mercoledì 31 agosto 2016

La mia scuola - 47





Eccoci allora all’anno scolastico 1989-90, che vede il pensionamento di due pezzi da novanta della Vidoletti: il preside Lorenzo Morcelli e il prof-don Marco Galfrascoli. L’anno inizia il 20 settembre, la campestre di istituto il 10 novembre, il 21 novembre la 4^ edizione della Campestre del Distretto. Il 22 febbraio 1990 inizia il Torneo Monticelli di basket, una bella manifestazione che durerà parecchi anni e vedrà la Vidoletti sempre presente, con ottimi risultati. Quel primo anno (foto) arriveremo terzi, con vittoria nella finale 3°-4° posto contro Ispra (probabilmente allenata allora dal prof. Enrico Piazza, mio attuale collega) per 60-30, disputata al Palazzetto dello Sport il 26 maggio. Il 10 aprile, come da tradizione, viene celebrata la Messa pasquale alla Vidoletti, con scarsa presenza di prof. e alunni. Il 5 maggio l’ultima partita di calcio prof-alunni con don Marco (foto), pareggio 8 a 8. Il 15 maggio sono in gita a Verona. Come avevo fatto anche ad Arcisate, coinvolgendo la ditta Cavalca che ci omaggiò maglie sponsorizzate, così feci quell’anno alla Vidoletti e bussai alla porta della ditta di antifurti Spy-ball (il figlio del padrone era mio alunno), che ci regalò molte magliette bianche e azzurre, con la V di Vidoletti. Così nelle gare di atletica dei primini la Vidoletti risulta essere certamente la più elegante. Il 13 giugno, grande Festa dello Sport con saluto a don Marco, che riceve una targa con la scritta: ‘A don Marco, abile nelle cose di Dio, e col pallone degli uomini.’ (foto) Per l’occasione si svolge la prima sfida prof-alunni di basket, con vittoria dei prof. 31-25.

Il 14 giugno 1990 è la volta della Festa per il preside, alla quale dedicherò un capitolo ad hoc.   

47-continua

La vita incompleta


                                                                    ph carlozanzi


Per una vita completa c'è sempre una tappa più in là, che non si raggiunge mai....'esaurita questa incombenza, poi...' poi ne arriva un'altra....la vita completa è una vita incompleta...rassegnamoci...la completezza è un oltre, un orizzonte lontano....puoi solo immaginarla....

Il battesimo di Tommaso



Domenica 4 settembre, alle ore 16.30, nella chiesa parrocchiale di Casbeno, mio nipotino Tommaso riceverà il Santo Battesimo. Non ci sarà la Messa, solo il rito del sacramento. 

La mia scuola - 46




Prima di continuare con la cronaca degli anni scolastici (siamo al 1989-90, ultimo anno del preside Morcelli) apro una parentesi sui record della scuola. Come già scritto, ho sempre dato importanza come docente all’atletica leggera, e già ad Arcisate regalavo ai ragazzi di terza una specie di cartoncino con i loro risultati. Poi alla Vidoletti, già dai primi anni, ho cominciato ad esporre i record della scuola di atletica, a partire dal 1985, per le classi seconde e terze, quindi i ‘cadetti’. Resta fuori ad esempio Antonella Avigni, grandissima ex alunna Vidoletti, nazionale di atletica leggera nel salto in lungo, che già alle medie ovviamente aveva ottime misure. Ma dal 1984-85 gli alunni migliori sono stati monitorati con precisione. A partire dall’a.s. 2002-2003 ho poi preso i record di atletica anche per le prime, categoria ‘ragazzi’. Ho poi esposto i record della scuola di nuoto, persino di bowling, di remoergometro, di monociclo 80 metri, 80 metri in carrozzina e verticale a terra. Noto che i ragazzi apprezzano queste misure, si confrontano, restano stupiti dalle prestazioni dei loro pari età. E’ un modo semplice per stimolare e invogliare a dare il massimo.  

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martedì 30 agosto 2016

I funerali di Andrija




I funerali di Andrija verranno celebrati domani, mercoledì 31 agosto, alle ore 10.30, presso la chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio Olona. 

La mia scuola - 45





L’anno scolastico 1988-1989 inizia il 19 settembre, sempre preside Lorenzo Morcelli. Non ricordo bene quando si passò dalle squadre, divisi in maschi e femmine, alla classe, con un solo docente di educazione fisica per i ragazzi e le ragazze. Credo proprio alla fine degli anni Ottanta. L’8 novembre ecco la campestre di istituto, sempre alle 2 del pomeriggio (foto). Il 28 novembre la 3^ Campestre del Distretto, che si disputò sempre alla Vidoletti. Il 16 febbraio, per un banale incidente domestico, mi procurai una infrazione al 5° metatarso del piede destro, che mi lasciò a casa da scuola sino al 30 marzo. Il 4 maggio si svolsero a Sesto Calende le provinciali dei Giochi della Gioventù di atletica leggera, per i cadetti, dalle 13 sino alle 20 di sera! Mi comunicarono che l’anno scolastico successivo avrei avuto 8 ore alla Vidoletti e 8 ore a Casciago, essendo l’ultimo in graduatoria, ma per fortuna un collega andò alle superiori, quindi non se ne fece nulla. Festa carnevalesca fra colleghi a casa di don Marco Galfrascoli, che festeggiava il 25° di sacerdozio (foto). Cena fra colleghi di educazione fisica, a casa di Silvia Vedani (foto). La tradizionale partita di calcio prof-alunni si svolse il 22 maggio al campo Lazzati: vittoria dei prof. 6 a 5. La fase di istituto di atletica si svolse il 2 giugno al ‘Franco Ossola’, mentre le provinciali di prima media a Calcinate degli Orrigoni, pista nuova che aveva ormai preso il posto della vecchia pista dello stadio masnaghese. Pista che invece per molti anni utilizzai con gli alunni, essendo vicina alla Vidoletti. Ci andavo quattro volte l’anno, per il test di Cooper sui 12’ e per i 1000 metri. Per un certo periodo utilizzai anche l’antistadio, per le partite di calcio. L’8 giugno il mio amico Gigi Alberti venne a proiettare un filmato da lui girato in Uganda, dove operava l’amico missionario padre Mauro Serragli. Il 10 giugno festa dello sport nell’ultimo giorno di scuola.

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Auguri a Paola e Roberto



Ieri era il compleanno di Paola (auguri), domani sarà l'anniversario di nozze di Paola e Roberto (auguri doppi)...evviva!

lunedì 29 agosto 2016

Libri domenicali



Domenica scorsa è partito l'esperimento alla Civica Biblioteca varesina: apertura domenicale. Durerà 5 settimane. Pare che la prima domenica sia andata bene, molti studenti hanno approfittato per santificare la festa sopra le sudate carte. Compresa mia figlia. Ecco il sindaco, l'assessore alla cultura e la direttrice della Biblioteca che dialogano. Ma per il futuro? I dipendenti del regno dei libri e del silenzio sono un po' timorosi. Si paventa la prosecuzione dell'esperimento, domenica aperta, allungamento dell'orario, niente pausa pranzo....E i soldi? Ci saranno soldi per nuove assunzioni? Oppure gli attuali dipendenti dovranno lavorare il doppio, non in termini di ore di lavoro ma di quantità di lavoro? E si dovranno fare i turni domenicali....E se il servizio venisse dato in appalto ad una Cooperativa, con una privatizzazione che non farebbe onore ad un governo di sinistra? Staremo a vedere. 

Preghiere per Andrija



Andrija, alunno Vidoletti, non era mio alunno. Era nel corso F, con Enrico Piazza come prof. di ginnastica. Non lo ricordo. Sono il prof. di sua sorella Valentina. Sono andato a vedere nei miei archivi, ha preso parte alla corsa campestre della Vidoletti l'anno scolastico scorso, quando era in terza. E' fra i partenti in questa foto. Non ho parole, se non il mio dolore. Questa sera, lunedì 29 agosto, e domani sera, alle 20.30, nella camera del commiato delle Onoranze Funebri S.Ambrogio, di via Mulini Grassi, si pregherà per lui. 

domenica 28 agosto 2016

La mia scuola - 44



E siamo all’anno scolastico 1987-88. Ricordo che in quel periodo io e il preside Lorenzo Morcelli eravamo i primi ad arrivare a scuola, verso le 7.15 (quando avevo la prima ora, naturalmente). Quattro parole, poi lui andava in presidenza (arrivava con una Fiat 850 beige), io in sala professori e leggevo Avvenire. Allora ero un tipo ‘impegnato’, non come oggi, che arrivo alla stessa ora ma vado a giocare in palestra ai ‘tiri liberi’. Forse per questo stavo simpatico al preside (cattolico convinto), un giovane di trent’anni che leggeva Avvenire non era proprio la norma. L’11 dicembre, proprio alla Vidoletti, si svolse la 2^ Corsa Campestre del Distretto Scolastico di Varese. La Campestre provinciale dei Giochi della Gioventù si corse il 13 febbraio ad Arcisate. Avevo organizzato una proiezione di diapositive sul Camerun, e poi trovo un appunto sull’Agenda, che non corrisponde ai miei ricordi. C’è scritto che la Vidoletti, squadra di atletica, andrà alle nazionali di Roma. Pensavo fosse capitato un paio d’anni prima, come ho erroneamente scritto. Infine una inattesa sconfitta a calcio, nella partita contro gli alunni: 6-4 per i ragazzi. Don Marco (che si vantava di non aver mai perso contro gli alunni), mantenne il record, perché uscì per infortunio, quando ancora non eravamo sotto. Eccomi insieme a don Marco. Non inganni il suo fisico ‘pesante’, il don aveva piedi buonissimi, una tecnica sopraffina, un attaccante alla Maradona: implacabile, terrore di tutti i portieri e difensori. Indossa la sua inconfondibile maglia del Toro.  

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Peso

                                                                                              ph carlozanzi


Se non è il peso dei rimorsi, è quello dei rimpianti. Se non sono i chili di troppo, è l'anima pesante...e poi c'è il peso delle catastrofi, che ci sfiorano ma ci appartengono. Chi è sempre sorridente, ottimista, chi dà pacche sulle spalle alla vita non è credibile. Anzi, mi fa un po' pena. 

Il giorno che tremò la notte




.........Scrosciava dal cielo d’Abruzzo una pioggia senza pietà. Fredda, sputata sulle cose e sugli uomini da un vento che pareva soffiato da un demonio incazzoso. Don Marco faticava a vedere la via, teneva i tergicristalli alla velocità massima, la ventola sul quattro, l’aria calda ma i vetri dell’auto si pulivano a fatica, doveva usare un panno per farsi strada, per vedere in quelle raffiche d’aprile. Una primavera bastarda.
Arrivò alla tendopoli, un distesa di case finte color cielo sereno. Posteggiò nel fango. Non c’era che fango in quella spianata di anime prostrate. Senza scendere dall’auto si infilò gli stivali di gomma, a fatica; nonostante mangiasse poco e male da giorni quel suo ventre obeso non perdeva centimetri di circonferenza. Si sentiva gonfio. Prese l’ombrello e scese nella pioggia e nel gelo.
Era il minimo che potesse fare: celebrare la Messa per gli aquilani costretti alla tenda in attesa della new town, della cittadina prefabbricata che era stata loro promessa dagli uomini delle istituzioni.
L’acqua del cielo aveva chiuso gli aquilani nelle case di tela impermeabile. I segni di vita erano i rumori che filtravano all’esterno: parole, pianti di bimbi, televisori accesi, musica. Il pianto degli adulti era silenzioso, non usciva all’esterno, era un dolore compresso, una matassa di rabbia e paura che opprimeva la bocca dello stomaco. La pioggia mitragliava le tende, annegava nelle pozzanghere, regalava nutrimento alla natura e nuove ragioni di lamento per la gente del terremoto. Cominciava a dare fastidio davvero, a inumidire i vestiti e le coperte, a filtrare all’interno di quei locali provvisori, rendendo la sopravvivenza uno strazio.
Vide un pallone uscire veloce da una tenda, seguito dai rimproveri di una madre e dalla corsa di un ragazzetto di una decina d’anni, con piccoli stivali verde semaforo che rincorreva la sfera a scacchi. “Basta! Basta col calcio!” urlava la donna. Don Marco si chiese se era stata lei a calciare fuori il pallone, esasperata, oppure il bambino, con un tiro più potente del consentito. Osservò la corsa traballante del ragazzo, che non si curava di scansare le pozze, pareva entrarci di proposito, con passi che facevano schizzare l’acqua provocando alti spruzzi. La palla si era fermata contro la tende di fronte. Il ragazzetto la prese con le mani e anziché tornarsene dentro per la via più breve, immaginò un rientro più lungo, per sfogarsi, per correre un po’. Passò vicino al sacerdote e don Marco disse: “Passa!” Il bimbo si fermò, riconobbe il prete che diceva Messa, superò la sorpresa e gli fece arrivare fra i piedi la sfera. Stop di piatto, passaggio di ritorno, e nel tempo di quei due movimenti calcistici rivide le sue partite giovanili, riassaporò il sapore del gol, della doccia dopo una vittoria sudata, le bevute alla fontanella in fondo al campo, per soddisfare la violenta sete dell’estate.   
Il piccolo immaginò di scartare chissà quale difensore e tirò contro un palo della luce, la palla rimbalzò, rotolò e finì a mollo in una delle pozze più profonde della tendopoli. La madre si affacciò da quell’uscio di plastica: “Marco, dove sei andato? Non mi fare uscire, altrimenti…” Si chiamava come lui. Lo ammirò nella sua resa all’obbedienza di figlio: raccolse la palla, la fece volteggiare in aria, la abbracciò come un portiere dalla presa sicura. Rientrò nella tenda.
La donna vide il prete. “Don Marco, vuole un caffè?”
Solo un mese prima avrebbe risposto ‘La ringrazio, come l’avessi preso, vado di corsa’ e invece disse di sì, volentieri, avrebbe fatto in tempo per la celebrazione.
Entrò. Di fronte al televisore un uomo, un adolescente e il piccolo Marco, che si stava togliendo gli stivaletti.
“Fa freddo” disse don Marco.
“Quando le fa storte, Dio ci va giù pesante” disse l’uomo, incenerito dallo sguardo della moglie. Ma lui fissava don Marco, quella frase era per l’uomo di Dio, da lui si aspettava una replica decente.
“Se conoscessi i pensieri di Dio” rispose don Marco.
“Se non li capisce lei” disse il padrone di casa.
Il prete si sentì a disagio, cambiò discorso. Per fortuna arrivò il caffè, lo bevve, ringraziò, salutò, guardò Marco che stava incollato al video. Il ragazzetto si girò e gli sorrise con la felicità incosciente dei piccoli, che non vedono lontano e s’accontentano del loro eroe televisivo, che dimenticano alla svelta, non ancora tarlati dal virus della memoria. Uscì, aprì il grande ombrello che aveva preso con sé e si diresse verso la chiesetta da campo: solo un’altra tenda, con un tavolo per altare, qualche sedia, un tabernacolo provvisorio e la candela rossa, accesa per non perdere la speranza che quel pane tondo e piatto fosse davvero il corpo secco di un Dio........        

      

sabato 27 agosto 2016

Il giorno che tremò la notte




....Il canto finale di quel funerale di massa ebbe inizio. Don Marco era molto stanco ma resisteva in piedi, una ridicola sofferenza per capire qualcosa del dolore vero. Immaginava che sarebbe stato impossibile comprenderlo, ma alla fine molti arrivavano a sopportarlo, naufraghi che lottano perché fa più paura la morte di tutta la fatica di vivere.
Avrebbe voluto essere invisibile, lui, solo, al cospetto dell’assurdità. Il cattivo odore del suo sudore gli saliva al naso, gocce sulla fronte, una fastidiosa umidità in tutto il corpo. La preghiera era penosa e vuota di speranza. ‘Persino un prete è ridotto così’ si disse, e le ultime note del canto salirono al cielo, un cielo smagliante, felice, irridente per il troppo sole, sorto a dare luce alla tragedia.
Cominciò la lunga operazione del trasporto delle bare. Il silenzio di minuto in minuto si riempiva di voci, riaccese dalla speranza rinata con la celebrazione; ma era più che altro la voglia di dichiararsi ancora vivi.
Don Marco restava immobile, cercando di intuire quale fosse la bara 123. Cominciò a girare fra le casse, e come lui tante altre persone. Gli ultimi saluti, gente in ginocchio, muti, qualche gesto di disperazione composta, piccoli pugni contro quel legno lucido, come a voler svegliare chi dormirà senza fine. Altri vagavano come in un labirinto, non ritrovavano la via d’uscita verso la felicità.
“Qualche parente?” gli chiese un uomo sulla sessantina.
“No, no” disse don Marco.
“E’ fortunato” rispose, con un sorriso sbieco che prese l’andazzo di una smorfia. Don Marco volle dare a quelle labbra scomposte un senso, che più o meno poteva suonava così: ‘Per forza, i preti non hanno parenti, i preti non hanno figli, i preti non capiranno mai un cazzo della vita vera. La loro vita che puzza d’incenso è comoda e falsa.’
Fu costretto a dargli ragione. Ma non era più disposto ad accettarsi così. Riprese la ricerca, bastava seguire i numeri, ben visibili di fianco al feretro. Così arrivò nella zona della 123. Li vide da lontano, un padre e una madre, dovevano essere sicuramente i genitori di Romano. Lui, alto, reggeva come una pianta dal tronco robusto la sofferenza di lei, che si appoggiava al solo sostegno rimasto, dopo quell’addio che nessuno si aspettava. Una chiamata al cellulare, vado via qualche giorno, tranquilli, tutto bene, poi un’altra chiamata che lascia intuire la tragedia, e un passo più in là il riconoscimento di un figlio sventrato, che non si è potuto salutare come si deve. E l’esistenza è finita. Per tutti.
Don Marco fu sul punto di continuare il cammino, voleva presentarsi, vedere i loro volti ma si fermò: non avrebbe trovato parole. Restò nel sole, ogni tanto metteva la mano a visiera, osservava i due che restavano immobili, chiudeva gli occhi, pregava.
Vennero anche per la bara 123, la sollevarono e il piccolo corteo prese la direzione del carro funebre, assegnato a quella morte. Volle seguirli da lontano. Considerò che in due, che un padre e una madre avrebbero condiviso, e quel boccone amaro si sarebbe diviso a metà. Forse ce l’avrebbero fatta, abbracciati così, dopo l’abbraccio che aveva generato Romano. Gli nacquero dentro le immagini di quel giovane, che era stato un bambino; lo vide correre, divertirsi, lo vide crescere, faticare nello studio, emozionato per i primi amori. Un sentimento ambiguo di rabbia e commozione, protesta e compassione gli si formò dentro e lo invase. Si fermò e si ritrovò senza un pensiero preciso inginocchiato, ad abbracciare una bara sconosciuta. E il pianto salì finalmente a liberarlo......     
   


La prima 'rizzàda'


                                                                                               ph carlozanzi


La prima volta in vita, a piedi,lungo il viale delle Cappelle. Sino alla Settima. Merita qualche scatto. 

La mia scuola - 43





Pochi i ricordi e le annotazioni, per l’anno scolastico 1986-87. Sempre preside Morcelli, che quell’anno (o forse il successivo) mi propose di fare il vicepreside, eccedendo nella stima nei miei con fronti. Naturalmente rifiutai, non ritenendomi assolutamente all’altezza, ultimo arrivato in quella grande scuola. Ricordo che vicepreside era allora la professoressa Gargiulo, e poi arrivò la professoressa Gambacciani. Campestre di istituto il 28 ottobre (foto) e poi quell’anno il Distretto di Varese (che aveva evidentemente dei soldi da spendere) chiamò a raccolta alcuni volonterosi prof. di ginnastica, proponendo l’organizzazione di alcune gare distrettuali. Come non bastassero già i Giochi della Gioventù, una decina di scuole aderirono, e così il 17 novembre 1986 venne organizzata a San Fermo la Prima (e unica, se ben ricordo) campestre del Distretto, seguita poi da un torneo di calcio e di pallavolo (foto). Il 15 maggio, la tradizionale partita prof-alunni di calcio, molto combattuta, con vittoria dei prof. per 5 a 3.   

43-continua

Il giorno che tremò la notte







......Il giorno che tremò la notte era un lunedì, il sei aprile duemilanove. Don Marco era in auto diretto a Roma ma nella Capitale non arrivò mai. Per le notti aveva chiesto ospitalità al parroco di uno di quei paese sgretolati; la canonica era rimasta in piedi, predilezione divina, o forse segno di speranza.  La mattina del dieci aprile, un venerdì, si era recato a L’Aquila, uno fra i cinquemila presenti ai funerali delle duecentocinque vittime del terremoto d’Abruzzo. Lutto nazionale, esequie di Stato, politici d’alto grado e prelati dall’anello pesante e dal lungo pastorale con la voluta; in più milleseicento parenti delle vittime e altre tremila persone, in piedi nella spianata, sotto un simpatico sole di primavera, che scaldava le proteste verso Dio e asciugava le lacrime. Ma le proteste erano troppe e circostanziate; le lacrime si riformavano subito e scivolavano lungo il solco già tracciato.
Per giungere alla spianata di cemento, dove era stato allestito l’altare, don Marco aveva costeggiato alcuni campi sportivi di tennis e di pallacanestro. Lungo la via si erano incolonnati gli oltre duecento carri funebri, una fila di mezzo chilometro; quindi alcune ambulanze, mezzi dei Vigili del Fuoco e le spalle dei presenti, divisi per settori.
Pensò che avrebbe preferito starsene in piedi ma il più vicino possibile alle bare. Aveva saputo che quel giovane era stato estratto dai ruderi della casa, che si chiamava Romano e che ora riposava disteso nella bara numero 123. Era stato informato anche di Roberta, la giovane che era nel letto con lui, ricoverata in coma in un ospedale della capitale abruzzese. Non li aveva abbandonati più. Pensare a loro, stare con loro gli faceva bene; la loro storia di dolore lo rendeva meno prete e più uomo. Aveva preferito salutare il giovane per l’ultima volta; per Roberta ci sarebbe stato tempo.
Quattro lunghissimi tappeti rossi isolavano il legno dal cemento. Sopra ogni tappeto s’adagiavano i corpi, nascosti dal feretro, di oltre cinquanta vittime di quel rutto di morte. Molte le bare bianche; soprattutto su quelle si inginocchiavano genitori increduli, sfatti dal dolore. Sopra il coperchio di alcune delle bare più piccole stavano appoggiati giocattoli e altri oggetti, compagni di giochi e di emozioni di chi era stato schiacciato dalla sua casa, il luogo più rassicurante. Oltre i morti era stato allestito un palco azzurro, con baldacchino, a riparo della pioggia o del sole.   
La maggior parte dei presenti piangeva o recava intorno agli occhi il segno della commozione. Questo lo disturbava, perché a lui non riusciva di piangere. Nemmeno pensando a Romano e Roberta, che aveva visto e accarezzato. Nessuno sfogo gli usciva dagli occhi. Di fronte a quell’immane tragedia, gli parve di soffrire troppo poco. La ragione gli aveva imposto di lasciar perdere Roma e quella promozione, quasi un’offesa se commisurata al dramma di una terra ferita nel profondo. Ma perché non gli bruciava il cuore?
Guardò un militare, uno fra i tanti presenti sotto il cielo d’Abruzzo, chiamato per il servizio d’ordine. Giovane, stropicciava il cappello d’alpino fra le mani, tratteneva il pianto ma si capiva che ce l’aveva lì, pronto a tracimare. Era bello nella sua compassione. Avrebbe voluto rubargli quel segreto elementare, quell’abilità che scalda, che fa bene.
Alcuni uomini del servizio d’ordine si avvicinarono ai parenti che stavano in ginocchio ai piedi delle bare. Era solo per dire loro che presto sarebbe iniziata la funzione religiosa. Ma erano timorosi al cospetto di quella afflizione. Arrivò anche l’annuncio al microfono. Partì il suono di un organo, un organetto da campo, non all’altezza di quella cerimonia. Una musica afona, gracchiante. Seguì il coro, voci piene, forti, calde. Alcune mamme e papà si staccarono dai loro figli e andarono ad accomodarsi nei posti loro assegnati; altri parevano di pietra, un corpo solo con la cassa di legno e con il morto nel buio. 
Il canto ebbe fine e cominciò la Messa. Don Marco seguiva senza concentrazione. Era distratto da pensieri apparentemente senza alcuna connessione. Poteva riflettere su Dio e su quel suo amore illogico, disumano e un istante dopo ritornare a quei suoi occhi secchi, al cuore freddo, poco carnale; cominciava ad essere stanco, avrebbe voluto sedersi, il sole era caldo e fastidioso, si era dimenticato in auto gli occhiali scuri, la luce lo abbagliava, vedeva piccole macchie nere apparire e scomparire sul suo campo visivo. Cercò di concentrarsi, sarebbe stato un segno di rispetto verso quei corpi martoriati. Si sentiva a disagio, non giudicava congruo il suo comportamento, date le circostanze. Fissò l’altare, notò che due uomini politici erano distratti, parlavano fra di loro. Un altro spense il telefono cellulare, ma prima lesse un messaggio.
Venne l’ora dell’omelia. Conosceva personalmente il Cardinale che celebrava. Lo stimava. Anni addietro era passato anche attraverso la prova dell’invidia, del desiderio di raggiungere il suo grado episcopale. Ma era trascorso il tempo, svanite le speranze di arrivare così in alto e nell’accontentarsi di un destino più sobrio aveva imparato ad invidiare di meno.
Ebbe un pensiero disturbante, che tradotto voleva dire: ‘Vediamo cosa sarai in grado di dire, al cospetto di tutta questa insensatezza.’ E per un attimo divenne cattivo, augurandosi che il Cardinale facesse la figura del prete, capace di insegnare agli altri con frasi imparate alla scuola della Parola di Dio, ma poco compassionevoli. Si pentì di essere così stronzo. Cercò di strappare via quella gramigna, dalle lunghe radici avvinghiate alla sua anima debole......        




My city of ruins


Pare che il grande Bruce abbia dedicato questa canzone, durante il suo ultimo concerto a New York, ai terremotati del Centro Italia


My city of ruins
di Bruce Springsteen

There's a blood red circle
on the cold dark ground
and the rain is falling down
The church doors blown open
I can hear the organ's song
But the congregation's gone

My city of ruins
My city of ruins

Now the sweet veils of mercy
drift through the evening trees
Young men on the corner
like scattered leaves
The boarded up windows
The hustlers and thieves
While my brother's down on his knees

My city of ruins
My city of ruins

Come on rise up!
Come on rise up!

Now there's tears on the pillow
darling where we slept
and you took my heart when you left
without your sweet kiss
my soul is lost, my friend
Now tell me how do I begin again?

My city's in ruins
My city's in ruins

Now with these hands
I pray Lord
with these hands
for the strength Lord
with these hands
for the faith Lord
with these hands
I pray Lord
with these hands
for the strength Lord
with these hands
for the faith Lord
with these hands

Come on rise up!
Come on rise up!


Versione italiana di Alessandro Portelli, tratta dal libretto dell'edizione italiana del disco "The Rising"
LA MIA CITTÀ DI ROVINE

C'è un cerchio rosso sangue
sulla fredda terra scura
e la pioggia cade
la porta della chiesa
è spalancata
sento il canto dell'organo
ma i fedeli non ci sono più
la mia città di rovine
la mia città di rovine

E le dolci campane
della misericordia
si diffondono fra gli
alberi della sera
i ragazzi all'angolo
come foglie disperse
le finestre sbarrate
le strade vuote
mentre il mio fratello
cade in ginocchio
la mia città di rovine
la mia città di rovine

Avanti, alzati!
Avanti, alzatevi!
Avanti, alzati!
Avanti, alzatevi!
Avanti, alzati!
Avanti, alzatevi!

Ci sono lacrime adesso
sul cuscino
dove dormivamo, cara
ti sei portata il mio cuore
quando sei andata via
senza il tuo dolce bacio
la mia anima è
sperduta, amica mia
dimmi, come faccio a
ricominciare?
la mia città è in rovina
la mia città è in rovina

E con queste mani
con queste mani,
io prego Signore
con queste mani
con queste mani
prego di avere la forza,
Signore
con queste mani,
con queste mani
prego di avere la fede,
Signore
preghiamo per il
tuo amore, Signore
preghiamo per i perduti,
Signore
preghiamo per questo mondo,
Signore
preghiamo di avere
la forza, Signore
preghiamo di avere
la fede, Signore

Avanti,
avanti,
avanti, alzati!
avanti, alzatevi!
avanti, alzati!
avanti, alzatevi!
avanti, alzati!



Ritorno dalle Romite

                                                                                                ph carlozanzi


Dopo decenni, stamani sono tornato su dalle Romite Ambrosiane, a Santa Maria del Monte, in quella piccola chiesa che è il luogo abitato più alto del Sacro Monte, ad altezza di campane. Una Messa per Marco. Sentimenti contrastanti, ricordi di giornate di ritiro in quei luoghi, quando la mia fede non era certa ma aveva gambe più allenate, un poco correva. Poi, alla fine, dietro la croce, la ventina di suore romite che hanno scelto di spendere la loro vita nella preghiera sono tornate nel loro silenzio.   

venerdì 26 agosto 2016

Vacanze 'spirituali' Shalom



Ormai di cartoline ne riceverò due o tre all'anno, non di più. Una è quella estiva della comunità Shalom, scritta come tradizione dall'amico Gigi. Scrive l'amico: 'Dopo decenni di vacanze montane, nell'anno giubilare della Misericordia vacanze spirituali: Loreto, Assisi, Sansepolcro....' E in effetti la cartolina riproduce la Resurrezione di Piero della Francesca, che si può ammirare al Museo Civico di Sansepolcro.
Grazie, amici!

Una Messa per Marco


Domani, sabato 27 agosto, alle ore 8, nella cappella delle Romite Ambrosiane al Sacro Monte, verrà celebrata una Messa per mio fratello Marco. 

La mia scuola - 42



L’anno scolastico 1985-1986 fu caratterizzato dalla mia scelta di rimanere a casa quattro mesi con Valentina, la mia prima figlia. Dal 14 settembre 1985 al 16 gennaio 1986 lasciai la Vidoletti, per sperimentare il ruolo di ‘papà a tempo pieno’. In pratica lavorai solo il secondo quadrimestre. Fra le annotazioni di quell’anno particolare, ricordo che i ragazzi erano sottoposti a visita medica nell’infermeria della scuola. Anche se non considero certo i risultati ottenuti ai Giochi della Gioventù la prova di un successo professionale (sono solo una parte minima del lavoro, gratificazioni destinati ad alunni particolarmente dotati, che in genere praticano sport oltre le due ore di educazione fisica), spesso qui citerò i risultati di quelle prove, perché sono i soli che ho annotato. Noto ad esempio che allora si svolgevano ancora le fasi comunali di atletica leggera, rilevo che noi alla Vidoletti organizzavamo la fase di istituto di atletica leggera a giugno, praticamente negli ultimi giorni di scuola. E per stare all’atletica, è proprio di quell’anno scolastico la prima partecipazione della Vidoletti (con la mia presenza come prof) alle Finali nazionali di Roma, in quel caso di atletica leggera. Le cose andarono così. Io contribuii ad allenare i ragazzi, l’atletica leggera stava diventando per me molto importante, come sport da proporre agli alunni. Non li seguii però alle fasi provinciali, che si svolsero a Busto, se non erro. Allora chi vinceva le provinciali accedeva direttamente alle nazionali, molto partecipate. Arrivammo secondi con la squadra maschile. Delusione, ma poco dopo arrivò la telefonata di Mimmo Zagonia: la prima squadra era stata squalificata, perché un alunno era fuori età. La Vidoletti sarebbe andata a Roma. Avendo io la bambina piccola, chiesi a Gabriella Frattini, la collega, se era disposta a quel viaggio. E andò lei. Ricordo fra gli altri Fabrizio Cicchelero, il nostro ostacolista, poi Nobili al salto in alto, gli altri li ho dimenticati. Purtroppo non ho alcuna immagine di quella squadra e di quella bella avventura sportiva. Solita vittoria dei prof. nella partita prof-alunni di calcio, con don Marco in grande spolvero: 6-1. Il don scriverà sotto la foto che vedete: 'A Carlo Zanzi, stopper aitante e roccioso...il tuo capitano don Marco.'

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Dulcis in fundo


                                                                                                   ph carlozanzi


Grande festa postmatrimoniale ieri sera, per gli sposi Sara e Giacomo e i numerosi amici, alla Villa Bossi di Bodio Lomnago. Lo sposo appare già spossato, ma si riprende subito per la foto di gruppo. In alto le mani...in alto i calici..in alto i cuori!

giovedì 25 agosto 2016

La mia scuola - 41



Di quel primo anno alla Vidoletti ricordo (grazie soprattutto alla mia Agenda) una clamorosa sconfitta a basket contro la Pellico (70-116), vittorie invece nel volley, ricordo la gita a Venezia il 3 e 4 maggio 1985, con la presenza anche del preside Lorenzo Morcelli, profondo conoscitore di quella città. Ricordo poi l’organizzazione della fase di istituto di atletica leggera, con il coinvolgimento di tutte le classi, una mattina allo stadio ‘Ossola’. E qui c’è una testimonianza fotografica, il sottoscritto (molti anni in meno e molti capelli in più) giudice al salto in alto. E’ il 27 maggio 1985. Ricordo che in quel periodo vivevo sì il mio impegno professionale, ma ero molto impegnato anche con progetti di solidarietà, tanto che trovai un terreno favorevole alla Vidoletti, grazie soprattutto al dirigente scolastico, uomo di grande generosità. Avendo un mio caro amico missionario in Uganda, padre Mauro Serragli, avevo organizzato una raccolta di fondi per l’acquisto di una brillatrice per il riso, da inviare a Lira, in Uganda. E di lire se ne raccolsero parecchie, 919.000, che vennero offerte a Mons. Riccardo Pezzoni, prevosto di Varese. Capisco che questo abbia poca attinenza con la mia professione, ma è per dire che la Vidoletti era (ed è) scuola attenta al sociale, va bene l’istruzione ma anche la sensibilità verso chi è nel bisogno. Ricordo poi, stando alla corsa campestre, che venne organizzata al pomeriggio, mentre la fase comunale si disputò alla Schiranna, terreno insolito per una corsa campestre.


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Sara & Giacomo sposi

                                                                                                   ph carlozanzi

Chiesa, auto, fiori e parenti (in foto, padre, madre e zia della sposa): tutto concorre ad un buon matrimonio!

Sara e Giacomo oggi sposi

                                                                                                ph carlozanzi


Sara, figlia dei miei cari amici Giancarla ed Ezio, si è sposata stamani, giovedì 25 agosto, con Giacomo, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Daverio. Papà Ezio emozionato, i celebranti (dei quali conosco solo don Carlo, parroco a Biumo Inferiore, e padre Mauro, missionario comboniano, mio amico negli anni giovanili della Shalom), foto di gruppo e bacio appassionato. Le premesse sono buone, la promessa è stata pubblicamente declamata....via, si parte! W gli sposi!

mercoledì 24 agosto 2016

Il giorno che tremò la notte



.......Peppo vide partire la vettura dei due carabinieri. Avevano acceso la sirena ma l’avevano spenta subito. Non c’era traffico lassù: solo paura, fatica, rabbia. Peppo, chissà perché, si fissò nella mente la targa della camionetta, E.I. 12578 e guardò Giorgio: “Dai che uno l’abbiamo tirato fuori” disse.
“Speriamo. Povera figliola.”
“Ma è viva.”
“E’ viva, è viva...”
Guardarono il tetto mutilato, la scala contro la parete della casa, il cielo ferito. Due persone stavano lavorando, spostando piccoli detriti, briciole.
“Con lui non ci si riesce” disse Giorgio.
“Ci vuole la gru” disse Peppo.
“Troppo tardi ormai.”
Per un attimo i loro sguardi si incrociarono. Occhi rossi, gonfi, mani ferite, terra fra i capelli, sui vestiti. Peppo aveva il viso scavato, incazzoso, rughe profonde. I tratti somatici di Giorgio erano quelli della persona paziente, che spera, quieta, riflessiva.
“Che facciamo? Andiamo su?” chiese Peppo.
“Diamogli il cambio, dai” e Giorgio alzò lo sguardo verso la scala e il cielo.
Arrivò un’ambulanza. Peppo pensò che non sarebbe più servita, almeno in quel cortile. Ma l’immagine triste del giovane schiacciato dal terremoto gli procurò una ribellione potente, prese Giorgio per un braccio: “Per la Madonna, saliamo, dai, ce la si fa, ce la si fa ancora.”
Giorgio lo seguì. Aveva già un piede sul piolo e si ricordò del sacerdote. “E quel prete? E’ ancora dentro casa?”
“Da lì non combina una sega” disse Peppo.
“Rischia soltanto.”
“Io salgo, vado su a controllare.”
“Arrivo” e Giorgio torno ad appoggiare i piedi a terra. Si avvicinò all’uscio.
Lo vide a metà scala, con le mani nei capelli. Era una macchia nella penombra e nel freddo. Non lo conosceva, cosa avrebbe potuto dirgli? Perché si era intestardito nella scelta di provarci da lì sotto? Chi era questo don Marco? Da dove veniva? Non avevano avuto tempo di presentarsi, si erano messi subito a spostare tegole.
“Venga fuori” urlò Giorgio.
Don Marco alzò la testa ma non rispose.
“Ci sono le scosse, perché rischiare?”
Don Marco disse qualcosa, Giorgio pensò di poter tradurre con un adesso esco, ma non ne era sicuro.
Il tuono di una nuova scossa d’assestamento partì da lontano, come un ruggito o un lamento di animale ferito. Crebbe e cominciò a piovere calcina dalle pareti.
“Fuori, fuori!” urlò Giorgio, che corse all’aria aperta.
Gli uomini sul tetto si erano già preparati alla fuga. Peppo era a metà scala, uno era già nell’aia, l’altro invitava a far presto, dall’alto della casa.
“Tutti via, questa è forte” urlò un giovane che stava nel cortile. Peppo toccò terra e si mise a correre. Giorgio restò immobile, a due metri dalla porta d’ingresso, sventrata dal sisma. Fece un passo verso il prete ma si fermò. Aveva troppa paura.
La gente scappava dalle case, chiedendosi se non avessero già sofferto abbastanza, se il male non si fosse ancora sfogato.
“Viene giù, viene giù” urlò una donna. La scala appoggiata alla parete si sbilanciò verso il vuoto. Cadde a pochi metri da Giorgio con un gran colpo e si spaccò nel mezzo.
Il tremore della terra crebbe di nuovo. Giorgio fece due passi indietro, immaginò la parete della casa che si sbriciolava, pensò che a quella distanza non era al sicuro. Un pezzo di grondaia si staccò del tutto. L’uscio di casa venne oscurato dalla terra mossa dai detriti. Una nuvola. In quella nuvola filtrò l’urlo di Giorgio, che chiamava disperatamente don Marco. E dalla nuvola, di corsa, venne fuori il prete, inciampò sulla scala, finì a terra senza grazia, si rialzò con calma, come chi cerca di nascondere con la noncuranza la brutta figura di una goffa caduta.
Giorgio era corso a dargli una mano.
“Ce la faccio, ce la faccio, grazie…” disse don Marco.
La casa cedette all’improvviso. Si ripiegò, riempì di macerie gli spazi che avevano ospitato vite umane, avventure, destini, sesso.
Lo spostamento d’aria sollevò una nebbia densa. Don Marco e Giorgio erano rimasti i soli nel cortile. L’auto dei due giovani venne sommersa dalle pietre. Più che vedere, i due sentirono la casa crollare, spinti dallo spostamento d’aria. Terrorizzati, si erano messi a correre verso la strada provinciale........