La bottega delle cose
perdute.
Era quasi terminata una
giornata come tante altre, in Comune. Ma il ragionier Marchetti, mentre si
occupava della mole di domande, interrogazioni, esposti, che si ritrovava
quotidianamente sul computer, stava pensando all'ufficio accanto.
Non che i colleghi con
i quali divideva l'ampio locale non fossero simpatici (anche se ormai erano
rimasti in tre, e altre due postazioni desolatamente vuote facevano da
contraltare alle loro; era ormai diventato difficile condividere non solo il
pensiero, ma anche il lavoro); preferiva l'altra stanza perché ci si poteva
ancora incontrare la gente.
Tra le sue mansioni vi
era anche la “gestione amministrativa dell'Ufficio Oggetti Smarriti” (scritto
così, con le maiuscole), che lui però chiamava “La bottega delle cose perdute”.
Aveva anche messo un cartello con questa dicitura, sulla porta.
Una voce nota e amica
lo riportò alla realtà: “Ciao! Non hai idea della mia gioia quando mi hai
telefonato”.
“Buongiorno,
Dond....ehm Don Luigi, come sta?”
E Don Luigi, sapendo
perfettamente che lo sciagurato lo chiamava Don Dante da quando un'anca,
bisognosa del pezzo di ricambio, aveva modificato la sua andatura, fece finta
di nulla e rispose: “Benissimo: siamo nelle mani del Signore, e la tua
telefonata me lo ha confermato.”
Era stata ritrovata
(forse perché il buontempone autore del misfatto l'aveva messa bene in vista
nel parchetto di fronte agli uffici, spinto dalla coscienza) la statua del bue
del presepe che ogni anno il parroco allestiva sul sagrato. Un arnese di legno
alto circa mezzo metro e pesante una decina di chili.
Ne era rimasto molto
rattristato, e durante la predica della notte di Natale aveva detto che gli
dispiaceva in modo particolare perché era il personaggio che più gli
assomigliava per via della sua “abbondanza” (era quello che si definisce un
marcantonio, e dissimulava tutto con il suo senso dell'umorismo).
Stavano per passare
alla parte burocratica della faccenda quando si affacciò alla porta quello che
in ufficio chiamavano “il capo”.
“Don Luigi carissimo i
miei rispetti! Come va la parrocchia? Sempre in giro a far del suo meglio eh...
se ha bisogno di qualche consiglio per far funzionare meglio le cose io sono
qui. Ad esempio, è vero che sta facendo il giro delle benedizioni a piedi? Non
fa troppa fatica? Non è meglio provvedere in streaming? Risparmierebbe tempo e
fatica, con quella gamba...”
“Il bello è che non si
capisce se creda davvero di essere d'aiuto, o di essere divertente, a dire
queste cose...”, pensava intanto il buon Marchetti, e nel frattempo compilava
la ricevuta per il prete. Ma a quest'ultimo non era sfuggito il fatto che l'ombra
che da qualche tempo si portava dentro si era trasferita al suo sguardo.
“Vede, ormai siamo alle
soglie dell'intelligenza artificiale. Il futuro della Bottega del Marchetti, ad
esempio, è una bella applicazione del telefonino, con la quale potrà scoprire
che la sua statuetta, o il suo cappello, il suo documento, e via discorrendo,
sono stati ritrovati e sono disponibili. Non avrà che inviare via telefono la
prova che l'oggetto è suo e riceverà un codice con il numero dello sportello
automatico che si aprirà, giù nel parcheggio. Così potrà ritirare la cosa senza
nemmeno dover telefonare, venire qui a parlare con un operatore...comodissimo
no?”
Il prete rispose:
“Meraviglioso, davvero! Però sa, io sono un povero vecchio prete, appena
tornato dal giretto settimanale nella casa di riposo, dove posso parlare con
persone che purtroppo non hanno più la memoria molto a posto: il bello è che
quando ne esco mi sento leggero come una piuma, e sereno. Mi sembra perfino di
camminare diritto. Per cui non si offenda, preferisco la demenza naturale.
Prenda ad esempio il Bue, che sto ritirando: lui non lo sapeva, ma solo per il
fatto di essere lì era d'aiuto al suo Creatore.
Le nostre super
macchine velocissime sono fantastiche per portare in giro le informazioni, o le
cose, perfino il Bene e il male. Il Bene però è meglio portarlo in giro a
piedi: si fa più fatica ma alla fine dà più soddisfazione. Anche per il servizio del Marchetti, ad
esempio; non so se con l'app sullo smartphone avrei potuto vedere la felicità
della sciura Rosa, che ho incontrato ieri giù nel piazzale.”
L'altro sorrise, con
aria di benevolenza: “Non cambierete mai, ma il percorso è tracciato, il mondo
va avanti...dovrete farvene una ragione prima o poi. E vedrete che sarete
contenti. I miei rispetti!” salutò.
Don Luigi allora disse:
“Giorgio, non ti adombrare, e non perdere la Speranza: tu trova il modo di
rimanere umano in quello che fai, e guarda in alto. E' così che si genera, è
così che si rimane vivi; in ogni circostanza.”
E così, terminata
l'operazione recupero bue, il Marchetti tornò con la mente al giorno prima. La
sciura Rosa si era presentata in ufficio, dopo che l'aveva fatta avvisare dalla
parrucchiera del paese, che funzionava da “centrale operativa” delle opere di
bene, e in questo caso poteva raggiungere meglio l'obiettivo.
Era entrata in ufficio
vestita di tutto punto, col cappotto e il cappellino della festa, per
recuperare il portafogli che le avevano rubato; era stato ritrovato in un
cestino della spazzatura, senza i soldi ma fortunatamente con tutti i
documenti.
“Signora Rosa,
buongiorno! Sono davvero contento di poterle consegnare il portafogli: almeno
può evitare la trafila di rifare i documenti”, le aveva detto.
“Non è quella la cosa
più importante”, aveva risposto, con la voce tremante che faceva trasparire un
po' di trepidazione. “Posso vederlo?”
“Certo signora, glielo
consegno subito.”
L'aveva aperto come se
fosse tornata bambina, in procinto di scoprire un regalo di Natale, e ne aveva
tratto una piccola foto, esclamando trionfante: “Dio sia lodato! C'è! C'è!”.
Si era messa perfino a
ballare dalla felicità, abbracciando poi il povero Marchetti, stupito da quella
donna che aveva perso il contegno dignitoso per cui era conosciuta.
La foto era la stessa
che si poteva vedere sulla tomba del marito: l'unica che era rimasta della loro
piccola creatura, che li aveva lasciati pochi mesi dopo la nascita.
Si riscosse, e si
affacciò alla finestra. Era quasi ora di chiudere.
Nel parcheggio due
uomini andavano in direzioni opposte.
Il primo, una mano
in tasca, l'altra col telefono all'orecchio, ondeggiando verso l'automobile
parcheggiata (“Non si capisce se è lui che porta in giro la sua pancia o se è
la pancia, che porta in giro lui”).
L'altro dondolava
paurosamente per via dell'anca, sotto il peso di una statua del presepe, con la
tonaca che svolazzava nell'aria della sera, verso la canonica.
E finalmente
sorrise, perché guardando il cammino del prete gli pareva di sentire la marcia
trionfale dell'Aida.
Simone Mambrini