venerdì 20 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 26


 


Il 2011 sta per finire, e per papà Mario sono dolori. Avverte da qualche tempo male all’inguine e ad una gamba, e questo lo mette in crisi, perché mina la sua completa autonomia. Il sospetto di dover dipendere da qualcuno, unito al fatto che le prime cure non danno alcun risultato, lo portano in crisi depressiva. E allora passerà le sue giornate di quei mesi rimanendo a casa mia sin nel primo pomeriggio, poi da mio fratello Guido e tornando a casa solo per dormire. Un triste periodo, che però pare smentito da queste due immagini. La prima è del novembre 2011, sorride per il compleanno della nipote Caterina. Quindi il Natale, con il pranzo dai miei suoceri Elio e Anita. Si noti il bastone, che aiutava mio papà nel cammino. Già da tempo aveva l’abitudine di recarsi da Elio e Anita verso sera, e insieme pregavano il rosario di TV2000. E intanto il Mario pregava i suoi figli che trovassero una soluzione a quel mal di gamba, che lo stava torturando.

 

26 - continua

Monviso

 




Il vento ha pulito il cielo.
Il Monviso ne ha tratto vantaggio.

(foto da Villa Mirabello)

Il racconto di Simone


 

La bottega delle cose perdute.

Era quasi terminata una giornata come tante altre, in Comune. Ma il ragionier Marchetti, mentre si occupava della mole di domande, interrogazioni, esposti, che si ritrovava quotidianamente sul computer, stava pensando all'ufficio accanto.

Non che i colleghi con i quali divideva l'ampio locale non fossero simpatici (anche se ormai erano rimasti in tre, e altre due postazioni desolatamente vuote facevano da contraltare alle loro; era ormai diventato difficile condividere non solo il pensiero, ma anche il lavoro); preferiva l'altra stanza perché ci si poteva ancora incontrare la gente.

Tra le sue mansioni vi era anche la “gestione amministrativa dell'Ufficio Oggetti Smarriti” (scritto così, con le maiuscole), che lui però chiamava “La bottega delle cose perdute”. Aveva anche messo un cartello con questa dicitura, sulla porta.

Una voce nota e amica lo riportò alla realtà: “Ciao! Non hai idea della mia gioia quando mi hai telefonato”.

“Buongiorno, Dond....ehm Don Luigi, come sta?”

E Don Luigi, sapendo perfettamente che lo sciagurato lo chiamava Don Dante da quando un'anca, bisognosa del pezzo di ricambio, aveva modificato la sua andatura, fece finta di nulla e rispose: “Benissimo: siamo nelle mani del Signore, e la tua telefonata me lo ha confermato.”

Era stata ritrovata (forse perché il buontempone autore del misfatto l'aveva messa bene in vista nel parchetto di fronte agli uffici, spinto dalla coscienza) la statua del bue del presepe che ogni anno il parroco allestiva sul sagrato. Un arnese di legno alto circa mezzo metro e pesante una decina di chili.

Ne era rimasto molto rattristato, e durante la predica della notte di Natale aveva detto che gli dispiaceva in modo particolare perché era il personaggio che più gli assomigliava per via della sua “abbondanza” (era quello che si definisce un marcantonio, e dissimulava tutto con il suo senso dell'umorismo).

Stavano per passare alla parte burocratica della faccenda quando si affacciò alla porta quello che in ufficio chiamavano “il capo”.

“Don Luigi carissimo i miei rispetti! Come va la parrocchia? Sempre in giro a far del suo meglio eh... se ha bisogno di qualche consiglio per far funzionare meglio le cose io sono qui. Ad esempio, è vero che sta facendo il giro delle benedizioni a piedi? Non fa troppa fatica? Non è meglio provvedere in streaming? Risparmierebbe tempo e fatica, con quella gamba...”

“Il bello è che non si capisce se creda davvero di essere d'aiuto, o di essere divertente, a dire queste cose...”, pensava intanto il buon Marchetti, e nel frattempo compilava la ricevuta per il prete. Ma a quest'ultimo non era sfuggito il fatto che l'ombra che da qualche tempo si portava dentro si era trasferita al suo sguardo.

“Vede, ormai siamo alle soglie dell'intelligenza artificiale. Il futuro della Bottega del Marchetti, ad esempio, è una bella applicazione del telefonino, con la quale potrà scoprire che la sua statuetta, o il suo cappello, il suo documento, e via discorrendo, sono stati ritrovati e sono disponibili. Non avrà che inviare via telefono la prova che l'oggetto è suo e riceverà un codice con il numero dello sportello automatico che si aprirà, giù nel parcheggio. Così potrà ritirare la cosa senza nemmeno dover telefonare, venire qui a parlare con un operatore...comodissimo no?”

Il prete rispose: “Meraviglioso, davvero! Però sa, io sono un povero vecchio prete, appena tornato dal giretto settimanale nella casa di riposo, dove posso parlare con persone che purtroppo non hanno più la memoria molto a posto: il bello è che quando ne esco mi sento leggero come una piuma, e sereno. Mi sembra perfino di camminare diritto. Per cui non si offenda, preferisco la demenza naturale. Prenda ad esempio il Bue, che sto ritirando: lui non lo sapeva, ma solo per il fatto di essere lì era d'aiuto al suo Creatore.

Le nostre super macchine velocissime sono fantastiche per portare in giro le informazioni, o le cose, perfino il Bene e il male. Il Bene però è meglio portarlo in giro a piedi: si fa più fatica ma alla fine dà più soddisfazione.  Anche per il servizio del Marchetti, ad esempio; non so se con l'app sullo smartphone avrei potuto vedere la felicità della sciura Rosa, che ho incontrato ieri giù nel piazzale.”

L'altro sorrise, con aria di benevolenza: “Non cambierete mai, ma il percorso è tracciato, il mondo va avanti...dovrete farvene una ragione prima o poi. E vedrete che sarete contenti. I miei rispetti!” salutò.

Don Luigi allora disse: “Giorgio, non ti adombrare, e non perdere la Speranza: tu trova il modo di rimanere umano in quello che fai, e guarda in alto. E' così che si genera, è così che si rimane vivi; in ogni circostanza.”

E così, terminata l'operazione recupero bue, il Marchetti tornò con la mente al giorno prima. La sciura Rosa si era presentata in ufficio, dopo che l'aveva fatta avvisare dalla parrucchiera del paese, che funzionava da “centrale operativa” delle opere di bene, e in questo caso poteva raggiungere meglio l'obiettivo.

Era entrata in ufficio vestita di tutto punto, col cappotto e il cappellino della festa, per recuperare il portafogli che le avevano rubato; era stato ritrovato in un cestino della spazzatura, senza i soldi ma fortunatamente con tutti i documenti.

“Signora Rosa, buongiorno! Sono davvero contento di poterle consegnare il portafogli: almeno può evitare la trafila di rifare i documenti”, le aveva detto.

“Non è quella la cosa più importante”, aveva risposto, con la voce tremante che faceva trasparire un po' di trepidazione. “Posso vederlo?”

“Certo signora, glielo consegno subito.”

L'aveva aperto come se fosse tornata bambina, in procinto di scoprire un regalo di Natale, e ne aveva tratto una piccola foto, esclamando trionfante: “Dio sia lodato! C'è! C'è!”.

Si era messa perfino a ballare dalla felicità, abbracciando poi il povero Marchetti, stupito da quella donna che aveva perso il contegno dignitoso per cui era conosciuta.

La foto era la stessa che si poteva vedere sulla tomba del marito: l'unica che era rimasta della loro piccola creatura, che li aveva lasciati pochi mesi dopo la nascita.

Si riscosse, e si affacciò alla finestra. Era quasi ora di chiudere.

Nel parcheggio due uomini andavano in direzioni opposte.

         Il primo, una mano in tasca, l'altra col telefono all'orecchio, ondeggiando verso l'automobile parcheggiata (“Non si capisce se è lui che porta in giro la sua pancia o se è la pancia, che porta in giro lui”).

         L'altro dondolava paurosamente per via dell'anca, sotto il peso di una statua del presepe, con la tonaca che svolazzava nell'aria della sera, verso la canonica.

         E finalmente sorrise, perché guardando il cammino del prete gli pareva di sentire la marcia trionfale dell'Aida.

Simone Mambrini

giovedì 19 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 25


 


Due foto che testimoniano altri due momenti felici per mio papà Mario. In alto una singolare immagine di un conto, fatto da mio fratello Paolo. Siamo nel 2009, 1000 mesi di vita per papà Mario, 100 per il nipote Riccardo. Sorriso smagliante invece nella seconda foto. E’ il primo luglio del 2011, è il primo matrimonio di una nipote di nonno Mario, Marta, che convola a nozze con Fabio. Messa nella chiesetta di Santo Stefano a Bizzozero, pranzo alla Furnasa di Biandronno. Fa molto caldo. Tutto sembra andare per il meglio, ma per l’ottantacinquenne Mario Zanzi si sta preparando una nuova battaglia.

 

25 - continua


Sport Uninsubria al top


 



Da anni l'Università dell'Insubria dà spazio allo sport, anche ai massimi livelli, grazie soprattutto al College per il mezzofondo e per gli sport invernali. Ed ecco i frutti. Segnalo soprattutto tre atleti, studenti universitari varesini, che sono al top. Anzitutto Pietro Arese, torinese ormai di casa a Varese, che ieri ha vinto il premio Fidal come miglior prestazione tecnica di atletica leggera del 2024, grazie al suo record italiano sui 1500, ottenuto con l'ottavo posto nella finale alle Olimpiadi di Parigi. Pietro è allenato dal varesino Silvano Danzi. E poi abbiamo due sciatori, che parteciperanno ai Giochi Mondiali universitari invernali di Torino (13-23 gennaio 2025). Si tratta di Enrico Giacomelli per la discesa libera, e di Nicolò Genovese per lo sci nordico. Enrico è di Bormio, sua mamma è sindaca del paese dell'alta valtellina. Nicolò invece è varesino, e lo vediamo allenarsi costantemente in questi giorni con gli skiroll, lungo le rampe del Sacro Monte, sotto l'occhio esperto di Pippo Gazzotti, altro varesino che ha allenato squadre nazionali e che lo sta seguendo anche negli allenamenti sulla meravigliosa pista di Riale. 
Ed eccoli insieme, Danzi e Gazzotti, due tecnici che sono certamente una eccellenza per la nostra città .  

mercoledì 18 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 24


 

Questa foto, scattata a casa mia alla fine del 2010, mi permette di tornare su un argomento che forse ho già sfiorato in questa cronaca sintetica. Papà Mario, come il vino, migliorava con gli anni, ma soprattutto andava aumentando la simpatia che riusciva a creare intorno a sé, in particolare fra i miei amici, che vedevano nel Mario una grande carica vitale, un ottimismo ferreo, il desiderio di raccontare e di raccontarsi. E più di un mio amico sottolineava quanto fosse diverso da me, tendente invece alla malinconia e alla introspezione.

 

24 - continua

martedì 17 dicembre 2024

Il viaggio di papà Mario - 23


 




Nella poesia Pà che ho dedicato agli ottant’anni di papà Mario, faccio cenno ad alcuni regalini che mio papà era solito portare ai suoi figli e alle sue nuore: i bucaneve alla fine dell’inverno, i mughetti ai primi di maggio, le castagne e poi alcuni dolci tradizionali, come il pan dei morti e le ossa da mordere (ai primi di novembre), le colombine per Pasqua, e poi il patè per Natale, il pan meino eccetera. Mio fratello Guido ha ereditato la ricetta del patè del Mario e per fortuna è in grado di rifarlo. Un giorno di fine estate del 2010 ho invitato papà Mario a casa mia, obbligandolo a lasciarmi (compresa una dimostrazione pratica) la ricetta del pan meino, dolce tipico milanese-varesino, realizzato con i fiori secchi di sambuco, che a Varese abbondano. Il Mario arrivò, si rimboccò le maniche e portò a termine il suo compito di testimonianza. Ecco il risultato fotografico. Per la verità da allora non ho mai fatto i pan meini, ma ho la ricetta e le foto, prima o poi mi cimenterò. Un giorno ero impegnato nella realizzazione della pasta frolla. La crostata è il solo dolce che so mettere in forno. Il Mario mi vide che impastavo gli elementi dentro una ciotola, mi sgridò bonariamente, spiegandomi che avrei dovuto fare la montagna di farina, il cratere in mezzo, uova, burro, zucchero e ‘mettere le mani in pasta’, non aver paura di sporcarmi le mani. La foto dimostra il metodo che ho descritto.

 

23 - continua