martedì 22 settembre 2015

Il racconto del mercoledì

                                                                                              ph carlozanzi


LA SFERA PIU’ BELLA
di carlozanzi

Il settimo giorno si riposò. E nella quiete del dormiveglia, Dio pensò alla sfera. A quella particolare sfera che si chiama pallone da calcio. Ho un dubbio, un ricordo impreciso, una mancanza nella preziosità di ciò che è stato il mio passato: il mio primo amore è stato una donna o una palla? Una ragazzina della scuola materna ‘Veratti’ di via Como o uno stinto e sgonfio pallone da football? L’una e l’altro, comunque, mi hanno fatto sfavillare il cuore, mancare il fiato, e direi che il fiato l’ho perso soprattutto correndo dietro alla sfera tanto amata. Niente di più entusiasmante e commovente vedere un bimbo che se la dà a gambe mentre rotola il pallone e lui vuole prenderlo e quello scappa, e vuole calciarlo dritto e lui va storto, vuole fare gol e lui cozza sul palo, sulla traversa o contro il vetro della casa vicina. E allora sono botte.
Quando la palla finiva dietro la recinzione dell’Asilo Nido di via Gondar, il signor Mario non ce la ridava più: se arrivava prima lui, perché il più delle volte lo sfregavamo, scavalcavamo e riportavamo a casa la sferica preda. Mario, con il suo ghigno, era l’antipatia fatta uomo: non si ruba una sfera a un ragazzo. Al massimo lo si ammonisce, cartellino giallo, ma lasciando chiara sulle labbra la traccia di un mezzo sorriso.
Mai nessuno voleva fare il portiere in quel cortile, ai primi numeri del viale Belforte. Come dar torto ai ragazzi? Il cortile era di sassi, lisce pietre simili a quelle della rizzàda che conduce alla Madonna del Monte. Così, per evitare porte vuote, mi ci mettevo io. E ho fatto la mia piccola carriera, mi chiamavano portierino. Ma ho perso un’amica, perché la palla tanto amata si è fatta sfera avvelenata, traditrice, da temere, da calciare lontano, nell’area avversaria. Un rapporto ambivalente: la baciavo se l’abbracciavo, la prendevo a pedate se mi tradiva, avvolgendosi nella rete, maglie solo immaginate, perché i pali erano due sassi e la traversa una linea invisibile nel cielo: “E’ gol!” “No, non è gol, è alto!” “Alza le braccia, portierino…sì, è fuori!”
Dio, nel riposo, soddisfatto per la perfezione creata, pensò ad una perfezione ancor più divina. Immaginò un bimbo desideroso di gioco, fece un paio di palleggi e calciò giù dal cielo la sfera più bella.    

                                              





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