lunedì 11 aprile 2022

Il muro di Cartabbia


 

Oggi sono andato a prendere alla scuola materna i miei nipotini Tommaso e Sofia. Frequentano la scuola materna di Cartabbia. Vedendo quella salita, quel muro un ricordo mi è piombato addosso come un TIR.

Era la primavera-estate del 1969 o 1970. Frequentavo le medie alla Righi. Avevo come compagni di classe i fratelli Crespi, di Galliate Lombardo. Mi ero innamorato della pesca, andavo alla Schiranna e i Crespi mi invitarono più volte nelle loro terre lacustri, dove (fra cannette, sabbie mobili, fango...) si muovevano come iguane. Io andavo bene a scuola, loro no: probabilmente volevano anche vendicarsi. Ci andai più volte, sempre con il medesimo trauma, l'usuale drammatico ritorno. Ma partiamo dal bello, cioè dalla notte prima della pesca, insonne, carica di sogni favolosi. Poi il giorno, la discesa per il muro di Cartabbia, la pianura verso Galliate, lo sguardo al lago, la vista immaginaria delle mie catture. Quindi la realtà: lenze che si incastravano nelle canne, minuti e minuti persi per rifarle, fango sino alle ginocchia, urla dei Crespi che pescavano, rabbia mia. Al massimo qualche persico sole (detto gobbino, vedi foto), un pesce che non amavo perché dal dorso carico di pungiglioni. Infine, con quattro pesci insoddisfacenti, il muro di Cartabbia da risalire, nel sole e nella fatica. E' stato il mio Sessantotto, non rivoluzione ma delusione. Una palestra di vita, per le gambe (e in effetti oggi ancora vado in bici in salita) e per il senso (della vita), che ti illude e ti disillude, che ti regala i sogni e poi li rende incubi. 

Ma oggi, vedendo i miei nipotini, non ho rimpianto né i gobbini né quell'età; il muro (in auto) non mi è parso affatto faticoso; a loro ho raccontato altre storie, non questa: un giorno, forse, dirò loro dei gobbini, dei fratelli Crespi, di un lago bello da lontano, brutto da vicino. 

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