In attesa di poter leggere il libro del prof. Riccardo Prando, 'Contro la scuola', pubblichiamo la prefazione scritta dal poeta Davide Rondoni (foto).
Un lungo
racconto o un lungo sfogo? O forse un lungo tormento, lieto e profondo, offerto
come a sigillo di una storia di insegnamento. Cosa è questo libro pieno di
idee, incontri, volti quasi di sfuggita?
Diceva Péguy che
ogni crisi di civiltà è una crisi di insegnamento. E invece tutti coloro o
quasi che han osservato questa crisi per cercare di capirla e domarla non han
guardato lì, nell'insegnamento. Hanno guardato altrove: nelle banche, nelle
aziende, nei vaticini quasi tutti sbagliati degli economisti, nelle prime
pagine dei giornali sempre lontani dalla vita reale.
Intanto
quest'uomo insegnava, incontrava ragazzi tutti i giorni, si stupiva, si
commuoveva, si dannava l'anima intorno a libri, parole, ragazzi irrequieti.
Lontano dagli sguardi di coloro che pensavano di capire, di analizzare la
crisi.
Questo libro è
una storia sottotraccia. Sfuggirà agli archivisti delle grandi concentrazioni
di dati, del fruscio di algoritmi, insomma a coloro che non sanno nulla del
tremore di un sedicenne, della noia di una diciassettenne. A coloro che non
sanno nulla di quel che ha scritto Rimbaud in "Una stagione
all'inferno".
Certo, questo
libro lo possiamo consigliare agli insegnanti, che nella lunga riflessione a
voce alta, quasi nel flusso di coscienza a tratti, possono trovare spunti,
rispecchiamenti, correzioni e suggerimenti. Ma non è un libro per insegnanti.
Lo dovrebbero leggere sindaci, politici, economisti, giornalisti, direttori
televisivi.
È un libro
esagerato, scomposto, pieno di anse come
un fiume. Di intuizioni fulminee. Di ripensamenti. Forse un genere nuovo, che ha alcuni
precedenti sparsi, in carta e on line di professori che riflettono sulle loro
esperienze. Penso non solo ai più noti
prof e scrittori D'Avenia, Mastrocola, Affinati, ma anche a più riparati
docenti sparsi nella penisola che in libretti o
blog come bottiglie nel mare dicono della loro mansione segreta, della
loro fatica e dello sperdimento di un'epoca.
Qui a volte si
rimpiange un passato che non solo non torna, ma è la causa dell'oggi e dunque
non va rimpianti ma corretto oltre che tradotto.
Se si interrompe
la corretta traduzione si interrompe il metodo dell'insegnamento. E qui
troviamo molti spunti di metodo, per quanto non esposti in modo sistematico e
ordinato. Ma il lettore interessato potrà trovarne gli appunti sparsi.
Anche quando
sembra prevalere il tono del rammarico, del rimpianto, torna il guizzo
dell'innamorato del futuro intravisto negli occhi ombrosi, ridenti e fuggitivi
di ragazzi. Si tratta di esseri che a volte sembrano capitati a scuola piovendo
da chissà quale pianeta non interpretabile. E il prof avvolto da un affetto
intero e serio non se ne va in pensione come uno sconfitto, ma come uno che non
ha piegato le spalle sotto la disperanza.
La scrittura che
dà vita a questo diario -tumultuoso e appassionato, concentrato e felicemente
sgangherato- è una sorta di confessione mista a sommessa invettiva. Ne viene
uno zibaldone pieno di andirivieni su vari temi e di percorsi intrecciati.
Una lettura che
fa pensare, continuamente. E anche dopo.
Grazie Davide e grazie anche Carlo. Parlare di scuola significa parlare del nostro futuro. Non mi pare poco.
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