Si ricomincia con la scuola, le vacanze sono finite. E allora ho pensato a questo raccontino, già pubblicato nella raccolta 'Valzer par Varés'. Un narratore mette insieme un po' tutto, è un pasticcione: qui abbiamo una storia vera, capitata allo scrittore Andrea Camilleri, poi il prof. che ricorda molto il mio prof di storia e filosofia al Classico, Cesare Revelli (foto), e poi le sigarette, le Turmac, che ricordano molto un altro mio prof delle medie, alla Righi, tale Ermoli detto 'Paperino', vicepreside, che scriveva il nome degli alunni cattivi sul pacchetto rigido delle sigarette e poi lo gettava, senza prendere alcun provvedimento. Un buono con la faccia severa. Così nascono gli schizzi: un impasto di memoria.
Il professore
di carlozanzi
Lo
rivedo oltre la nuvola di fumo delle Turmac, appoggiato al calorifero, secco
come un bacchetto, alto come un giunco, impregnato del sapere che ci serviva.
Lo rivedo alla quarta lezione di filosofia, prima liceo. In tre lezioni era successo
questo: nella prima aveva sfruttato l’effetto sorpresa, quel silenzio che
sempre accompagna l’esordio di un nuovo professore. Gli alunni tastano il
terreno, sondano, valutano. E quel silenzio che ogni classe concede al nuovo
prof si era caricato subito di interesse. Sicché la seconda lezione partiva
bene per il professor Angelo Viscardi, che non la sprecò, non ci deluse e
navigò sulla scia di quella prima onda.
Parlava
lento, a basso volume, fra una boccata e l’altra; quelle parole misurate,
roche, odorose di tabacco, venivano da lunga sedimentazione, da lenta
maturazione, come gocce di vino stagionato in una botte di buon legno. Alla
terza lezione ci aspettavamo che interrogasse e invece disse, dopo aver fatto
l’appello, dopo essersi alzato con flemma, dopo aver acceso il cucuzzolo della
Turmac e dopo essersi appoggiato al solito calorifero: “Avete domande da fare?”
Silenzio. “Non partiamo bene, comunque ammetto di essere un insegnante che si
fa capire” e così aveva dato inizio ad una nuova spiegazione.
Poi
venne la quarta lezione. Sento ancora l’odore del fumo e le sue parole, che
diradano la nebbia. Disse: “Ho finito di spiegare.” Silenzio fra noi, un vento
lieve di brusio, qualche sorriso e soprattutto stupore. “Quello che mi paga lo
Stato basta solo per tre lezioni. Ora riposo. A meno che….” Ci guardammo come
avessimo visto la Madonna. “A meno che mi facciate trovare, tutte le mattine,
sulla cattedra, un pacchetto di Turmac” e mostrò la scatoletta di cartone.
“Queste Turmac” e le sollevò oltre la nube. Barilozzi si alzò, controllò,
scrisse sul quaderno l’esatta dizione del prodotto.
“Barilozzi,
hai visto bene? Quelle piatte, Turmac piatte.”
Uscì
dall’aula per farci decidere in riservata democrazia. I pochi fra noi che
mostrarono tracce di giustificata perplessità vennero ridotti alla ragione,
mettendo sul piatto la validità di quell’insegnante. In tre sole lezioni aveva
conquistato una classe definita esigente, a volte irrequieta.
Angelo
Viscardi rientrò, ascoltò la sentenza, sorrise e interrogò Barilozzi e
Faccioni. Non fu severo. Direi giusto.
Non
mancarono mai le sigarette sulla cattedra del nostro professore di filosofia.
Alla fine dell’anno feci i conti del mio investimento nel sapere, e lo giudicai
un ottimo affare.
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