mercoledì 16 aprile 2025

Francesco Scaramozzino su 'Corpi imperfetti'

 



Grazie a Francesco Scaramozzino, scrittore, vincitore del Premio Chiara Inediti 2024, per questa sua recensione al mio romanzo 'Corpi imperfetti'




CORPI IMPERFETTI

DI CARLO ZANZI

UNA LETTURA

 

In questo romanzo di Carlo Zanzi, ambientato in provincia di Varese negli anni del Covid, si intrecciano due storie che, come suggerisce il titolo stesso, sono innanzitutto le storie di due corpi: quello di Mauro, nato nel ’26, vedovo da quando non era ancora sessantenne e padre di quattro figli, di cui uno, Matteo, morto giovane; e il corpo di Claudia, che ha da poco finito le superiori ed è in procinto di affrontare l’esame per “l’ammissione a scienze motorie”. L’alternarsi dei capitoli segna in modo netto il contrasto fra due distinti campi visivi, passando da immagini di progressiva e ineluttabile decadenza, in cui, parlando di Mauro, il realismo dell’autore agisce “dolosamente” col bisturi di una parola affilata che non fa sconti; a quelle avvolte in un’atmosfera di lirica incoscienza che descrivono il corpo di Claudia, che ama la corsa perché “la fa sentire libera e leggera”, e da brava atleta si allena controllando i tempi mentre la coda di “lunghi capelli castani ondeggia sulle spalle minute”. Anche le descrizioni dei luoghi risultano funzionali al contrasto che sprigiona dall’alternarsi delle immagini perché, mentre Claudia vive con i genitori nella sua “casetta di cioccolato”, dolce, protettiva ma sempre simbolicamente esposta al rischio di sciogliersi alle prime difficoltà della vita, Mauro vive in una casa popolare - dove “abitano molti extracomunitari” - che però, col progressivo peggioramento delle condizioni di salute, quando l’assistenza di una badante non è più sufficiente, è costretto a lasciare, passando prima in una casa di riposo e poi in una RSA. Il contrasto fra queste due diverse tonalità narrative, è portato all’estremo quando a contrapporsi sono le descrizioni dei corpi colti nell’espressione delle loro più intime istanze vitali, che in Mauro sono quelle residue di un uomo depresso che sopravvive a se stesso, non più autosufficiente e ormai in bilico fra sconforto e invettiva, istintivo attaccamento alla vita e propositi suicidi (“perché vivere se si deve soffrire tanto intensamente?”); e in Claudia sono invece quelle di un “corpo in fiamme”, aggiogato alla “furia dei vent’anni”, con la “pelle ambrata di certe donne del sud Italia”, “i seni infantili gonfi” e cosce magre, “ma di una magrezza sana, frutto delle migliaia di passi di corsa”, tanto sfacciatamente diverse da quelle di Mauro, che hanno perso tono muscolare e “fanno impressione” quando le tocca . Ed è proprio a questo livello della descrizione che i due piani arrivano alla massima divaricazione, quando cioè la vitalità tocca la corda sempre latente della sessualità, che in Claudia, ancora vergine e desiderosa di scoprirne i misteri, è fatta vibrare con accenni di tenerezza e perfino ingenuità, mentre in Mauro il realismo senza sconti di cui si è detto raggiunge il suo vertice con l’incidente, perfino grottesco, di un sogno erotico che si risolve in un brusco risveglio e in un umiliante episodio di enuresi.

Questi due piani del racconto, dunque, si incastrano nel meccanismo del libro come rotelle che girano in direzioni opposte, sempre sul punto di incepparsi, spinte anche dalla scelta stilistica di sfasare i tempi in cui si svolgono gli eventi, che, per quanto contestuali, vengono infatti coniugati al presente per Mauro e al passato per Claudia, così da creare un ulteriore efficace contrasto fra un mondo intensamente proiettato al futuro e un mondo, quello di Mauro, ormai privo di progettualità (“Ora di progetti non ne ho nemmeno uno”), ripiegato su un passato tenuto in vita solo dal riemergere di ricordi felici, in cui la  mano dell’autore recupera la tenerezza di prima attraverso immagini di vita familiare ormai inattingibili, se non con una memoria sempre più incerta e offuscata, oppure attraverso la soluzione regressiva di “oggetti transizionali” ridotti a feticcio (“mi rivesto col pigiama e prendo i miei amici della notte, il foullard e la felpa… pronti ad aiutarmi in questa sopravvivenza”).

C’è però, nel libro, un ulteriore piano narrativo che taglia trasversalmente le storie di Mauro e Claudia e, scombinando le carte, finisce per avvicinare i due protagonisti molto più di quanto possa apparire dallo schema sopra richiamato: perché se in Mauro si assiste a una “negazione” della corporeità che è una conseguenza diretta del naturale processo di invecchiamento a cui tutti noi, in quanto uomini, siamo destinati, in Claudia questa negazione o, diremmo forse meglio, “sospensione”, deriva dalla decisione improvvisa di Marcello, il suo ragazzo, di rinunciare, non solo alla sessualità, ma a qualsivoglia tipo di contatto, limitandosi a scambi di  tipo epistolare – “lettere, su carta e penna” - come prova distintiva tesa a “gettare fondamenta profonde di una casa che dovrà reggere per tutta la vita “: decisione sorprendente e inattesa, è vero, ma comprensibile conoscendo Marcello che, alla soglia dei trent’anni, ha fatto la scelta altrettanto radicale di abbandonare il seminario e tornare a una vita da laico. In questo modo, come detto, i due piani narrativi, tanto diversi se non opposti, si avvicinano e di molto, perché ora, da questo taglio quasi cartesiano fra “res cogitans” e “res extensa”, Claudia  è rimessa alla fatica mentale del dubbio, che ora è dubbio sul significato stesso di una scelta che comprende con difficoltà, ora dubbio sul sentimento che Marcello prova per lei, ora dubbio sulle istanze di una sessualità istintiva – “una protesta del corpo, un ’attrazione soffocata” - che non sempre riesce a contenere.

Ci si trova così proiettati in una sfera virtuale, che gira essa stessa insieme alle altre due, quasi come una terza rotella che condivide parte dell’ingranaggio, e che è a sua volta e significativamente contenuta in una rotella ancora più grande, costituita dalla bolla della pandemia - in cui, come detto,  gli eventi si svolgono - e in cui tutti siamo stati in un certo modo privati dei nostri corpi, almeno in quella che è la funzione sociale, di contatto e relazione, di cui ogni corpo è portatore. Questa dimensione virtuale, che, come noto, sotto il profilo sociale si è tradotta in precise limitazioni, prescrizioni e “smart working”, in una parola: in legge, e che in Claudia risulta sempre screziata da una propensione al fare, che caratterizza positivamente il personaggio, in Mauro assume un valore assoluto, perfino superiore, perché tutta la sua narrazione, al presente e in prima persona, è soprattutto narrazione di un’anima che emerge da sotto la superficie di un corpo martoriato, ponendosi quindi come punto egemonico di un Io che anche nell’esperienza, tragica, dell’invecchiamento mantiene saldi i propri riferimenti, innanzitutto etici, e continuamente li rinnova attraverso un pensiero da questo punto di vista sì, mai esausto: quando si sforza di sorridere ai figli che lo vanno a trovare, quando teme di non essere stato per loro un buon esempio – “un padre che non vale niente?” - o quando cerca di non essere di peso, o ancora quando sprona se stesso, nel suo dialetto scaltro e genuino, ad accontentarsi del poco che la vita concede anche nella vecchiaia: “Guarda avanti, pensando al peggio apprezzerai il poco che ti rimane, che non è poco…”

Non è un caso, quindi, che sia proprio sul piano etico che i due piani narrativi alla fine si incontrano e il meccanismo complessivo del libro si risolve, quando cioè Marcello e Claudia, abbandonata la prova solipsistica autoreferenziale e un po’ claustrofobica di cui si è detto, si aprono all’esterno rivolgendo ad altro – lascio al lettore il compito di scoprire “a chi” – le istanze di un sentimento che all’amore reciproco sa unire quello solidale per il contesto, anche piccolo, in cui questo sentimento è vissuto, così che, vissuto, lo sia pienamente.

 

 

 

 

 

 

Melzo, aprile 2025

 



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