, le finali provinciali dei GSS di atletica leggera cadette e cadetti, cioè 2^ e 3^ media. Le cadette Vidoletti sono arrivate seconde di squadra (nonostante la squalifica nella staffetta 4x100) e andranno alle Regionali, in programma il 12 maggio al 'Giuriati' di Milano. Noni i maschi. Complimenti a tutti. Bravi! Ecco i nomi: Ilaria D'Ambrosio, Michela Castellano, Marika Benatti, Gloria Venturini, Sarah Andreola, Isabella Tibiletti, Claudia Casoli, Roberto Marchianni, Matteo Librizzi, Joctan Mangia, Alex Lazzaroni, Elia Fontana, Miki Balsamo e Matteo Cavallari. 

giovedì 28 aprile 2016

Auguri, Caterina



Felice onomastico a mia figlia Caterina

Varese, città bicentenaria

                                                                                                   ph carlozanzi


In questo 2016, la città di Varese compie 200 anni. Pur senza ismi di nessun tipo, sono affezionato alla mia città. Credo di averglielo dimostrato in pensieri, parole, immagini, azioni. 

Il mio sport - 53



Come detto, il mio obiettivo di quell’estate 1996 era il Mortirolo da Mazzo, in Valtellina, il versante più duro, una salita che sapevo davvero tosta anche senza gli scenari grandiosi di uno Stelvio o di un Gavia. Andava fatto. Mi restava solo il 12 luglio, perché il 13 saremmo partiti per tornare a Varese. Alle prime luci dell’alba il meteo non appare fra i migliori, ma lo stesso decido di partire. Alle 5.18 sono già in bici, alle 6.45 sono in cima al Passo dell’Aprica. La pedalata è buona, mi sento in forma. Giù in discesa verso la Valtellina, poi il piano per arrivare a Mazzo Valtellina.  Ci sono alle 7.50. Nel frattempo il meteo si è sistemato e fa caldo. Mi attendono 1300 metri di dislivello, sino ai 1896 metri del Mortirolo. Prima parte nel bosco, poi all’aperto (vedi foto). Attacco prudente ma capisco subito che la gamba non gira. Qualcosa non va. Ho tirato troppo sull’Aprica o in pianura? In effetti non ho nelle gambe molti chilometri d’allenamento. Fatto sta che a metà salita sono cotto, la più clamorosa crisi della mia lunga carriera ciclistica. Sono costretto a mettere il piede a terra. Cammino per un po’, risalgo, qualche centinaio di metri, la pendenza mi appare inaccessibile, le gambe proprio non ci sono. A malincuore devo camminare per buona parte del resto della salita. Arrivo al passo alle 9.40, quasi due ore di salita! Alle 11 sono a Ponte di Legno. Naturalmente non ho il coraggio di scattare foto al passo: non le merito. Ma non è finita: devo raggiungere la famiglia, in passeggiata alla Malga Forgnuncolo, quindi salgo in mountain-bike sino alle case di Viso, un’altra ora di salita: nel frattempo però mi sono rifocillato. Poi a piedi. Alle 13.30 sono alla malga, molto affaticato. Da allora non sono più salito al Mortirolo, e sono passati vent’anni. Non è detto che questo possa diventare un mio obiettivo per il futuro.


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A scuola in bicicletta



Domani, 29 aprile, è in programma la tradizionale uscita 'A scuola in bicicletta', che coinvolge le scuole medie di Varese città. La Vidoletti, come sempre, ci sarà con le classi prime. Non ci sarò io, ed è la prima volta. Sono infatti impegnato con i ragazzi dell'atletica leggera a Cairate. Auguro ai ragazzi di divertirsi, e raccomando la prudenza. W la bici!

Il mio sport - 52



Chiusi il 1995 con altri giri in bici sulle salite varesine: Monte Orsa, Serpiano, Monte Generoso, Alpe Tedesco, Cuvignone, oltre che i soliti Sacro Monte e Campo dei Fiori. Andavo spesso da solo, e qualche volta con Marco Riganti, Giancarlo Bernasconi (eccoci in foto, al Generoso) e Livio Bianchi, un mio coetaneo tenace e dalla gamba molto potente, che si divertiva a staccarci in salita. Oggi Livio, non seguendo i miei consigli, non va più in bici, lamentandosi perché non riesce a tenere i ritmi di allora: non accetta che gli anni passano. Spero si ricreda. Il 1996 ebbe più o meno l’andamento sportivo del 1995. Alternavo corsa e bici. Correvo soprattutto in Villa Toeplitz, da solo o con mio fratello Paolo. Non molto: una ventina di minuti. Poiché sarei tornato ancora a Ponte di Legno per le vacanze estive, mi allenai per poter salire di nuovo sul Gavia, ma soprattutto per raggiungere il Mortirolo dalla parte più ostica, quella Valtellinese. Il 3 luglio ero al Corno d’Aola in mountain-bike (foto, con alle spalle la Cima Salimmo, raggiunta nel 1995), il 6 al Gavia con l’amico Paolo Mannucci e il figlio Marco, ex alunno Vidoletti. Paolo era stato mio compagno di pedalate nel 1978, poi anche lui –preso da mille impegni- aveva abbandonato la bici, riprendendola saltuariamente, come quell’anno a Ponte. Dell’avventura del Mortirolo parlerò con capito a parte.  

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mercoledì 27 aprile 2016

Il mio sport - 51



Quel luglio 1995 a Ponte di Legno è legato anche ad un’altra piccola impresa sportiva. Certo, gli scalatori veri si metteranno a ridere come matti, ma per me è stata una passeggiata impegnativa, anche con un po’ di rischio. Avevamo amici a Ponte, proprietari del bar Salimmo, ai quali chiesi subito: “Perché questo nome?” E loro mi indicarono una cima proprio di fronte al loro bar: “Perché quella si chiama Cima di Salimmo” risposero. E da quel momento, come per una bella donna, uno diventò l’imperativo: conquistarla! Scusate l’enfasi, ma pur essendo una cima di soli 3.115 metri slm, ha il suo fascino. Così in quel mese presi le misure, mi informai presso il CAI locale, guardai il cielo e dissi: alla prima alba giusta, parto. E l’alba si presentò il 20 luglio. Partenza alle 5 con la Panda di mia cognata Enrica sino al Corno d’Aola, a m 1900, e poi via, in solitaria. Sapevo che ci sarebbero stati alcuni passaggi non facili, anche perché io ero solo, e infatti, poco prima della cima, ecco il passaggio temuto. Ricordo che si trattava di fare un salto per superare una striscia di neve su una stretta forcella. Volevo saltare perché non conoscevo la consistenza della neve, il suo spessore: in caso di scivolata il nevaio era ripido, non avevo ramponi né picozza: nulla. Ma con un balzo non sarei arrivato sulla roccia di fronte. Quindi ero costretto a provare la neve. Ci misi qualche minuto prima di decidermi, poi rischiai: mi andò bene, la neve resse, affannato ripresi la salita verso la cresta sommitale e la cima. Sotto molte nuvole di afa (mai visto un luglio così caldo in montagna) ma sopra il sereno, lo spettacolo del ghiacciaio dell’Adamello, molta soddisfazione. La ricordo senza dubbio come una delle cime per me più belle, raggiunta da solo, nel silenzio totale (non incontrai nessuno, anche perché arrivai in cima alle 8.55),  con tutte le ‘sfumature’ della montagna, che sono anche le sfumature della vita.

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Il mio sport - 50




Rimasi a Ponte di Legno, in quell’estate molto sportiva del 1995, tutto il mese di luglio. Seguivo anche il Tour de France alla tele, con il dramma, il 18 luglio, di Fabio Casartelli. Pensai e pregai molto per lui, durante le molte uscite in mountain-bike, con la bici da corsa e di running. Salii ancora al Gavia con l’Olympia, ma mi fermai all’imbocco della galleria. Il 22 luglio salii al Passo del Mortirolo dal versante più facile, quello dalla Val Camonica: 13 km di salita in 75’ (foto). Poi mi ripromisi di fare ancora il Gavia, ma senza mettere piede a terra, utilizzando la mountain-bike. Il 27 luglio ci riuscii: partenza alle 6.12, arrivo alle 8.07 (vedi foto vicino alla croce), un’ora e 55 minuti di salita, molte marmotte verso la cima, tanta luce, nessun piede a terra, rapporti: 30/28 nei tratti più ripidi, se no 30/24 e 30/21. Discesa appagante, a picco verso Ponte di Legno. E poi via, bici sulla Ford e ritorno a Varese.

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martedì 26 aprile 2016

Il mio sport - 49



Rimessa a nuovo la Olympia aranciooro, partimmo per Ponte di Legno. Prima l’ascesa al Tonale (foto in alto), poi un paio di giri con la mountain-bike e quindi, il 7 luglio, il tentativo di salita al Passo Gavia, a mt 2650 sopra il livello del mare, uno dei passi carrozzabili più alti d’Europa, cima Coppi di tanti Giri d’Italia. Partii alle 5.55 del mattino, meteo super, in solitaria, adeguandomi al mio carattere. Conoscevo la strada, sapevo dell’insidioso tratto sterrato a metà, un paio di chilometri davvero duri, con punte al 16%. Il mio rapporto più leggero era il 42-25. Affrontai quel tratto con coraggio e decisione, ma mi trovai in difficoltà sulle pendenze più aspre, perché non potevo salire sui pedali: la ruota posteriore slittava. Così fui costretto a mettere il piede a terra per qualche metro, in qualche modo ‘macchiando’ la mia modesta impresa, ma o così o niente. Poi via, con coraggio, sempre più in alto, oltre i duemila, con il fiato corto e gli strapiombi sulla sinistra. Quindi la galleria, altro punto che sapevo insidioso. Entrai in quel nero senza luce, senza una pila sulla bici, andando a naso, sperando di non prendere buche, confidando che non passassero auto o ancor peggio camion. Uscii finalmente alla luce, completando la salita: c’era ancora molta neve al passo. Due ore di salita per coprire i 17,5 km dell’ascesa. Foto alla croce, uno spettacolo che mi ripagò della fatica. Discesa in 35 minuti, vidi un cerbiatto e una marmotta mi tagliò la strada. Così ricordo quella mia prima salita al Gavia in bici. Avevo 39 anni e mi sentivo leggero.

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Il racconto del mercoledì


Negli ultimi giorni ho preso parte a due matrimoni. Dedico questo racconto breve a tutti gli sposi.

La rosa
di carlozanzi


Una rosa rossa dal lungo ramo spinoso disegna nel bosco traiettorie circolari. Trema nelle mani di una giovane donna, che cammina timorosa sul sentiero. Con una mano tiene la rosa, con l’altra si tocca i capelli, spettinati dall’ansia. Si ferma, la rosa si ferma. Aggiusta le ciocche, forcine e due fiori bianchi che non trovano pace. Riprende il cammino sopra sandali colore dei tronchi che seguono, immobili, il lento procedere verso la meta. Non trova pace la rosa perché non trova casa quel cuore di donna, che verso la casa si sta dirigendo.
Guarda la rosa, la trova perfetta, vorrebbe essere come quel frammento di natura, nessuna incertezza, impettita sopra quel ramo, regina dei fiori. Il suo corpo danza, fasciato nell’abito lungo, che sfiora il terreno di sassi, di rami, di foglie e delle prime castagne. Vorrebbe essere già su quel prato ma teme che la folla di sguardi la faranno soffrire, un vento cattivo e non una dolce carezza. Solo il pensiero di lui e il profumo di rosa la convincono che quel bosco va attraversato dal principio alla fine, sino all’ampia radura.
Il sentiero ora pende verso l’alto, il suo petto si gonfia di speranza e si sgonfia d’affanno, respira e si rianima perché il buio s’accende di sole, i tronchi si fanno sottili, gli alberi si sfoltiscono, s’apre all’orizzonte la porta di luce. La giovane donna cammina più svelta, entra nel prato e ripete: ‘Non lo vedo, dov’è?’ 
Quando le due vite si incontrano, è la rosa che le congiunge. Ma lui, riconoscente, con l’emozione negli occhi, non può fare attenzione alle spine. Si punge. Cade a terra la rosa e lei, subito, gli prende la mano, la volta col palmo nel cielo, la goccia di sangue diventa una striscia che scorre lungo il dito dell’uomo. Lei bacia quel sangue, ne gusta il sapore. Dice: “Scusa” come fosse sua la colpa di quella ferita. Lui la osserva, trova la bocca sporca di sangue e la bacia, perché quel sangue sia condiviso.
Gli invitati applaudono a quel segno d’amore che è giunto in anticipo. E lì, dove tutto è sorpresa e niente è già scritto, il tempo rallenta perché nulla si sciupi.
La donna, ora sicura di sé perché sicura con lui, raccoglie da terra la rosa, volutamente si punge sul dito, esce la goccia, la porge al suo amato.
Ride l’uomo e commenta: “L’hai fatto apposta.”

“Non volevo negarti questo rosso piacere.”

Il mio sport - 48



Non dovendo più andare a lavorare ad Arcisate ma sotto casa, alla Vidoletti, a partire dal settembre 1984, la bici da corsa venne messa in cantina e lì fece flanella. Ma nel 1995 qualcosa cambiò. L’esaltazione per la scrittura andava placandosi, le bimbe crescevano e acquistavano autonomia, lasciandomi più tempo libero. Notai, facendo le partitelle a calcio con gli amici, un evidente calo nelle capacità aerobiche. Ero un po’ scoppiato, insomma. Inoltre stavo diventando pigro e mi assopivo facilmente. La cosa non mi piaceva affatto. Un pomeriggio misi la tuta e via, a correre. Da quel giorno del 1995 non mi sono più fermato. Riportai alla luce la vecchia Olympia, compagna di tante avventure, la rimisi in sesto  e fissai subito un obiettivo: poiché le vacanze estive in montagne di quell’anno si sarebbe svolte a Ponte di Legno, località che avevo conosciuto a militare e nei miei giri in bici, una era la meta, il Passo Gavia (foto). Che in verità affrontai con poco allenamento, non più di qualche salita dalle mie parti: Sacro Monte, Mondonico, Alpe Tedesco, Ardena-Marzio, Campo dei Fiori. Ogni tanto qualche corsetta con mio fratello Paolo. Inoltre acquistai a poco prezzo, all’Iper, la mia prima mountain-bike, insieme ad analoghe bici per le mie bambine. E partii per Ponte di Legno con due bici al seguito, intenzionato a scalare il mitico Passo Gavia, che avevo raggiunto a piedi, nella neve, durante il campo estivo con gli alpini.

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lunedì 25 aprile 2016

Il mio sport - 47


Il ritorno alla normalità, dopo un anno fuori dal mondo, l’inizio dell’insegnamento alla scuola media Bossi di Arcisate, i preparativi per il matrimonio, la partecipazione attiva alla vita della comunità Shalom, tutto questo ben di Dio ridussero drasticamente la mia pratica sportiva. A parte una sporadica slittata a Livo (foto), dedicavo del tempo allo sport soprattutto dopo gli allenamenti con i ragazzi alla Varesina. Ripresi la mia corsa verso Capolago da via dei Boderi: una mezz’oretta non di più. La bici la usavo principalmente per andare a scuola, ad Arcisate, mantenendo un po’ la gamba sulla salita dei Mulini Grassi, a partire dal 1981, cioè dopo il matrimonio, con il cambio di residenza e l’abitazione a Sant’Ambrogio, ai piedi delle mie amate montagne. Niente più sci, niente nuoto, qualche partitella giovani contro vecchi a calcio o a basket, nel campo dell’oratorio di Biumo Inferiore oppure nel campetto in erba degli Alberti. Qualche partita coi ragazzi a scuola, e l’estate, con le passeggiate in montagna: Macugnaga, Val Gardena, Lignod, Foppolo, Alpe Motta, Passo Oclini, Telves in Val Ridanna. Andavo anche al mare, ma il mio nuoto stentato non mi permetteva lunghe e gratificanti nuotate. Correvo però sul bagnasciuga. La nascita delle bambine e la passione per la scrittura ridussero ulteriormente lo spazio per lo sport, che per una quindicina d’anni, diciamo dal 1980 al 1995, fu messo nel cassetto. Ricordo, a proposito del nuoto, che nell’estate del 1984 Carla ed io andavamo a nuotare alla piscina di Induno: lei a dorso andava alla mia stessa velocità in stile, il che la dice lunga sulle mie prestazioni in acqua. Rispetto alla bici, cominciai a portare sulla bici le bimbe, pedalavo per chilometri con le mie figlie sul seggiolino, ma mi pare eccessivo classificare questa attività come pratica sportiva.   

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Facce da nozze

                                                               ph carlozanzi


...e lo sposo già non trova la sua sposa. Cominciamo bene. 

Nozze Costanza-Manuele: la location

                                                                                             ph carlozanzi


Persino chi era a Milano o sul Monviso ha potuto seguire le nozze di Costanza e Manuele. Location in vista, azzeccata. 

Nozze Costanza-Manuele: la festa



                                                                                                   ph carlozanzi

"Quel giorno si farà una grande festa" cantava Claudio Chieffo. Quel giorno, per Costanza e Manuele, è oggi. Per quell'altro non c'è nessuna fretta.