domenica 22 dicembre 2024
Un panettone da tre punti
sabato 21 dicembre 2024
Terra e gente n° 32
E' stato recentemente presentato a Brezzo di Bedero l'annuario 'Terra e gente', giunto al n° 32. Il libro, che ha per sottotitolo 'Appunti e storie di lago e di montagna', prezioso volume che riguarda la Comunità montana Valli del Verbano, è stato curato da Serena Contini, che coordina il Comitato di redazione composto, oltre che da lei, da Francesca Boldrini, Federico Crimi, Ercole Ielmini, Stefania Peregalli e Gianni Pozzi. Scorrendo l'indice, troviamo i seguenti contributi: Dino Azzalin (L'amico Enrico Baj), Debora Ferrari (Giancarlo Sangregorio, scolpire il cuore del mondo), Serena Contini (Leonardo Sciascia e Renato Guttuso a Velate), Giorgia Cerati (Un castellano a Laveno: Angelo Biancini e la Società Ceramica Italiana), Claudia Biraghi (Fausta Cialente, una scrittrice che amò Caldana), Alberto Brambilla (Per Vittorio Sereni. Postille e divagazioni), Gaetano Blaiotta (Poesie), Flavio Saporetti (L'avifauna della Comunità Montana Valli del Verbano), Gianmario Pinciroli (Il compasso e l'elica), Gianni Pozzi (Il monte Nudo), Enrico Fuselli (La 'Società ex combattenti per l'alpeggio' di Montegrino), Riccardo Prando (L'Associazione Club Brinziese compie 150 anni), Maurizio Miozzi (In punta di penna...) ed Ercole Ielmini (Album fotografico, foto-cartoline del lago Maggiore di Beppe Beltrami).
Oltre 200 pagine, realizzate con una grafica accurata, apparato iconografico di pregio.
Il viaggio di papà Mario - 27
E
la soluzione per il dolore alla gamba per fortuna arrivò. Dopo una più accurata
visita finalmente si scoprì che si trattava di artrosi dell’anca e che era
necessario l’intervento, che venne programmato per il mese di marzo 2012 all’Humanitas
di Rozzano. La previsione dell’intervento risolutore alleviò la depressione di
papà Mario che affrontò l’operazione di protesi d’anca, a 86 anni d’età, senza
alcun timore. Tutto andò per il meglio, la riabilitazione si svolse in parte a
Rozzano (foto) in parte a Varese, e fummo tutti sorpresi nel vedere i veloci miglioramenti.
Niente più dolore, niente più depressione. Si aprì così un altro capitolo della
storia del Mario.
27
- continua
James, una palla, un cesto
Carlo Meazza, fotografo di paesaggi
Bici, lambrusco e torso nudo
venerdì 20 dicembre 2024
Il viaggio di papà Mario - 26
Il
2011 sta per finire, e per papà Mario sono dolori. Avverte da qualche tempo
male all’inguine e ad una gamba, e questo lo mette in crisi, perché mina la sua
completa autonomia. Il sospetto di dover dipendere da qualcuno, unito al fatto
che le prime cure non danno alcun risultato, lo portano in crisi depressiva. E
allora passerà le sue giornate di quei mesi rimanendo a casa mia sin nel primo
pomeriggio, poi da mio fratello Guido e tornando a casa solo per dormire. Un
triste periodo, che però pare smentito da queste due immagini. La prima è del
novembre 2011, sorride per il compleanno della nipote Caterina. Quindi il
Natale, con il pranzo dai miei suoceri Elio e Anita. Si noti il bastone, che
aiutava mio papà nel cammino. Già da tempo aveva l’abitudine di recarsi da Elio
e Anita verso sera, e insieme pregavano il rosario di TV2000. E intanto il
Mario pregava i suoi figli che trovassero una soluzione a quel mal di gamba,
che lo stava torturando.
26 - continua
Il racconto di Simone
La bottega delle cose
perdute.
Era quasi terminata una
giornata come tante altre, in Comune. Ma il ragionier Marchetti, mentre si
occupava della mole di domande, interrogazioni, esposti, che si ritrovava
quotidianamente sul computer, stava pensando all'ufficio accanto.
Non che i colleghi con
i quali divideva l'ampio locale non fossero simpatici (anche se ormai erano
rimasti in tre, e altre due postazioni desolatamente vuote facevano da
contraltare alle loro; era ormai diventato difficile condividere non solo il
pensiero, ma anche il lavoro); preferiva l'altra stanza perché ci si poteva
ancora incontrare la gente.
Tra le sue mansioni vi
era anche la “gestione amministrativa dell'Ufficio Oggetti Smarriti” (scritto
così, con le maiuscole), che lui però chiamava “La bottega delle cose perdute”.
Aveva anche messo un cartello con questa dicitura, sulla porta.
Una voce nota e amica
lo riportò alla realtà: “Ciao! Non hai idea della mia gioia quando mi hai
telefonato”.
“Buongiorno,
Dond....ehm Don Luigi, come sta?”
E Don Luigi, sapendo
perfettamente che lo sciagurato lo chiamava Don Dante da quando un'anca,
bisognosa del pezzo di ricambio, aveva modificato la sua andatura, fece finta
di nulla e rispose: “Benissimo: siamo nelle mani del Signore, e la tua
telefonata me lo ha confermato.”
Era stata ritrovata
(forse perché il buontempone autore del misfatto l'aveva messa bene in vista
nel parchetto di fronte agli uffici, spinto dalla coscienza) la statua del bue
del presepe che ogni anno il parroco allestiva sul sagrato. Un arnese di legno
alto circa mezzo metro e pesante una decina di chili.
Ne era rimasto molto
rattristato, e durante la predica della notte di Natale aveva detto che gli
dispiaceva in modo particolare perché era il personaggio che più gli
assomigliava per via della sua “abbondanza” (era quello che si definisce un
marcantonio, e dissimulava tutto con il suo senso dell'umorismo).
Stavano per passare
alla parte burocratica della faccenda quando si affacciò alla porta quello che
in ufficio chiamavano “il capo”.
“Don Luigi carissimo i
miei rispetti! Come va la parrocchia? Sempre in giro a far del suo meglio eh...
se ha bisogno di qualche consiglio per far funzionare meglio le cose io sono
qui. Ad esempio, è vero che sta facendo il giro delle benedizioni a piedi? Non
fa troppa fatica? Non è meglio provvedere in streaming? Risparmierebbe tempo e
fatica, con quella gamba...”
“Il bello è che non si
capisce se creda davvero di essere d'aiuto, o di essere divertente, a dire
queste cose...”, pensava intanto il buon Marchetti, e nel frattempo compilava
la ricevuta per il prete. Ma a quest'ultimo non era sfuggito il fatto che l'ombra
che da qualche tempo si portava dentro si era trasferita al suo sguardo.
“Vede, ormai siamo alle
soglie dell'intelligenza artificiale. Il futuro della Bottega del Marchetti, ad
esempio, è una bella applicazione del telefonino, con la quale potrà scoprire
che la sua statuetta, o il suo cappello, il suo documento, e via discorrendo,
sono stati ritrovati e sono disponibili. Non avrà che inviare via telefono la
prova che l'oggetto è suo e riceverà un codice con il numero dello sportello
automatico che si aprirà, giù nel parcheggio. Così potrà ritirare la cosa senza
nemmeno dover telefonare, venire qui a parlare con un operatore...comodissimo
no?”
Il prete rispose:
“Meraviglioso, davvero! Però sa, io sono un povero vecchio prete, appena
tornato dal giretto settimanale nella casa di riposo, dove posso parlare con
persone che purtroppo non hanno più la memoria molto a posto: il bello è che
quando ne esco mi sento leggero come una piuma, e sereno. Mi sembra perfino di
camminare diritto. Per cui non si offenda, preferisco la demenza naturale.
Prenda ad esempio il Bue, che sto ritirando: lui non lo sapeva, ma solo per il
fatto di essere lì era d'aiuto al suo Creatore.
Le nostre super
macchine velocissime sono fantastiche per portare in giro le informazioni, o le
cose, perfino il Bene e il male. Il Bene però è meglio portarlo in giro a
piedi: si fa più fatica ma alla fine dà più soddisfazione. Anche per il servizio del Marchetti, ad
esempio; non so se con l'app sullo smartphone avrei potuto vedere la felicità
della sciura Rosa, che ho incontrato ieri giù nel piazzale.”
L'altro sorrise, con
aria di benevolenza: “Non cambierete mai, ma il percorso è tracciato, il mondo
va avanti...dovrete farvene una ragione prima o poi. E vedrete che sarete
contenti. I miei rispetti!” salutò.
Don Luigi allora disse:
“Giorgio, non ti adombrare, e non perdere la Speranza: tu trova il modo di
rimanere umano in quello che fai, e guarda in alto. E' così che si genera, è
così che si rimane vivi; in ogni circostanza.”
E così, terminata
l'operazione recupero bue, il Marchetti tornò con la mente al giorno prima. La
sciura Rosa si era presentata in ufficio, dopo che l'aveva fatta avvisare dalla
parrucchiera del paese, che funzionava da “centrale operativa” delle opere di
bene, e in questo caso poteva raggiungere meglio l'obiettivo.
Era entrata in ufficio
vestita di tutto punto, col cappotto e il cappellino della festa, per
recuperare il portafogli che le avevano rubato; era stato ritrovato in un
cestino della spazzatura, senza i soldi ma fortunatamente con tutti i
documenti.
“Signora Rosa,
buongiorno! Sono davvero contento di poterle consegnare il portafogli: almeno
può evitare la trafila di rifare i documenti”, le aveva detto.
“Non è quella la cosa
più importante”, aveva risposto, con la voce tremante che faceva trasparire un
po' di trepidazione. “Posso vederlo?”
“Certo signora, glielo
consegno subito.”
L'aveva aperto come se
fosse tornata bambina, in procinto di scoprire un regalo di Natale, e ne aveva
tratto una piccola foto, esclamando trionfante: “Dio sia lodato! C'è! C'è!”.
Si era messa perfino a
ballare dalla felicità, abbracciando poi il povero Marchetti, stupito da quella
donna che aveva perso il contegno dignitoso per cui era conosciuta.
La foto era la stessa
che si poteva vedere sulla tomba del marito: l'unica che era rimasta della loro
piccola creatura, che li aveva lasciati pochi mesi dopo la nascita.
Si riscosse, e si
affacciò alla finestra. Era quasi ora di chiudere.
Nel parcheggio due
uomini andavano in direzioni opposte.
Il primo, una mano
in tasca, l'altra col telefono all'orecchio, ondeggiando verso l'automobile
parcheggiata (“Non si capisce se è lui che porta in giro la sua pancia o se è
la pancia, che porta in giro lui”).
L'altro dondolava
paurosamente per via dell'anca, sotto il peso di una statua del presepe, con la
tonaca che svolazzava nell'aria della sera, verso la canonica.
E finalmente
sorrise, perché guardando il cammino del prete gli pareva di sentire la marcia
trionfale dell'Aida.
Simone Mambrini
giovedì 19 dicembre 2024
Il viaggio di papà Mario - 25
Due
foto che testimoniano altri due momenti felici per mio papà Mario. In alto una
singolare immagine di un conto, fatto da mio fratello Paolo. Siamo nel 2009, 1000 mesi di vita per papà Mario, 100 per il nipote Riccardo.
Sorriso smagliante invece nella seconda foto. E’ il primo luglio del 2011, è il
primo matrimonio di una nipote di nonno Mario, Marta, che convola a nozze con Fabio.
Messa nella chiesetta di Santo Stefano a Bizzozero, pranzo alla Furnasa di
Biandronno. Fa molto caldo. Tutto sembra andare per il meglio, ma per l’ottantacinquenne
Mario Zanzi si sta preparando una nuova battaglia.
25
- continua
Sport Uninsubria al top
mercoledì 18 dicembre 2024
Il viaggio di papà Mario - 24
Questa
foto, scattata a casa mia alla fine del 2010, mi permette di tornare su un
argomento che forse ho già sfiorato in questa cronaca sintetica. Papà Mario,
come il vino, migliorava con gli anni, ma soprattutto andava aumentando la
simpatia che riusciva a creare intorno a sé, in particolare fra i miei amici, che
vedevano nel Mario una grande carica vitale, un ottimismo ferreo, il desiderio
di raccontare e di raccontarsi. E più di un mio amico sottolineava quanto fosse
diverso da me, tendente invece alla malinconia e alla introspezione.
24
- continua
martedì 17 dicembre 2024
Il viaggio di papà Mario - 23
Nella
poesia Pà che ho dedicato agli ottant’anni di papà Mario, faccio cenno ad
alcuni regalini che mio papà era solito portare ai suoi figli e alle sue nuore:
i bucaneve alla fine dell’inverno, i mughetti ai primi di maggio, le castagne e
poi alcuni dolci tradizionali, come il pan dei morti e le ossa da mordere (ai
primi di novembre), le colombine per Pasqua, e poi il patè per Natale, il pan
meino eccetera. Mio fratello Guido ha ereditato la ricetta del patè del Mario e
per fortuna è in grado di rifarlo. Un giorno di fine estate del 2010 ho
invitato papà Mario a casa mia, obbligandolo a lasciarmi (compresa una
dimostrazione pratica) la ricetta del pan meino, dolce tipico
milanese-varesino, realizzato con i fiori secchi di sambuco, che a Varese
abbondano. Il Mario arrivò, si rimboccò le maniche e portò a termine il suo
compito di testimonianza. Ecco il risultato fotografico. Per la verità da
allora non ho mai fatto i pan meini, ma ho la ricetta e le foto, prima o poi mi
cimenterò. Un giorno ero impegnato nella realizzazione della pasta frolla. La crostata
è il solo dolce che so mettere in forno. Il Mario mi vide che impastavo gli
elementi dentro una ciotola, mi sgridò bonariamente, spiegandomi che avrei
dovuto fare la montagna di farina, il cratere in mezzo, uova, burro, zucchero e
‘mettere le mani in pasta’, non aver paura di sporcarmi le mani. La foto
dimostra il metodo che ho descritto.
23
- continua
lunedì 16 dicembre 2024
Elevazione musicale
Il luccio
Sono stato anche pescatore. Per pochi anni, diciamo dal 1968 al 1971. Una passione forte, tanti sogni, pochi pesci. I pescatori d'acqua dolce sognano soprattutto la cattura del luccio. Io di lucci non ne ho mai pescati. Mio cugino sì, Lorenzo Tamborini detto Renzo, mio idolo di quegli anni. I narratori hanno il privilegio di rifarsi, almeno sulla carta. Questa è la mia vendetta.
Il luccio
I
due cinquantini rombavano alle prime luci dell’alba. Marco era in sella al suo
adorato Fantic Caballero rosso fuoco, Sandro poggiava il culo sopra un
proletario Demm grigioverde, manubrio basso alla Giacomo Agostini. Finiva
maggio; in discesa sul Sasso di Gavirate, alle sei del mattino, non faceva
caldo. Arrivarono all’imbarcadero di Laveno, ci volle del tempo prima che le
dita fossero pronte ai nodi e alle manovre che precedono la pesca. La prima
delusione: “Fischia! Vuoi vedere che ho dimenticato il mulinello?” disse Marco.
Rovistò, incredulo e incazzato.
“Trovato?”
“Trovato
un bel niente.”
“Ti
è andata bene. Ho qui un Mitchel in più. Filo grosso ma meglio grosso che
piccolo.”
Marco
fece un pensiero sconcio: sempre lì i maschi andavano a parare.
“Fammi
vedere…Sei un amico.”
“Dammi
una sigaretta.”
Così
i due affumicarono i loro giovani polmoni con le Turmac piatte, un pacchetto di
cartone rigido che Marco aveva rubato a suo padre.
Il
sole saliva rapido, il lago prendeva colore d’argento, il lungolago accoglieva
i pescatori della domenica. Attraccò il primo battello, Marco decise di
lanciare il grosso galleggiante verso un tronco piantato sul fondo, che
delimitava la zona destinata al natante. Avevano in mente di cacciare scardole
panciute, minimo un paio d’etti, al più qualche cavedano, ma l’abbondanza del
pescato era inversamente proporzionale alla bellezza del paesaggio, verniciato
di fresco da quella mattina di primavera. E il tempo scappava.
“Cagnotti
sprecati” disse Sandro. “Potevamo starcene a dormire.”
“Abbi
fede…” poi Marco guardò l’orologio, impaziente. “Però sono già le dieci…Troppa
gente in giro.”
“Sei
tu che hai voluto venire di domenica.”
“Ci
conviene puntare sulle alborelle.”
“Mi
sa di sì.”
L’acqua
scura del Verbano mandava riflessi metallici: erano le alborelle in frega, che
regalavano la gioia minima di chi si sa accontentare. Infatti più di un
pescatore aveva scelto la lanzettiera, lanciava nemmeno troppo lontano il
galleggiante sferico biancorosso, recuperava dopo minuti di pazienza e sulle
lanzette restavano infilzate per la gola due, tre, quattro, persino dieci
alborelle che danzavano l’ultimo ballo, prima di morire dentro un sacchetto di
cellophane.
I
due cambiarono lenza, trapassarono i corpi dei cagnotti sulle lanzette,
lanciarono e attesero. Un’ora dopo non si erano pentiti della scelta.
“Sarà
contento mio padre” disse Marco. “Di certo preferisce l’alborella alla
scardola.”
“Il
mio odia il pesce” disse Sandro.
“Dalle
a me.”
“E
tu mi dai un’altra sigaretta.”
Ricaricarono
il pungiglione assassino con le larve di mosche carnarie, lanciarono verso la
riva opposta, attesero.
Suonò
mezzogiorno. Marco stava pensando di mangiarsi il panino con la bologna,
appoggiò la canna alla ringhiera, si voltò verso il Caballero e la canna finì a
terra, si rimise in piedi e partì come volesse farsi un tuffo nel lago. Marco
l’afferrò all’ultimo, prima di perderla. “E che cavolo!” esclamò. “Che
succede?”
“Minchia…Cosa
ha abboccato?”
La
canna si era piegata, minacciava di spezzarsi, soprattutto sul cimino. In
direzione del galleggiante il lago s’increspava, ribolliva, le alborelle
scappavano, i pescatori e chi passeggiava per diletto o noia si girarono verso
quella scena inattesa. Dubbi non ce n’erano. Non si trattava di una lanzetta
che si era incastrata nelle alghe o sotto qualche masso; lì a lottare fra la
vita e la morte c’era carne viva, un grosso animale, probabilmente un luccio.
“L’è
‘n lüsc…l’è ‘n lüsc” e chi lo diceva, gente del luogo, non aveva dubbi. “L’è
‘na bela bestia!”
“Adesso
si spacca tutto” disse Marco all’amico.
“Che
culo, che culo…” disse Sandro. “Dai, dai…”
Marco
pensò che sul mulinello di Sandro era avvolto un filo resistente, altrimenti
quel pesce gigante avrebbe già vinto la sua battaglia di mezzodì.
Intorno
ai due la folla aumentava: consigli, incitazioni, silenzi carichi di
meraviglia, ipotesi di lunghezze e di pesi.
Il
cimino si spezzò. Marco, eccitato, pieno di adrenalina sino ai capelli, afferrò
il tratto finale della canna, prima che finisse di sotto. La passò all’amico,
gli disse sudato: “Tienila forte, tieni il filo, io vado giù.” Prese il
guadino, raggiunse di corsa la scaletta che portava sulla spiaggia di ghiaia e
di grosse pietre. Il pesce lottava a cinque metri dalla riva. Il guadino era
insufficiente. Marco seguì il filo tesissimo che calava dalla ringhiera, entrò
in acqua, si avvicinò alla preda mentre i tifosi in tribuna per lo più diceva:
“Chel fiö l’è màtt!”
Marco
si tuffò, vide gli occhi e l’enorme bocca, era certamente un luccio; la
Prealpina avrebbe scritto che a Laveno era stato catturato un luccio di oltre
un metro di lunghezza, dieci chili di peso, ed era stato possibile quel
successo perché l’animale aveva sbranato cinque alborelle di fila, ingurgitando
anche le lanzette, che si erano aggrappate ai suoi organi interni, generando
un’emorragia fatale. Ma il luccio era viscido, scivolava, si dimenava, Marco
cercava di abbracciarlo e la bestia lo schiaffeggiava con la coda. Il ragazzo
era inzuppato, esaltato, preoccupato, gaudioso. Infine si svegliò.
***
Ai
piedi del letto era pronta l’attrezzatura. Marco, grande appassionato di pesca
per via di un parente che abitava a Cassano d’Adda e aveva pescato un luccio da
paura sul fiume lombardo, quella mattina sarebbe montato sulla sella della sua
bici, marca Gloria, dirigendosi a Galliate Lombardo, sul lago di Varese. In
discesa avrebbe sognato prede inverosimili. Si sarebbe intrattenuto, solo, fra
cannette, pozze, fango e voli d’uccello, per tutta la mattina. Avrebbe fumato
tre o quattro Nazionali senza filtro. Le cronache avrebbero poi raccontato che
il giovane, depositati nel cestino quattro gobbini e tre piccole scardole,
avrebbe fatto ritorno, maledicendo, nella fatica del muro di Cartabbia, i suoi
sogni e quella passione senza speranza. Eppure, nella profonda delusione che ripaga
le pretese di un’alta aspirazione, avrebbe intuito il nascere di una nuova
illusione, presagito una battaglia e, finalmente, una clamorosa vittoria.
(per gentile concessione della rivista Menta e Rosmarino, che ha pubblicato il racconto nel numero di dicembre 2024)
Il viaggio di papà Mario - 22
Per
una ventina d’anni, dalla fine degli anni Novanta al maggio 2018, papà Mario è
stato al mio fianco, aiutandomi nel mio lavoro di docente. Iniziando quando frequentavano
la Vidoletti le sue nipoti, e proseguendo poi soprattutto dal 2006 in avanti,
Mario si è reso disponibile a fare il giudice di partenza alle gare di
istituto, a fare il distributore di medaglie durante le gare di atletica al
campo scuola di Calcinate, e soprattutto ad accompagnarci con la sua Punto
bianca in numerose trasferte. Quando si andava dalle parti di Busto Arsizio,
papà Mario ne approfittava per andare a trovare alcuni suoi lontani parenti di Sacconago. Per questa sua meritoria attività venne anche
premiato dalla Vidoletti (foto, con il sindaco Attilio Fontana), sino ad
arrivare alla mia ultima gara di atletica come prof., nel mese di maggio del
2018 (foto). Lo vediamo con la felpa Vidoletti. Non posso non ricordare quel
periodo con grande commozione, un privilegio per me poter stare con mio papà
ultraottantenne in quei momenti: lui si divertiva, e nel contempo svolgeva un
servizio davvero utile.
22
- continua
La fabbrica dei velluti
Buffone? Ma dai...
Due cose non mi sono piaciute della grande vittoria della OJM Varese basket contro Milano: i fischi iniziali al nostro coach Herman Mandole, e i fischi per tutta la partita contro il nostro ex Nicco Mannion, compreso un 'buffone, buffone!!!' dopo l'errore finale. Da narratore, mi piace invece cercare di immedesimarmi nel vissuto della gente, e in questo caso penso a Nicco, che ha sopportato tutti quei fischi. Che avrà pensato? 'Questi varesini sono proprio irriconoscenti!' Probabilmente non si aspettava gli applausi, ma nemmeno tutta quella acredine. Comunque si impegna e tutto sommato ci mette paura e pressione. Poi arrivano i secondi finali, è in campo e che avrà pensato? 'Ora ci penso io..Si pentiranno dei loro fischiacci.' Ecco allora un'entrata delle sue, rapidissima, con quel sottomano anticipato tante volte vincente, se non motivo di canestro certamente di fallo. E invece non arrivano né il canestro né il fallo. Si innervosisce? Forse. Milano è sotto di uno, 93-92, mancano 14". Nicco ha la palla della vittoria, è troppo gustosa l'idea che sarà proprio lui il fustigatore di Varese. Così appena ha il varco parte la sua bomba. Che cilecca. E il pubblico: 'Buffone! Buffone!...' Perché quella conclusione rischiosa? Mannion avrebbe dovuto mantenere la calma, cercare altre vie di canestro. Buon per noi. Ma immagino il vissuto del rosso, di capelli e di maglia. Nero di umore. Demoralizzato. Avvilito.
Non andavano fischiati: né Mandole né Mannion.
Il viaggio di papà Mario - 21
Ecco
un papà Mario in versione montagna. Immagini che dimostrano la buona gamba di
papà. La prima è dell’estate 2009, il Mario ha 83 anni, ma è ancora in grado di
salire in cima al Corno Bianco, in Trentino, vicino a Cavalese. Si trova lì con
un gruppo di amici. La seconda immagine è del mese di settembre del 2010. Carla
ed io avevamo convinto mio papà e don Pino Gamalero a venire con noi in gita
dalle parti di Pian Cavallone, in Piemonte, vicino al Monte Zeda. Credo sia l’ultima
gita lunga in montagna di mio papà, che nelle molte ore di cammino non ha
palesato alcuna difficoltà. Vi è però da dire (come vedremo) che di lì a non
molto tempo proprio una gamba, meglio, un’anca sarà per lui motivo di non poca
sofferenza.
21
- continua
domenica 15 dicembre 2024
Milano a capo chino
L’avevo
scritto, con speranza: ‘Quando si tocca il fondo, poi si dà una bella spinta e
si risale.’ La spinta è arrivata ieri sera al palazzetto, quando i ragazzi
della OJM Varese basket hanno stantuffato con i garretti, sono volati verso l’alto,
lasciando al piano di sotto Milano. E’ stata una entusiasmante fuga guardie
contro ladri: i ladri fuggono subito (7-0), i ghisa meneghini quasi ci
riprendono, ma noi scappiamo e loro dietro, noi avanti e loro dietro, il fiato
sul collo, ci beccano, ci beccano e invece no, una curva, un vicolo stretto, il
buio della sera, la voglia di fuggire col malloppo e i ghisa non ci vedono più.
Con la bella differenza che noi non siamo ladri, non abbiamo rubato nulla, ma
piuttosto abbiamo depositato in cassaforte due punti pesantissimi. Mi spiace di
una sola cosa: i fischi (addirittura buffone, buffone!) a Nicco Mannion, che è
stato lapidato per tutta la partita. Dimenticando che dobbiamo all’ 80% a lui
la nostra sopravvivenza in serie A…ma abbiamo la mente corta. Come anticipato,
partenza a razzo, 7-0, le triple varesine vanno a segno, entra anche Assui, Milano
si avvicina ma resta a sei punti dopo un quarto (25-19). La prima parte della
seconda frazione è un’apoteosi varesina, addirittura + 13 (35-22), il pubblico
(assenti gli Arditi in curva, peggio per loro, si sono persi un match super!)
impazzisce, Varese, Varese, poi però Milano fa 8-0 (35-30), le triple di Gray e
di capitan Libro tengono i diavoli rossi a distanza: 54-43 a metà gara. Il
terzo quarto sarà la nostra rovina? Niente affatto. A -4’ dalla fine siamo
avanti di 16 (68-52), il pubblico stravede e straapplaude, forza Varese! Forza Varese!,
bene un po’ tutti ma su tutti Librizzi, Sykes (foto) e Johnson. Finisce il quarto
72-65: è fatta! E’ fatta! Ma il basket è il basket, non è mai finita, e infatti
inizia la salita al Calvario per la OJM, e i ghisa s’avvicinano col manganello
in mano. Varese prende paura, perde palle, Tyus sbaglia due rigori a pochi cm
dal ferro, 88-84 a -3’ dalla fine. E’ la fine? Si direbbe di sì, 91-89 quando
mancano 40”. Johnson fa 2 su 2 nei liberi (93-89), ma arriva la tripla di
Milano a 14” (93-92). Palla a Milano: Nicco Mannion azzarda la tripla decisiva
ma sbaglia, Hands fa 1 su 2 nei liberi, e finisce qui: 94-92.
La
gioia è palpabile e benefica, 6 punti, abbiamo dietro Napoli e Cremona, il
cammino è lungo ma la risalita è cominciata. Avanti così.
Forza
Varese!!!