sabato 21 dicembre 2024

Terra e gente n° 32


 

E' stato recentemente presentato a Brezzo di Bedero l'annuario 'Terra e gente', giunto al n° 32. Il libro, che ha per sottotitolo 'Appunti e storie di lago e di montagna', prezioso volume che riguarda la Comunità montana Valli del Verbano, è stato curato da Serena Contini, che coordina il Comitato di redazione composto, oltre che da lei, da Francesca Boldrini, Federico Crimi, Ercole Ielmini, Stefania Peregalli e Gianni Pozzi. Scorrendo l'indice, troviamo i seguenti contributi: Dino Azzalin (L'amico Enrico Baj), Debora Ferrari (Giancarlo Sangregorio, scolpire il cuore del mondo), Serena Contini (Leonardo Sciascia e Renato Guttuso a Velate), Giorgia Cerati (Un castellano a Laveno: Angelo Biancini e la Società Ceramica Italiana), Claudia Biraghi (Fausta Cialente, una scrittrice che amò Caldana), Alberto Brambilla (Per Vittorio Sereni. Postille e divagazioni), Gaetano Blaiotta (Poesie), Flavio Saporetti (L'avifauna della Comunità Montana Valli del Verbano), Gianmario Pinciroli (Il compasso e l'elica), Gianni Pozzi (Il monte Nudo), Enrico Fuselli (La 'Società ex combattenti per l'alpeggio' di Montegrino), Riccardo Prando (L'Associazione Club Brinziese compie 150 anni), Maurizio Miozzi (In punta di penna...) ed Ercole Ielmini (Album fotografico, foto-cartoline del lago Maggiore di Beppe Beltrami). 

Oltre 200 pagine, realizzate con una grafica accurata, apparato iconografico di pregio. 

Il viaggio di papà Mario - 27


 

E la soluzione per il dolore alla gamba per fortuna arrivò. Dopo una più accurata visita finalmente si scoprì che si trattava di artrosi dell’anca e che era necessario l’intervento, che venne programmato per il mese di marzo 2012 all’Humanitas di Rozzano. La previsione dell’intervento risolutore alleviò la depressione di papà Mario che affrontò l’operazione di protesi d’anca, a 86 anni d’età, senza alcun timore. Tutto andò per il meglio, la riabilitazione si svolse in parte a Rozzano (foto) in parte a Varese, e fummo tutti sorpresi nel vedere i veloci miglioramenti. Niente più dolore, niente più depressione. Si aprì così un altro capitolo della storia del Mario.

 

27 - continua  

James, una palla, un cesto


Lo scorso anno l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha stabilito che il 21 dicembre diventasse il World basketball day perché il 21 dicembre del 1891 il prof. di educazione fisica James Naismith (inventore del basket) fece disputare la prima partita della storia. La pallacanestro è fra i miei sport di squadra preferiti. Purtroppo ci ho giocato poco né posso indicare con precisione quando si svolse la mia prima partita. Certo i primi canestri li ho segnati all'oratorio 'Molina' di Biumo Inferiore nei primi anni Sessanta, niente basket alle elementari ma alle medie sì, alla 'Righi' con il prof. Secchia. Poi altro basket al Liceo classico (fra i miei prof. anche Ottorino Giradin, un buon giocatore) e all'Isef. Nel caso del basket ho più carriera come tifoso-giornalista. 
 

Carlo Meazza, fotografo di paesaggi


 




Carlo Meazza, una vita dedicata alla fotografia, oltre 80 libri pubblicati, ieri sera, nella sala del Risorgimento a Villa Mirabello, è stato definito dal prof. Enzo Laforgia (assessore alla cultura del comune di Varese) 'un fotografo di paesaggi'. E Laforgia ha poi spiegato cosa intende con tale definizione, che potrebbe apparire riduttiva per un fotografo che spesso ha messo al centro dei suoi volumi l'uomo. Paesaggio non solo come veduta, come panorama, ma come costante presenza anche dell'uomo che, pur non dovendo necessariamente apparire nell'immagine, quel paesaggio ha contribuito a modificare, nel bene e nel male, un paesaggio stratificato, un libro di storia a cielo aperto. Laforgia ha, da par suo, regalato molte citazioni letterarie, come del resto ha fatto Meazza, che ha mostrato un documentario, foto sue e citazioni da Chiara, Sereni, Orelli, Hesse, Fogazzaro e Manzoni, autori che ci hanno regalato pennellate sui territori di Luino, del lago Maggiore, di Bellinzona, di Lugano col suo lago, della Val Solda e del lago di Como. Quindi si è parlato dell'ultima 'fatica' di Carlo, fatica perché ha dovuto anche camminare per risalire le sue amate montagne, in questo caso il Monte Rosa. 'Monte Rosa', quindi, ad oltre trent'anni dal precedente volume sul Rosa, edito da Publinova edizioni Negri, con testi di Luigi Zanzi, Barbara Zanzi, Marzia Verona, Teresio Valsesia, Enrico Rizzi e Lucia Maggiolo. Devo scriverlo che potrebbe essere un libro strenna di notevole spessore? Non mi pare neppure il caso. E' evidente. 

Bici, lambrusco e torso nudo



 



Come potevo dire di no ai miei amici Carletto Maroni e Marchino Riganti, che mi hanno invitato col loro gruppo a salire in bici al Campo dei Fiori, per la tradizionale ascesa Natalizia, con spuntino e brindisi? Benché non allenato mi sono unito, e mi sono divertito assai, a parte il gelo in discesa, ma era previsto. I più temerari hanno mostrato il loro petto (nudo) villoso e tremante al gelo dei 1100 metri del Belvedere. Poi pizzette, panettone, lambrusco amabile e prosecco, in amabile allegria. Quindi il tuffo verso Varese.  

venerdì 20 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 26


 


Il 2011 sta per finire, e per papà Mario sono dolori. Avverte da qualche tempo male all’inguine e ad una gamba, e questo lo mette in crisi, perché mina la sua completa autonomia. Il sospetto di dover dipendere da qualcuno, unito al fatto che le prime cure non danno alcun risultato, lo portano in crisi depressiva. E allora passerà le sue giornate di quei mesi rimanendo a casa mia sin nel primo pomeriggio, poi da mio fratello Guido e tornando a casa solo per dormire. Un triste periodo, che però pare smentito da queste due immagini. La prima è del novembre 2011, sorride per il compleanno della nipote Caterina. Quindi il Natale, con il pranzo dai miei suoceri Elio e Anita. Si noti il bastone, che aiutava mio papà nel cammino. Già da tempo aveva l’abitudine di recarsi da Elio e Anita verso sera, e insieme pregavano il rosario di TV2000. E intanto il Mario pregava i suoi figli che trovassero una soluzione a quel mal di gamba, che lo stava torturando.

 

26 - continua

Monviso

 




Il vento ha pulito il cielo.
Il Monviso ne ha tratto vantaggio.

(foto da Villa Mirabello)

Il racconto di Simone


 

La bottega delle cose perdute.

Era quasi terminata una giornata come tante altre, in Comune. Ma il ragionier Marchetti, mentre si occupava della mole di domande, interrogazioni, esposti, che si ritrovava quotidianamente sul computer, stava pensando all'ufficio accanto.

Non che i colleghi con i quali divideva l'ampio locale non fossero simpatici (anche se ormai erano rimasti in tre, e altre due postazioni desolatamente vuote facevano da contraltare alle loro; era ormai diventato difficile condividere non solo il pensiero, ma anche il lavoro); preferiva l'altra stanza perché ci si poteva ancora incontrare la gente.

Tra le sue mansioni vi era anche la “gestione amministrativa dell'Ufficio Oggetti Smarriti” (scritto così, con le maiuscole), che lui però chiamava “La bottega delle cose perdute”. Aveva anche messo un cartello con questa dicitura, sulla porta.

Una voce nota e amica lo riportò alla realtà: “Ciao! Non hai idea della mia gioia quando mi hai telefonato”.

“Buongiorno, Dond....ehm Don Luigi, come sta?”

E Don Luigi, sapendo perfettamente che lo sciagurato lo chiamava Don Dante da quando un'anca, bisognosa del pezzo di ricambio, aveva modificato la sua andatura, fece finta di nulla e rispose: “Benissimo: siamo nelle mani del Signore, e la tua telefonata me lo ha confermato.”

Era stata ritrovata (forse perché il buontempone autore del misfatto l'aveva messa bene in vista nel parchetto di fronte agli uffici, spinto dalla coscienza) la statua del bue del presepe che ogni anno il parroco allestiva sul sagrato. Un arnese di legno alto circa mezzo metro e pesante una decina di chili.

Ne era rimasto molto rattristato, e durante la predica della notte di Natale aveva detto che gli dispiaceva in modo particolare perché era il personaggio che più gli assomigliava per via della sua “abbondanza” (era quello che si definisce un marcantonio, e dissimulava tutto con il suo senso dell'umorismo).

Stavano per passare alla parte burocratica della faccenda quando si affacciò alla porta quello che in ufficio chiamavano “il capo”.

“Don Luigi carissimo i miei rispetti! Come va la parrocchia? Sempre in giro a far del suo meglio eh... se ha bisogno di qualche consiglio per far funzionare meglio le cose io sono qui. Ad esempio, è vero che sta facendo il giro delle benedizioni a piedi? Non fa troppa fatica? Non è meglio provvedere in streaming? Risparmierebbe tempo e fatica, con quella gamba...”

“Il bello è che non si capisce se creda davvero di essere d'aiuto, o di essere divertente, a dire queste cose...”, pensava intanto il buon Marchetti, e nel frattempo compilava la ricevuta per il prete. Ma a quest'ultimo non era sfuggito il fatto che l'ombra che da qualche tempo si portava dentro si era trasferita al suo sguardo.

“Vede, ormai siamo alle soglie dell'intelligenza artificiale. Il futuro della Bottega del Marchetti, ad esempio, è una bella applicazione del telefonino, con la quale potrà scoprire che la sua statuetta, o il suo cappello, il suo documento, e via discorrendo, sono stati ritrovati e sono disponibili. Non avrà che inviare via telefono la prova che l'oggetto è suo e riceverà un codice con il numero dello sportello automatico che si aprirà, giù nel parcheggio. Così potrà ritirare la cosa senza nemmeno dover telefonare, venire qui a parlare con un operatore...comodissimo no?”

Il prete rispose: “Meraviglioso, davvero! Però sa, io sono un povero vecchio prete, appena tornato dal giretto settimanale nella casa di riposo, dove posso parlare con persone che purtroppo non hanno più la memoria molto a posto: il bello è che quando ne esco mi sento leggero come una piuma, e sereno. Mi sembra perfino di camminare diritto. Per cui non si offenda, preferisco la demenza naturale. Prenda ad esempio il Bue, che sto ritirando: lui non lo sapeva, ma solo per il fatto di essere lì era d'aiuto al suo Creatore.

Le nostre super macchine velocissime sono fantastiche per portare in giro le informazioni, o le cose, perfino il Bene e il male. Il Bene però è meglio portarlo in giro a piedi: si fa più fatica ma alla fine dà più soddisfazione.  Anche per il servizio del Marchetti, ad esempio; non so se con l'app sullo smartphone avrei potuto vedere la felicità della sciura Rosa, che ho incontrato ieri giù nel piazzale.”

L'altro sorrise, con aria di benevolenza: “Non cambierete mai, ma il percorso è tracciato, il mondo va avanti...dovrete farvene una ragione prima o poi. E vedrete che sarete contenti. I miei rispetti!” salutò.

Don Luigi allora disse: “Giorgio, non ti adombrare, e non perdere la Speranza: tu trova il modo di rimanere umano in quello che fai, e guarda in alto. E' così che si genera, è così che si rimane vivi; in ogni circostanza.”

E così, terminata l'operazione recupero bue, il Marchetti tornò con la mente al giorno prima. La sciura Rosa si era presentata in ufficio, dopo che l'aveva fatta avvisare dalla parrucchiera del paese, che funzionava da “centrale operativa” delle opere di bene, e in questo caso poteva raggiungere meglio l'obiettivo.

Era entrata in ufficio vestita di tutto punto, col cappotto e il cappellino della festa, per recuperare il portafogli che le avevano rubato; era stato ritrovato in un cestino della spazzatura, senza i soldi ma fortunatamente con tutti i documenti.

“Signora Rosa, buongiorno! Sono davvero contento di poterle consegnare il portafogli: almeno può evitare la trafila di rifare i documenti”, le aveva detto.

“Non è quella la cosa più importante”, aveva risposto, con la voce tremante che faceva trasparire un po' di trepidazione. “Posso vederlo?”

“Certo signora, glielo consegno subito.”

L'aveva aperto come se fosse tornata bambina, in procinto di scoprire un regalo di Natale, e ne aveva tratto una piccola foto, esclamando trionfante: “Dio sia lodato! C'è! C'è!”.

Si era messa perfino a ballare dalla felicità, abbracciando poi il povero Marchetti, stupito da quella donna che aveva perso il contegno dignitoso per cui era conosciuta.

La foto era la stessa che si poteva vedere sulla tomba del marito: l'unica che era rimasta della loro piccola creatura, che li aveva lasciati pochi mesi dopo la nascita.

Si riscosse, e si affacciò alla finestra. Era quasi ora di chiudere.

Nel parcheggio due uomini andavano in direzioni opposte.

         Il primo, una mano in tasca, l'altra col telefono all'orecchio, ondeggiando verso l'automobile parcheggiata (“Non si capisce se è lui che porta in giro la sua pancia o se è la pancia, che porta in giro lui”).

         L'altro dondolava paurosamente per via dell'anca, sotto il peso di una statua del presepe, con la tonaca che svolazzava nell'aria della sera, verso la canonica.

         E finalmente sorrise, perché guardando il cammino del prete gli pareva di sentire la marcia trionfale dell'Aida.

Simone Mambrini

giovedì 19 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 25


 


Due foto che testimoniano altri due momenti felici per mio papà Mario. In alto una singolare immagine di un conto, fatto da mio fratello Paolo. Siamo nel 2009, 1000 mesi di vita per papà Mario, 100 per il nipote Riccardo. Sorriso smagliante invece nella seconda foto. E’ il primo luglio del 2011, è il primo matrimonio di una nipote di nonno Mario, Marta, che convola a nozze con Fabio. Messa nella chiesetta di Santo Stefano a Bizzozero, pranzo alla Furnasa di Biandronno. Fa molto caldo. Tutto sembra andare per il meglio, ma per l’ottantacinquenne Mario Zanzi si sta preparando una nuova battaglia.

 

25 - continua


Sport Uninsubria al top


 



Da anni l'Università dell'Insubria dà spazio allo sport, anche ai massimi livelli, grazie soprattutto al College per il mezzofondo e per gli sport invernali. Ed ecco i frutti. Segnalo soprattutto tre atleti, studenti universitari varesini, che sono al top. Anzitutto Pietro Arese, torinese ormai di casa a Varese, che ieri ha vinto il premio Fidal come miglior prestazione tecnica di atletica leggera del 2024, grazie al suo record italiano sui 1500, ottenuto con l'ottavo posto nella finale alle Olimpiadi di Parigi. Pietro è allenato dal varesino Silvano Danzi. E poi abbiamo due sciatori, che parteciperanno ai Giochi Mondiali universitari invernali di Torino (13-23 gennaio 2025). Si tratta di Enrico Giacomelli per la discesa libera, e di Nicolò Genovese per lo sci nordico. Enrico è di Bormio, sua mamma è sindaca del paese dell'alta valtellina. Nicolò invece è varesino, e lo vediamo allenarsi costantemente in questi giorni con gli skiroll, lungo le rampe del Sacro Monte, sotto l'occhio esperto di Pippo Gazzotti, altro varesino che ha allenato squadre nazionali e che lo sta seguendo anche negli allenamenti sulla meravigliosa pista di Riale. 
Ed eccoli insieme, Danzi e Gazzotti, due tecnici che sono certamente una eccellenza per la nostra città .  

mercoledì 18 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 24


 

Questa foto, scattata a casa mia alla fine del 2010, mi permette di tornare su un argomento che forse ho già sfiorato in questa cronaca sintetica. Papà Mario, come il vino, migliorava con gli anni, ma soprattutto andava aumentando la simpatia che riusciva a creare intorno a sé, in particolare fra i miei amici, che vedevano nel Mario una grande carica vitale, un ottimismo ferreo, il desiderio di raccontare e di raccontarsi. E più di un mio amico sottolineava quanto fosse diverso da me, tendente invece alla malinconia e alla introspezione.

 

24 - continua

martedì 17 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 23


 




Nella poesia Pà che ho dedicato agli ottant’anni di papà Mario, faccio cenno ad alcuni regalini che mio papà era solito portare ai suoi figli e alle sue nuore: i bucaneve alla fine dell’inverno, i mughetti ai primi di maggio, le castagne e poi alcuni dolci tradizionali, come il pan dei morti e le ossa da mordere (ai primi di novembre), le colombine per Pasqua, e poi il patè per Natale, il pan meino eccetera. Mio fratello Guido ha ereditato la ricetta del patè del Mario e per fortuna è in grado di rifarlo. Un giorno di fine estate del 2010 ho invitato papà Mario a casa mia, obbligandolo a lasciarmi (compresa una dimostrazione pratica) la ricetta del pan meino, dolce tipico milanese-varesino, realizzato con i fiori secchi di sambuco, che a Varese abbondano. Il Mario arrivò, si rimboccò le maniche e portò a termine il suo compito di testimonianza. Ecco il risultato fotografico. Per la verità da allora non ho mai fatto i pan meini, ma ho la ricetta e le foto, prima o poi mi cimenterò. Un giorno ero impegnato nella realizzazione della pasta frolla. La crostata è il solo dolce che so mettere in forno. Il Mario mi vide che impastavo gli elementi dentro una ciotola, mi sgridò bonariamente, spiegandomi che avrei dovuto fare la montagna di farina, il cratere in mezzo, uova, burro, zucchero e ‘mettere le mani in pasta’, non aver paura di sporcarmi le mani. La foto dimostra il metodo che ho descritto.

 

23 - continua

 

 


lunedì 16 dicembre 2024

Elevazione musicale


 



E' tempo di concerti natalizi. Le molte corali della nostra zona si lamentano perché mancano i cantori, sempre più anziani, ma egualmente riescono a portare avanti la loro nobile missione, e ad offrire (gratuitamente) esecuzioni musicali di ottimo livello. Così è stato lo scorso sabato 14 dicembre quando, nella chiesa parrocchiale di Casbeno, si sono esibite tre corali: 'Soli Deo Gloria', 'San Giorgio' e 'Valtinella'.
Un concerto con canti ispirati al Natale, a partire dal primo coro, 'Soli Deo Gloria' di Casbeno, ricostituitosi nel 2022, diretto da Cesare Castiglioni, accompagnamento all'organo di Marco De Vita, soprano solista Claudia Cornacchia. E' stata poi la volta della corale 'San Giorgio' di Bisuschio, nata nel 1935 per iniziativa di don Carlo Tatti, attualmente diretta da Emanuela Cirla. Infine è stato il turno del 'Coro Valtinella', nato nel 1968 ad Oltrona al lago di Gavirate, diretto da Sergio Bianchi dal 1981.
Mi sono commosso e ho potuto salutare molti amici, che cantano nelle tre corali. Titolo della serata: 'Elevazione musicale in attesa del Natale'. La musica è sempre stata momento privilegiato nella mia vita. 

Il luccio


 

Sono stato anche pescatore. Per pochi anni, diciamo dal 1968 al 1971. Una passione forte, tanti sogni, pochi pesci. I pescatori d'acqua dolce sognano soprattutto la cattura del luccio. Io di lucci non ne ho mai pescati. Mio cugino sì, Lorenzo Tamborini detto Renzo, mio idolo di quegli anni. I narratori hanno il privilegio di rifarsi, almeno sulla carta. Questa è la mia vendetta.


Il luccio

 

I due cinquantini rombavano alle prime luci dell’alba. Marco era in sella al suo adorato Fantic Caballero rosso fuoco, Sandro poggiava il culo sopra un proletario Demm grigioverde, manubrio basso alla Giacomo Agostini. Finiva maggio; in discesa sul Sasso di Gavirate, alle sei del mattino, non faceva caldo. Arrivarono all’imbarcadero di Laveno, ci volle del tempo prima che le dita fossero pronte ai nodi e alle manovre che precedono la pesca. La prima delusione: “Fischia! Vuoi vedere che ho dimenticato il mulinello?” disse Marco. Rovistò, incredulo e incazzato.

“Trovato?”

“Trovato un bel niente.”

“Ti è andata bene. Ho qui un Mitchel in più. Filo grosso ma meglio grosso che piccolo.”

Marco fece un pensiero sconcio: sempre lì i maschi andavano a parare.

“Fammi vedere…Sei un amico.”

“Dammi una sigaretta.”

Così i due affumicarono i loro giovani polmoni con le Turmac piatte, un pacchetto di cartone rigido che Marco aveva rubato a suo padre.

Il sole saliva rapido, il lago prendeva colore d’argento, il lungolago accoglieva i pescatori della domenica. Attraccò il primo battello, Marco decise di lanciare il grosso galleggiante verso un tronco piantato sul fondo, che delimitava la zona destinata al natante. Avevano in mente di cacciare scardole panciute, minimo un paio d’etti, al più qualche cavedano, ma l’abbondanza del pescato era inversamente proporzionale alla bellezza del paesaggio, verniciato di fresco da quella mattina di primavera. E il tempo scappava.

“Cagnotti sprecati” disse Sandro. “Potevamo starcene a dormire.”

“Abbi fede…” poi Marco guardò l’orologio, impaziente. “Però sono già le dieci…Troppa gente in giro.”

“Sei tu che hai voluto venire di domenica.”

“Ci conviene puntare sulle alborelle.”

“Mi sa di sì.”

L’acqua scura del Verbano mandava riflessi metallici: erano le alborelle in frega, che regalavano la gioia minima di chi si sa accontentare. Infatti più di un pescatore aveva scelto la lanzettiera, lanciava nemmeno troppo lontano il galleggiante sferico biancorosso, recuperava dopo minuti di pazienza e sulle lanzette restavano infilzate per la gola due, tre, quattro, persino dieci alborelle che danzavano l’ultimo ballo, prima di morire dentro un sacchetto di cellophane.

I due cambiarono lenza, trapassarono i corpi dei cagnotti sulle lanzette, lanciarono e attesero. Un’ora dopo non si erano pentiti della scelta.

“Sarà contento mio padre” disse Marco. “Di certo preferisce l’alborella alla scardola.”

“Il mio odia il pesce” disse Sandro.

“Dalle a me.”

“E tu mi dai un’altra sigaretta.”

Ricaricarono il pungiglione assassino con le larve di mosche carnarie, lanciarono verso la riva opposta, attesero.

Suonò mezzogiorno. Marco stava pensando di mangiarsi il panino con la bologna, appoggiò la canna alla ringhiera, si voltò verso il Caballero e la canna finì a terra, si rimise in piedi e partì come volesse farsi un tuffo nel lago. Marco l’afferrò all’ultimo, prima di perderla. “E che cavolo!” esclamò. “Che succede?”

“Minchia…Cosa ha abboccato?”

La canna si era piegata, minacciava di spezzarsi, soprattutto sul cimino. In direzione del galleggiante il lago s’increspava, ribolliva, le alborelle scappavano, i pescatori e chi passeggiava per diletto o noia si girarono verso quella scena inattesa. Dubbi non ce n’erano. Non si trattava di una lanzetta che si era incastrata nelle alghe o sotto qualche masso; lì a lottare fra la vita e la morte c’era carne viva, un grosso animale, probabilmente un luccio.

L’è ‘n lüsc…l’è ‘n lüsc” e chi lo diceva, gente del luogo, non aveva dubbi. “L’è ‘na bela bestia!”

“Adesso si spacca tutto” disse Marco all’amico.

“Che culo, che culo…” disse Sandro. “Dai, dai…”

Marco pensò che sul mulinello di Sandro era avvolto un filo resistente, altrimenti quel pesce gigante avrebbe già vinto la sua battaglia di mezzodì.

Intorno ai due la folla aumentava: consigli, incitazioni, silenzi carichi di meraviglia, ipotesi di lunghezze e di pesi.

Il cimino si spezzò. Marco, eccitato, pieno di adrenalina sino ai capelli, afferrò il tratto finale della canna, prima che finisse di sotto. La passò all’amico, gli disse sudato: “Tienila forte, tieni il filo, io vado giù.” Prese il guadino, raggiunse di corsa la scaletta che portava sulla spiaggia di ghiaia e di grosse pietre. Il pesce lottava a cinque metri dalla riva. Il guadino era insufficiente. Marco seguì il filo tesissimo che calava dalla ringhiera, entrò in acqua, si avvicinò alla preda mentre i tifosi in tribuna per lo più diceva: “Chel fiö l’è màtt!

Marco si tuffò, vide gli occhi e l’enorme bocca, era certamente un luccio; la Prealpina avrebbe scritto che a Laveno era stato catturato un luccio di oltre un metro di lunghezza, dieci chili di peso, ed era stato possibile quel successo perché l’animale aveva sbranato cinque alborelle di fila, ingurgitando anche le lanzette, che si erano aggrappate ai suoi organi interni, generando un’emorragia fatale. Ma il luccio era viscido, scivolava, si dimenava, Marco cercava di abbracciarlo e la bestia lo schiaffeggiava con la coda. Il ragazzo era inzuppato, esaltato, preoccupato, gaudioso. Infine si svegliò.

 

*** 

 

Ai piedi del letto era pronta l’attrezzatura. Marco, grande appassionato di pesca per via di un parente che abitava a Cassano d’Adda e aveva pescato un luccio da paura sul fiume lombardo, quella mattina sarebbe montato sulla sella della sua bici, marca Gloria, dirigendosi a Galliate Lombardo, sul lago di Varese. In discesa avrebbe sognato prede inverosimili. Si sarebbe intrattenuto, solo, fra cannette, pozze, fango e voli d’uccello, per tutta la mattina. Avrebbe fumato tre o quattro Nazionali senza filtro. Le cronache avrebbero poi raccontato che il giovane, depositati nel cestino quattro gobbini e tre piccole scardole, avrebbe fatto ritorno, maledicendo, nella fatica del muro di Cartabbia, i suoi sogni e quella passione senza speranza. Eppure, nella profonda delusione che ripaga le pretese di un’alta aspirazione, avrebbe intuito il nascere di una nuova illusione, presagito una battaglia e, finalmente, una clamorosa vittoria.    

 (per gentile concessione della rivista Menta e Rosmarino, che ha pubblicato il racconto nel numero di dicembre 2024)


 

Il viaggio di papà Mario - 22


 




Per una ventina d’anni, dalla fine degli anni Novanta al maggio 2018, papà Mario è stato al mio fianco, aiutandomi nel mio lavoro di docente. Iniziando quando frequentavano la Vidoletti le sue nipoti, e proseguendo poi soprattutto dal 2006 in avanti, Mario si è reso disponibile a fare il giudice di partenza alle gare di istituto, a fare il distributore di medaglie durante le gare di atletica al campo scuola di Calcinate, e soprattutto ad accompagnarci con la sua Punto bianca in numerose trasferte. Quando si andava dalle parti di Busto Arsizio, papà Mario ne approfittava per andare a trovare alcuni suoi lontani parenti di Sacconago. Per questa sua meritoria attività venne anche premiato dalla Vidoletti (foto, con il sindaco Attilio Fontana), sino ad arrivare alla mia ultima gara di atletica come prof., nel mese di maggio del 2018 (foto). Lo vediamo con la felpa Vidoletti. Non posso non ricordare quel periodo con grande commozione, un privilegio per me poter stare con mio papà ultraottantenne in quei momenti: lui si divertiva, e nel contempo svolgeva un servizio davvero utile.

 

22 - continua

 

 


La fabbrica dei velluti


 



Sabato 14 dicembre ho avuto il piacere di incontrare, in Galleria Ghiggini a Varese, lo scrittore Alessandro Ceccoli. Avevo sentito parlare di Ceccoli anni fa, in occasione del premio Morselli: era il 2017 e vinse lui, con il romanzo 'Il gioco dell'oca', che venne pubblicato da Macchione. Poi più nulla sino a sabato, quando, intervistato dal giornalista e scrittore Mario Chiodetti, Ceccoli ha presentato il suo ottavo romanzo, 'La fabbrica dei velluti' (MDG). Ho quindi avuto modo di soddisfare alcune mie curiosità.
"Scrivo da vent'anni" mi ha raccontato l'autore. "Andato in pensione a 57 anni, dopo un lavoro molto impegnativo che mi ha portato in giro per il mondo, soprattutto a Parigi, ho trovato nella scrittura l'opportunità migliore per riempire il molto tempo libero. E sono stato fortunato perché, vincendo subito il Morselli al mio primo romanzo, ho trovato la carica per continuare. In verità la scrittura è sempre stata nella mia vita. Mio padre era un piccolo editore di Napoli, locali frequentati da Benedetto Croce, dal poeta Salvatore Di Giacomo. Ebbi da lui in eredità una ricca biblioteca di libri antichi, che sempre mi ha seguito nei miei numerosi spostamenti."
Eccoci allora al nuovo romanzo. E' la storia del figlio di un colono italiano a Mogadiscio e di un'accogliente somala, ragazzo di pelle scura, che a diciotto anni decide di partire. Fa tappa anzitutto a Genova, dove conosce parte dei suoi parenti, e quindi in Francia, a Cannes, dove inizia a lavorare come inserviente di spiaggia in un Grand Hotel. Siamo negli anni Venti-Trenta, il tempo dei bagni marini, coda della Belle Epoque. Qui incontra lo scrittore americano Scott Fitzgerald e la moglie Zelda, della quale resta folgorato. Inizia con lei una corrispondenza epistolare, che continuerà per tutto il romanzo. La vicenda termina con la Seconda Guerra Mondiale. Il romanzo è ambientato soprattutto a Parigi, dove l'autore ha vissuto molti anni. 
Scrittrice anche la moglie, i due hanno fondato l'associazione 'Scrittori in Varese'. 

Buffone? Ma dai...


 

Due cose non mi sono piaciute della grande vittoria della OJM Varese basket contro Milano: i fischi iniziali al nostro coach Herman Mandole, e i fischi per tutta la partita contro il nostro ex Nicco Mannion, compreso un 'buffone, buffone!!!' dopo l'errore finale. Da narratore, mi piace invece cercare di immedesimarmi nel vissuto della gente, e in questo caso penso a Nicco, che ha sopportato tutti quei fischi. Che avrà pensato? 'Questi varesini sono proprio irriconoscenti!' Probabilmente non si aspettava gli applausi, ma nemmeno tutta quella acredine. Comunque si impegna e tutto sommato ci mette paura e pressione. Poi arrivano i secondi finali, è in campo e che avrà pensato? 'Ora ci penso io..Si pentiranno dei loro fischiacci.' Ecco allora un'entrata delle sue, rapidissima, con quel sottomano anticipato tante volte vincente, se non motivo di canestro certamente di fallo. E invece non arrivano né il canestro né il fallo. Si innervosisce? Forse. Milano è sotto di uno, 93-92, mancano 14". Nicco ha la palla della vittoria, è troppo gustosa l'idea che sarà proprio lui il fustigatore di Varese. Così appena ha il varco parte la sua bomba. Che cilecca. E il pubblico: 'Buffone! Buffone!...' Perché quella conclusione rischiosa? Mannion avrebbe dovuto mantenere la calma, cercare altre vie di canestro. Buon per noi. Ma immagino il vissuto del rosso, di capelli e di maglia. Nero di umore. Demoralizzato. Avvilito.

Non andavano fischiati: né Mandole né Mannion.  

Il viaggio di papà Mario - 21

 



Ecco un papà Mario in versione montagna. Immagini che dimostrano la buona gamba di papà. La prima è dell’estate 2009, il Mario ha 83 anni, ma è ancora in grado di salire in cima al Corno Bianco, in Trentino, vicino a Cavalese. Si trova lì con un gruppo di amici. La seconda immagine è del mese di settembre del 2010. Carla ed io avevamo convinto mio papà e don Pino Gamalero a venire con noi in gita dalle parti di Pian Cavallone, in Piemonte, vicino al Monte Zeda. Credo sia l’ultima gita lunga in montagna di mio papà, che nelle molte ore di cammino non ha palesato alcuna difficoltà. Vi è però da dire (come vedremo) che di lì a non molto tempo proprio una gamba, meglio, un’anca sarà per lui motivo di non poca sofferenza.

 

21 - continua

 

 


domenica 15 dicembre 2024

Milano a capo chino


 



L’avevo scritto, con speranza: ‘Quando si tocca il fondo, poi si dà una bella spinta e si risale.’ La spinta è arrivata ieri sera al palazzetto, quando i ragazzi della OJM Varese basket hanno stantuffato con i garretti, sono volati verso l’alto, lasciando al piano di sotto Milano. E’ stata una entusiasmante fuga guardie contro ladri: i ladri fuggono subito (7-0), i ghisa meneghini quasi ci riprendono, ma noi scappiamo e loro dietro, noi avanti e loro dietro, il fiato sul collo, ci beccano, ci beccano e invece no, una curva, un vicolo stretto, il buio della sera, la voglia di fuggire col malloppo e i ghisa non ci vedono più. Con la bella differenza che noi non siamo ladri, non abbiamo rubato nulla, ma piuttosto abbiamo depositato in cassaforte due punti pesantissimi. Mi spiace di una sola cosa: i fischi (addirittura buffone, buffone!) a Nicco Mannion, che è stato lapidato per tutta la partita. Dimenticando che dobbiamo all’ 80% a lui la nostra sopravvivenza in serie A…ma abbiamo la mente corta. Come anticipato, partenza a razzo, 7-0, le triple varesine vanno a segno, entra anche Assui, Milano si avvicina ma resta a sei punti dopo un quarto (25-19). La prima parte della seconda frazione è un’apoteosi varesina, addirittura + 13 (35-22), il pubblico (assenti gli Arditi in curva, peggio per loro, si sono persi un match super!) impazzisce, Varese, Varese, poi però Milano fa 8-0 (35-30), le triple di Gray e di capitan Libro tengono i diavoli rossi a distanza: 54-43 a metà gara. Il terzo quarto sarà la nostra rovina? Niente affatto. A -4’ dalla fine siamo avanti di 16 (68-52), il pubblico stravede e straapplaude, forza Varese! Forza Varese!, bene un po’ tutti ma su tutti Librizzi, Sykes (foto) e Johnson. Finisce il quarto 72-65: è fatta! E’ fatta! Ma il basket è il basket, non è mai finita, e infatti inizia la salita al Calvario per la OJM, e i ghisa s’avvicinano col manganello in mano. Varese prende paura, perde palle, Tyus sbaglia due rigori a pochi cm dal ferro, 88-84 a -3’ dalla fine. E’ la fine? Si direbbe di sì, 91-89 quando mancano 40”. Johnson fa 2 su 2 nei liberi (93-89), ma arriva la tripla di Milano a 14” (93-92). Palla a Milano: Nicco Mannion azzarda la tripla decisiva ma sbaglia, Hands fa 1 su 2 nei liberi, e finisce qui: 94-92.

La gioia è palpabile e benefica, 6 punti, abbiamo dietro Napoli e Cremona, il cammino è lungo ma la risalita è cominciata. Avanti così.

Forza Varese!!!


Il Calandàri all'ANCE


 




                                                                                              foto Mario Zeni

E’ stato presentato stamani, domenica 15 dicembre, presso la sede gentilmente concessa dall’ANCE (Associazione costruttore edili) in via Cavour 32, a Varese, il numero 70 del Calandàri dra Famiglia Bosina par ur 2025. Un numero speciale, che presenta in copertina tutte le 69 copertine che sono arrivate prima dell’attuale. A fare gli onori di casa il regiù della Famiglia Bosina Luca Broggini. Dopo i saluti dell’assessore alla Cultura del Comune di Varese, Enzo Laforgia, Carlo Zanzi, coordinatore dell’annuario, ha presentato la settantesima edizione, soffermandosi però principalmente sul numero Uno, che è stato mostrato ai presenti, e che lo Zanzi ha più volte accarezzato, con grande cura e rispetto. Molto gradita la presenza di Maria Talamoni (in foto) la nipote di quel Giuseppe Talamoni, inventore della maschera del Pin Girometta, a cui si deve il disegno del focolare della prima copertina del libro, venduto nel 1955 a Lire 500, nato insieme alla Famiglia Bosina. Nel pubblico molti fra i redattori del Calandàri. Ha reso ancor più gradita la presentazione Giuliano Mangano, nei panni però di Enea Biumi, che ha cantato, accompagnandosi con la chitarra, quattro brani di Nanni Svampa: L’umbrèla, Il bumburìn, Tempuràl e Ul Testamènt.