giovedì 31 gennaio 2019

L'umbrìa dul tèmp

                                                                                               ph carlozanzi


Sono particolarmente contento per la vittoria del mio amico Antonio Borgato, Poeta Bosino 2018. Siamo cresciuti insieme al quartiere Belforte di Biumo e in oratorio, dove ha mosso i primi passi come suonatore di basso. Il poliedrico Re e Poeta Bosino si è poi scoperto attore dialettale e poeta. La sua lirica, che potrete leggere qui, è a mio avviso la migliore fra le quattro finaliste. La poesia è immagine evocativa, immagine originale, Borgato ha avuto l'intuizione del titolo, L'ombra del tempo, e da quello in pochi attimi ha scritto le due quartine. La poesia, in genere, si scrive di getto.



L’umbrìa dul tèmp

Penséer ca vùgan via,
fiö d’ra malincunia
ca la vègn sòtt a ‘n ciél grìis,
grév e brütt ‘mè ‘n vestìi lìis.

Penséer ca sa ingarbüjan
in gròpp ca ma sufégan
e dul tèmp, scapàa via,
rèsta dumà l’umbrìa. 


Giobia e Poeta Bosino

                                                                                            ph carlozanzi




Giöbia 2019 e Poeta Bosino 2018


Giovedì 31 gennaio 2019, giovedì di giöbia, la Famiglia Bosina ha festeggiato come sempre la tradizionale festa varesina, invitando soci, amici, autorità al ristorante Vecchia Riva della Schiranna. Pochi fiocchi dal cielo e cena abbondante, con la presenza del Gruppo folk bosino, che ha dato il la con ‘La prima fioca’, canto con testo di Paolo Rattazzi e musica di Giuliano Mangano. Dopo antipasto e primo piatto, ecco la prima premiazione, una novità introdotta dal nuovo consiglio della Bosina. E’ stata premiata, come donna dell’anno, Sandra Coecke, ricercatrice belga a Varese da 22 anni, su progetto dell’Unione Europea. Un bel modo per festeggiare una donna, oltretutto -come ha sottolineato il regiù Luca Broggini- non nativa di Varese, e del resto non dimentichiamo che la giöbia nasce proprio per salutare gli uomini, che riprendevano i lavori all’estero dopo la pausa natalizia. Altre portate, altri canti del Gruppo Folk e quindi, prima del dolce, la premiazione del Poeta Bosino 2018. Il Poeta è anche il nostro Re, trattandosi di Antonio Borgato, Re Bosino di Carnevale da quando Natale Gorini ha lasciato lo scettro. Titolo della breve e intensa poesia: ‘L’umbrìa dul temp’. A Borgato la statuetta del Pin Girometta e il diploma, dalle mani del nostro primo cittadino. Secondo, con la lirica dal titolo ‘Dumà dadrèe d’un sipàri’ una vecchia conoscenza del concorso, e cioè Enrico Tediosi, presidente del Cenacolo dei poeti e prosatori dialettali della Famiglia Bosina. A lui l’artistico riconoscimento, consegnato dal questore di Varese. La terza piazza ci porta a Brinzio, dove risiede Carlo Piccinelli, che ha meritato la medaglia di bronzo con ‘Ra ratera da Milàn’, premiato dall’assessore alla cultura del comune di Varese. Poi, a sorpresa, anche un quarto premio, inusuale, forse pensato per omaggiare una donna. L’ha vinto Lidia Munaretti (moglie del nuovo Poeta Bosino), che in abito tradizionale (come molte altre signore) ha letto ‘Quàtar pass’, premiato dal Generale delle Guardie di finanza. Infine altri canti, il dolce a forma di cuore e gli applausi finali per una bella serata tipicamente varesina. 

mercoledì 30 gennaio 2019

Auguri, Tommaso



Felice compleanno a mio nipotino Tommaso detto Tommy.

Tremo alla vita

                                                                                             ph carlozanzi




Tremo alla vita
di carlozanzi

Tremo alla vita
non come una foglia,
e Dio non voglia
che usi il paragone del neofìta.

Tremo alla vita
perché ho piena coscienza
che tanta scienza
non risolverà la mia partita.

Tremo alla vita
come un bimbo intatto,
come un vecchio sfatto
che vorrebbe evitare la sortita.

Tremo alla vita
perché la terra trema,
perché il cuore è in pena
e anche l’ultima lacrima è fuggita.

Tremo alla vita
perché non ho coraggio
mentre sarebbe saggio
farne scorte abbondanti per l’uscita.

31 gennaio 2019

OJM-Sassari: 69-79

                                                                            ph carlozanzi


Avramovic tira da tre a pochi secondi dalla fine, la palla cozza contro il ferro, Avra scrolla la testa: non è serata. Ecco l'immagine emblematica della partita di stasera, di Fiba Europe Cup, che non aveva molto significato per la classifica (Varese e Sassari già qualificate al turno successivo) ma che ha sempre importanza per il morale. Varese perde soprattutto dalla lunga distanza, arma che le aveva permesso di vincere pochi giorni fa, con i sardi ma per il campionato (vittoria più importante, naturalmente). Unico dato positivo: Salumu. 16 punti quasi tutti nel terzo quarto, pareva Avra, preciso da fuori e in entrata. Poi un infortunio, speriamo non grave. Conferme per Cain, gran lottatore, non male Moore, per il resto ardore in difesa ma mano tremolante in attacco. Al termine del terzo quarto avevamo un misero 28% da tre, contro il 45% degli isolani, che mettono sul piatto anche un ottimo 55% da due, contro il nostro 40% . Il primo quarto finisce 15-18, siamo in partita ma si capisce subito che Spissu sarà in gran serata. Nel secondo quarto Salumu prima pasticcia, poi realizza una bella tripla, ma Sassari si allontana: 29-38. Caja dà fiducia agli italiani (foto), in campo il solo straniero è Salumu, che inizia lo show, portandoci al pareggio: 42-42. Ma si fa male, esce e gli altri non fanno altrettanto: Scrubb abulico e spesso in panca, Ferrero molto impreciso, Cain ha già 4 falli, Iannuzzi fa quello che può: 52-64 all'ultimo intervallo. Per i sardi Thomas è in serata di grazia, il piccolo Spissu continua su ottimi livelli, noi ci avviciniamo (60-64) ma Sassari scappa di nuovo, e noi sommiamo errori. Clamoroso quello di Natali: si alza in sospensione per il tiro ma a metà si pente e mette i piedi a terra. Si dispera, noi non ci disperiamo, in fondo era una partita non essenziale al nostro futuro. Quindi doccia e...Forza Varese! Dimenticavo: finisce 69-79 per Sassari. 

Gennaio

     


                                                                                             ph carlozanzi




Gennaio
di carlozanzi


Per chi arriva a Brinzio da Varese, se tiene sulla destra la chiesa e butta gli occhi sulla sinistra, oltre le poche, basse case del paese, non può fare a meno d’annegare nel verde. Estesi prati a balze, come un mare d’onde alte, si portano verso la scogliera che, nel caso di Brinzio, è fatta d’alberi, di boschi e infine di rocce, pietre sulla sommità del massiccio del Campo dei Fiori, visto nel suo versante nord. D’inverno il monte prealpino, per lunghi tratti del giorno, e senz’altro dal primissimo pomeriggio, nega al sole il gusto di indorare quello spreco d’erba. L’ombra scende lesta verso la chiesa, attardandosi a stendere il suo manto freddo sui boschi di fronte, che salgono ai Valicci.
Brinzio è fresca d’estate, fredda d’inverno. Se, a gennaio, in città piove, a Brinzio può nevicare. E se fiocca, su quei prati il tappeto di cristallo non si scioglie. Può resistere mesi, sin dopo febbraio. I residenti ne hanno fatto tesoro, hanno risolto a loro favore i lamenti dei freddolosi regalando una pista per lo sci da fondo agli amanti dei legni sottili. Se nevica, naturalmente. Perché la fiocca sa essere molto ricercata. Così è stato per una decina d’anni. Poi ci ha ripensato ed è tornata ad imbiancare i prati. Questa storia, che è poi la storia di tutti, è stata scritta da un anziano sciatore proprio il primo anno di fiocca, dopo tutto quel digiuno. Scritta con la vita. Per parte nostra ci abbiamo aggiunto solo il piacere di raccontarla.

***

Aveva gustato tutto quel candido ben di Dio dalla finestra al primo piano della sua casa di Brinzio. Ore ed ore ed ore di neve bella, soda, con poca acqua e molto ghiaccio, quieta e poi a tratti in sfarfallìo, rimestata dal vento.
Aveva atteso un giorno e una notte. E anche qualche ora al mattino, perché aveva imparato a pazientare. Aveva portato pazienza, ormai, ottantun anni. Aveva atteso che il piccolo gatto delle nevi gli spianasse la via, sui prati della pista da fondo. Non aveva voglia di regalare alla neve, sebbene tanto attesa, quelle energie per farsi da solo i binari necessari alla sua sciata, in perfetta, consolidata tecnica classica, cioè alternata, destra, sinistra, avanti indietro in parallelo, con le braccia a muoversi in sincronia con le gambe, movimento lungo, senza strappi, sfruttando al meglio la scarligàda.  Né s’era preoccupato di preparare per tempo gli attrezzi, sciolinandoli: una preparazione cavillosa e, non di rado, inefficace. S’era lasciato convincere a comprare sci di nuova generazione, già belli e pronti, una spruzzata poco prima di partire e via, tant l’è istèss, stessa cosa, gira e rigira. Se non meglio. Aveva comprato quegli sci rossi un paio d’anni prima, per curiosità e per propiziare abbondanti nevicate. Li aveva collaudati a Cunardo, dove la neve la sparavano coi cannoni.
Uscì che saranno state le dieci. Il sole rotolava sulla cresta del Campo dei Fiori, come una lenta palla su un terreno a buche e rialzi. Infilando gli sci e muovendo i primi scivolìi sentì dentro la vivacità di una vita giovane, e la domanda: “Ho più di ottant’anni ma, se sto così, perché dovrei morire?” Si immaginò eterno.
Dalle dieci alle tredici fu come si ricordava: un giro per scaldarsi, un altro per stancarsi, un terzo fatto di soste, di chiacchiere, di incontri con i paesani con gli sci ai piedi (tutti più giovani, oltre gli ottanta restava, da sciatore, lui solo). Poi, all’ora di pranzo, la pista divenne bianca coltre senza nessuno, salvo un ragazzino del locale Sci Club e un cane da slitta, in libera uscita dai recinti del vicino allevamento. Poi se ne andarono anche loro.
Avrebbe dovuto far rientro per il pranzo ma non aveva appetito e, più di tutto, conservava una gran voglia di sciare, quasi a voler risalire la china di tutti quegli anni persi, per via delle neve che non si staccava dal cielo. Così tirò dritto. E venne il quarto giro, e poi il quinto e subito appresso il sesto e il settimo e –miracolo- anziché affaticarsi si riposava, ogni tornata sulle sue balze e lungo i pendii, salita discesa e pianura era ristoro più che sofferenza, piacere intenso e non dolore.
La neve scintillava, trapuntata di diamanti. Gli sci procedevano in andamento alternato con una facilità e scioltezza di scivolamento che lo meravigliarono, ma non più di tanto, se è vero che ad ogni passaggio davanti alla casina dell’arrivo si sentiva come un bimbo, appena sceso in cortile, pronto a correr dietro al pallone.
E il sole, immobile, ad una spanna dalla sommità del Campo dei Fiori, pareva ignorare l’epilogo del tramonto.

***

Giosuè Piccinelli detto ‘il barba’ fu leccato e baciato dapprima da un cane da slitta, e quindi trovato senza vita dall’amico parente Luigi Vanini, lungo il pianoro della parte sommitale della pista da fondo del Brinzio, alle ore 13 e 15 del 10 gennaio 2002. Infarto, o forse infarto con ulteriori complicanze. Disposta l’autopsia, ed eseguita, dopo qualche giorno si seppe che infarto non c’era stato. Morto era morto. Non si sa di che. Probabilmente felice.

martedì 29 gennaio 2019

Io c'ero...a modo mio



Stamani, martedì 29 gennaio 2019, alle 10 ho preso la bici e mi sono diretto verso il Sacro Monte. Alla fine ho scelto così, non sono sceso in centro, quando proprio alle 10 partiva il corteo che, dal Salone Estense, avrebbe portato la salma di Giuseppe Zamberletti in basilica San Vittore, per i funerali solenni, di Stato, con l'arcivescovo Delpini, addirittura il presidente Mattarella, il premier Conte e molte altre autorità. Ho vinto la tentazione del IO C'ERO e ho deciso per un altro funerale, una presenza privata, più intima, raccolta, senza le distrazioni della folla. Salendo (nessuna novità, lo faccio tutte le mattine) ho pensato - a differenza del solito- a Zamberletti, ho pregato per lui, per il fratello Domenichino, decisamente più sfortunato di lui, mi sono recato al camposanto, dove molti uomini erano al lavoro per rendere decoroso il luogo, che mi è parso piuttosto trascurato. Foto alla tomba di famiglia, al padre di Giuseppe, al fratellino, che se n'è andato quando i più cominciano appena a rendersi conto di essere al mondo. Un segno di croce e via, nel freddo della discesa. Un elicottero ronzava sopra Varese, segno della presenza del Capo dello Stato. Non un incendio, per fortuna. 

lunedì 28 gennaio 2019

Mock's song

                                                                                 ph attilio aletti

...manca ciò che ora non ritrovo, carezze incise da spine di rovo.... (Mock's song)

Come la vita

                                                           ph carlozanzi


Il Monte Rosa è come la vita: spazio di contemplazione, di bellezza e di terrore, minaccia nella tempesta, baluardo rassicurante nel sereno, contrasti di colori, luci e ombre, inferno e paradiso, meta da raggiungere e traguardo irraggiungibile, dono di Dio e valanga che ti soffoca.

domenica 27 gennaio 2019

Bann

                                                                                          ph paolo russo


Ringrazio il mio amico Paolo che mi ha inviato questa foto e mi ha descritto una sua passeggiata in montagna. Sabato 26 gennaio, partendo da Bosco Gurin, ultimo paese walser di una piccola valle laterale della Val Maggia, in Canton Ticino, è salito sino agli oltre 2000 metri di Bann (foto). Faceva freddo e tirava vento, avrebbe dovuto spalare per poter entrare nel bivacco, ma si è limitato a scattare alcune foto e a prendere la via del ritorno.

OJM-Sassari: 84-73



Varese parte bene nel terzo quarto, tutti danno una mano, arrivano punti anche da Salumu, Tambo è sempre in palla, Natali mette un suo sigillo, il solo Scrubb, in attacco, non è così prolifico, ma fa il suo in difesa. Cain è costretto a stare in campo, il coach non rischia Iannuzzi, dopo un brutto esordio. Tripla anche per Moore e finisce 70-55. Finita? Niente affatto. Noi molto meglio dei sardi da Tre, loro meglio da Due, loro più rimbalzi e noi meglio nei liberi, tanti liberi, e pochissime palle perse per Varese. Sassari però non molla e arriva a meno dieci (75-65), e allora a quel punto Avramovic mette il suggello alla sua ottima prestazione, Scrubb ruba una palla importante e segna, Varese porta a casa il match 84-73. Peccato solo per l'ultima azione, la palla non entra nel cesto, così sono 11 punti di scarto, come 11 punti di scarto (a vantaggio di Sassari) segnarono la fine della partita d'andata. Bene in ogni caso: Varese torna a vincere in campionato, 20 punti in classifica, ottima difesa, contributi da tutti, Avra ritrovato, Cain monumentale, e così Tambone.
Forza Varese! 


OJM-Sassari: 46-33 a metà gara



Varese ha bisogno di vincere, e la Varese che va negli spogliatoi all'intervallo lungo fa ben sperare. Buone le percentuali, Avramovic parte a razzo, Sassari replica ma Varese è più precisa da fuori, e così il primo quarto finisce 21-14 per noi. I sardi non ci stanno, Avra esce per Salumu, Cain si riposa in panca e arriva Iannuzzi, la Dinamo comincia a segnare da fuori e allora anche le due triple di Tambone non bastano, si arriva al 28-26. Poi rientra Cain per cercare di zittire il lungo Cooley, e la crisi momentanea è superata. Altra tripla di Tambo e finisce 46-33.
Forza Varese!

Il ricordo di Pier

                                                                                   ph da google immagini


Mio cugino Pierluigi Tamborini, varesino poi trasferitosi a Treviso come giornalista, è stato addetto stampa di Giuseppe Zamberletti durante l'emergenza del terremoto in Friuli. Ecco il suo ricordo:


IL RICORDO DI UN UOMO VERO

di Pierluigi Tamborini



Come dice il poeta “Ogni morte di uomo ci diminuisce”: se poi l’uomo lo conoscevi di persona questa frase assume un valore ancora maggiore. La mia frequentazione con Giuseppe Zamberletti risale a più di 40 anni fa quando, giovane collaboratore della Prealpina, fui mandato al suo seguito (lui allora era sottosegretario all’Interno) in una sua visita istituzionale a Bellinzona, in Svizzera. Pochi mesi dopo, nel 1976, io mi ero laureato alla Cattolica ed ero partito per il servizio militare. In una licenza andai a trovare gli amici del giornale e, ricordo che Pier Fausto Vedani mi disse che Zamberletti, impegnato da mesi come Commissario straordinario per il terremoto in Friuli, era alla ricerca di un addetto stampa e non riusciva a trovare nessuno. Con l’incoscienza della mia giovane età risposi subito di sì ed insieme ad un altro ragazzo nelle mie stesse condizioni prendemmo l’auto in direzione Udine. Passare da notizie di provincia a trattare con gli inviati di mezzo mondo (il primo fu addirittura un collega del Washington Post) poteva risultare traumatico oltre ogni dire invece andò tutto bene anche perché c’era lui che riusciva ad infondere calma a tutti.
Sono stato nove mesi a stretto contatto con Zamberletti ma voglio ricordare soltanto due episodi che forse contribuiscono a delinearne la personalità. Il Commissario si incontrava regolarmente con i parlamentari friulani riuniti in Prefettura. Con loro stabiliva strategie e come impostare il lavoro. Poi capitava che, la volta seguente, traendo un bilancio scopriva che alcune cose non erano state fatte. Era diventata quasi  un mantra la sua celebre frase: “Ma non si era detto di fare questo? E allora…facciamolo”.
La seconda cosa che mi resta nella mente è la standing ovation che ricevette nella piazza principale di Udine gremita di friulani alla fine della fase di emergenza.
Gente scolpita nella pietra, che lavorava invece di lamentarsi, la stessa filosofia pragmatica di un lombardo che la gente del posto sentiva uguale a loro. Quella volta Zamberletti faticò a frenare la commozione.
Oggi non so dove sia volato ma spero gli giunga forte il mio saluto.






Giuseppe e Domenico


Ieri è morto il sacromontino Giuseppe Zamberletti, uomo politico Dc e uomo di governo, padre della Protezione Civile italiana. Non l'ho conosciuto personalmente, non gli ho mai scattato una foto decente, so che era molto apprezzato per il suo impegno, la sua onestà eccetera. Pensando a lui non posso non pensare al fratello Domenico detto Domenichino, tre anni più giovane del futuro sottosegretario (Giuseppe del 33, il fratellino del 36), morto a soli 14 anni, nel maggio del 1950, dopo una malattia devastante. Morto da santo, venerato soprattutto dalle mamme, morto con il vivo desiderio di diventare prete. I genitori avevano un albergo al Sacro Monte, Domenichino era di casa al santuario, pregava, faceva il chierichetto, era un bambino molto devoto. Ricordo che da ragazzo avevo letto la sua storia ed ero ammirato. A partire dal 1963, seconda elementare, anch'io voleva fare il bravo bambino, ero un chierichetto, vincevo le gare di catechismo, cercavo di ubbidire ai genitori, di mettere in pratica il vangelo. Quindi Domenichino era un mio punto di riferimento. Non mi chiedevo allora come si potesse morire a 14 anni, quale Dio potesse permettere uno scandalo di questo genere. Oggi, che tali domande sono per me pane quotidiano, che non sono più un bravo 'ragazzo' e che salgo spesso al Sacro Monte, ogni tanto penso a quel ragazzo, alla sua breve vita, al mistero che non dà risposte.  

sabato 26 gennaio 2019

I no

                                                                                     ph da google immagini

Come i genitori, i nonni, gli educatori sanno, non è quasi mai facile dire dei no a figli, nipoti, alunni...Non è facile ma è necessario. Come non è facile dire di no a chi ci chiede un favore, una disponibilità. Spesso si dice sì perché non ci si vuole inimicare qualcuno, non si desidera che l'altro abbia un parere non completamente positivo su di noi, oppure si vuole dimostrare a se stessi di essere perfetti...dire di no (se uno ha buone ragioni per farlo) vuol dire accettare il proprio limite, sopportare pensieri poco lusinghieri degli altri nei nostri confronti...no, non è facile..ma è necessario. 

Siamo lo stesso coinvolti

                                                                                                 ph carlozanzi


In questo momento (ore 18.25 di sabato 26 gennaio 2019) è in pieno cammino la salita lungo la rizzàda della Madonna del Monte, centinaia di alpini  che hanno deciso di trascorrere così la serata, per ricordare l'epica battaglia di Nikolajewka, 26 gennaio 1943, allorché gli alpini in ritirata sulla steppa russa riuscirono ad aprirsi un varco verso la salvezza. Essendo fuori a cena, non ho potuto seguire gli alpini né fermarmi alla Messa conclusiva, in Santuario, ma desideravo esserci almeno alla partenza, con il cappello in testa e nella testa tanti pensieri. Per me è stato un momento di silenzio e di riflessione non solo pensando agli alpini, al loro sacrifico, alla guerra, ma più in generale al dramma dell'olocausto, essendo questi i giorni della memoria. Un pensiero su tutti: non possiamo assolverci con leggerezza, siamo comunque coinvolti nella miseria dell'uomo. Corriamo tutti il rischio di colorarci di sfumature razziste, violente, nazionaliste, individualiste. Questo è il mistero dell'uomo. La grande storia (nel bene e nel male) non è che la nostra piccola storia, moltiplicata.   

Servitori della verità

                                                                                             ph carlozanzi

A cavallo fra il Cinquecento e il Seicento Francesco di Sales, vescovo cattolico francese, fu fra i più attivi nella lotta contro il calvinismo, anche utilizzando manifesti per raggiungere più gente possibile. Divenne santo, ed è il patrono dei giornalisti. Ogni anno una Messa ricorda Francesco, e soprattutto ricorda ai giornalisti varesini che sarebbe opportuno servire la verità dei fatti, più che un editore o il proprio ego. Spesso in orario scolastico, negli anni passati non sempre sono riuscito a partecipare, ma ora la pensione mi agevola e così stamani ero presente alla celebrazione nella piccola chiesa dei Salesiani, presieduta dal vicario episcopale Mons. Gianfranco Vegezzi, e concelabrata fra gli altri dal prevosto di Varese Mons. Luigi Panighetti. Fra i giornalisti presenti, hanno letto all'ambone Gianfranco Fabi, Enrico Castelli e Marco Dal Fior. 

venerdì 25 gennaio 2019

1943-2019: Nikolajewka

                                                                                         ph dino azzalin


Mario Rigoni Stern (in foto nel 2011, quando vinse il Premio Chiara alla carriera) è l'autore de 'Il sergente nella neve', cronaca delle fasi della battaglia di Nikolajewka, 26 gennaio 1943, quando gli alpini scrissero una pagina memorabile della loro storia. Domani, sabato 26 gennaio 2019, a partire dalle 17.30, alla Prima Cappella del Sacro Monte, inizierà la salita verso il Santuario, dove verrà celebrata la Santa Messa, in ricordo dei caduti di quella guerra, in particolare degli alpini di Nikolajewka.

giovedì 24 gennaio 2019

Regole di coppia

                                                                                          ph da google immagini


Vi sono alcune regole di coppia, non scritte ma certamente valide. Una è questa: chi per primo denuncia un malanno, ha la precedenza. L'altro non può più dire: 'Sì, mi spiace, però anch'io...' No, non si fa. 

La luna di Alessandro


Complimenti al mio ex alunno Alessandro Leo, che ha saputo regalarci questa luna nelle ultime fasi dell'eclissi. 

Il cammino di Giampaolo

                                                                                       ph carlozanzi


Giampaolo Martinelli è un camminatore da sempre, pellegrino in tempi più recenti, con itinerari che lo hanno portato più volte a Santiago de Compostela, ma più alla larga su altre strade europee e anche al di là del vecchio continente. Martinelli ha raccolto il vissuto del suo ultimo Cammino di Santiago, sull'itinerario Nord, meno frequentato rispetto al classico cammino francese, in un libro, che è stato presentato questa sera nella Sala Morselli della Civica Biblioteca varesina. Titolo: 'Fermata a Lourenzà' (edizioni Youcanprint). Con l'autore era presente il prof. Edoardo Zin, che ha posto alcune domande a Martinelli, introducendole con ampie spiegazioni e letture. Non si tratta di un diario di bordo, di una guida turistica, ma di un diario dell'anima, il distillato di ore di silenzio e di fatica, di albe e tramonti, di emozioni e di incontri, anzitutto con se stessi. "Ho sempre ricercato la solitudine e il silenzio in questo viaggio" ha detto Martinelli. "Consiglio a chi decide di intraprendere il cammino di farlo da soli, anche se questo può far nascere qualche perplessità in chi non si è mai confrontato con lunghe distanze, con grandi silenzi." Il professor Zin ha allargato lo sguardo, ricordando che l'Europa è nata proprio grazie ai pellegrini, che hanno attraversato le nazioni per raggiungere Roma, Santiago e altri luoghi, dove i testimoni dell'incontro con il Maestro hanno vissuto, predicato, in alcuni casi raggiunto il martirio.  
  

Il racconto di Elisabetta

                                                                                                 ph carlozanzi



Favola per un bambino per ora solo pensato

di Elisabetta Ferrari

   
Forse era un’iride, o la sfumatura di un petalo, o rugiada di nuvola
   un nulla, quasi
   però sorrideva
   ed era lì… o forse un poco in là, sospeso
   paziente
   davanti a lui il mondo, tutto quanto quanto è grande, paperi pesci foglie automobili casseruole; ce n’era tanto, di mondo, che sembrava non finire mai, mai

   poteva essere un bimbo – c’erano anche i bambini, appunto – solo che

   solo che per ora era un pensiero
   un’ombra saltellante, un piccolo piede, un ricciolo, un movimento nuovo in testa a una mamma, a un papà
   che ancora non sapevano di esserlo, in pratica non lo erano
   ma cosa significa “in pratica”? per lui erano importanti le sfumature, le capiva
   non ancora quale mamma, quale papà
   questo sarebbe venuto poi, a suo tempo
   ma cos’è, poi, il tempo? difficile da immaginare
   così, per ora, era un pensiero

   aveva un parco
   vialetti sabbiosi, cani simpatici, alberi, una miriade di passeri
   giocava a confondersi con il riflesso della vasca dei pesci rossi
   oppure in un colpo d’ala, in un grido acuto
   doveva essere bello lanciare grida, scivolare nell’aria, volare proprio come loro
   poteva provarci, ma non aveva quell’abbandono, non era ancora certo di sé

   si sentiva bene tra il sesto e il settimo ramo di un grande platano
   l’aria della città aveva a quell’altezza una consistenza particolare, morbida: a seconda dei momenti del giorno, o della notte, si screziava in tinte sempre diverse, azzurre rosa rosse arancio verde, e ogni colore era in realtà un’astrazione, una possibilità, una sensazione, un sentimento
   tutto questo messo insieme
   poteva prevalere l’uno o l’altro aspetto, certo

   comunque ogni tanto dormiva
   giusto perché così faceva il mondo
   le foglie addormentate, ad esempio, erano deliziose

   perfettamente ferme, appoggiate a un cuscino d’aria, assumevano un colore verde-roseo che apparteneva solo a loro
   anch’egli aveva provato a condividere quell’immobile perfezione, ma aveva fatto davvero fatica, e poi era venuto un uccelletto a svegliarlo! talvolta erano i cuscini d’aria che scivolavano via all’improvviso
   allora le foglie si svegliavano, qualcuna sbadigliava
   riprendevano il verde consueto, spesso sfumato di smog

   dubitava che un essere umano se ne fosse mai accorto, però non si poteva dire
   infatti esistevano i poeti; venivano al parco a prendere una boccata di poesia, uomini o donne, o anche ragazzi, con la testa piena di motivetti, sensazioni, grovigli di parole accartocciate, grumi di bellezza, o di bruttezza, o dolore, tutta roba che sarebbe diventata significato

   ecco, una volta aveva provato ad entrare in un grumo, e ci si era proprio trovato bene: c’era dentro qualcosa di bello, per fortuna! ma quasi subito il poeta – era una ragazza, in questo caso – aveva lanciato un gridolino di gioia alla vista di un ragazzo che le veniva incontro

   il grumo si era d’un subito sciolto
   era scivolato nel loro abbraccio; si era sentito anche meglio – per un istante, poi aveva capito che non si erano accorti di lui…

   quindi aveva affinità con quella specie in particolare

   avrebbe voluto che si fossero accorti di lui

   era tornato fra il sesto e il settimo ramo
   del tutto simile a un dubbio

   l’aria si era colorata di rosso, troppo acceso
   non era normale sotto quel cielo, che amava presentarsi grigio-perla, azzurro tenue tenue, raramente azzurro e basta
   interpretava così la gente che si muoveva sotto, sopra, attraverso di lui, i suoi umori
   tranne quando arrivava il vento, certo; allora tutto diventava verde acceso, marrone intenso; il cielo, con condiscendenza, blu

   col vento un giorno erano arrivati due ragazzi… ma prima? quel colore rosso…

   si era rivolto al più anziano dei pesci rossi (appunto!) che nuotavano, indifferenti al resto del mondo, nella grande vasca liberty ad una estremità del parco; di fronte al suo sguardo grave e attonito aveva spiegato che si era mosso per somiglianza – ma quello non aveva cambiato il proprio aspetto di una scaglia; dopo un lungo momento, la pinna dorsale gli aveva chiesto che cosa fosse questo “cielo”
   non c’era vera curiosità, né vera attenzione verso di lui, i pesci del parco erano fatti così, vedevano tutto ma non si interessavano di nulla
   una quantità di individui veniva ad osservarli apposta, indagando nei disegni astratti tracciati dai loro andirivieni significati profondi
   pluf! un bambinetto aveva lanciato un sassolino nell’acqua, e mastro pesce se n’era andato senz’altro, lasciandolo libero di andarsene a sua volta, con gli stessi interrogativi di prima

   il cielo era tutto rosa carico, splendente; passò accanto a una bambina che, deliziata, se ne stava a naso in su; si arrestò per un certo tempo all’angolo del suo sorriso, felice di quella felicità; poi la mamma la portò via, “andiamo a casa” disse

   una mamma e un papà si collegavano a una casa

   l’aiuola dei fiori rossi era un tripudio di fremiti, palpiti, delizia; il colore dell’aria raddoppiava lo splendore dei petali, e questo è un fiore: il piacere di sciorinare il suo abito delicato; nessuno era allarmato dalla novità, ed egli non volle rischiare una nuova incomprensione

   cominciava a sentirsi un poco staccato dal suo mondo

   era tornato sul suo platano, e di momento in momento la cupola alta sopra tutti sembrava prossima a un incendio

   lo stormo dei passeri, chiacchierino, appariva e scompariva ad ogni angolo, al suo solito; d’improvviso gli fu intorno, in quel continuo batter d’ali, lo fece suo: dal platano passò al pino, poi all’olmo vicino alla cancellata, di qui al rododendro, in un’ebbrezza di velocità pura
   una vocetta gli chiese:“Non sei felice con noi? Volare, passare oltre non è nulla per te?”
   “Tu mi puoi vedere?” esclamò lui
   “Beh, forse non proprio vedere… so che ci sei. Noi sappiamo tutto” ora la voce era un coro stridente, ora una nota alta e ripetuta, battuta con certezza
   “Allora puoi spiegarmi perché l’aria stasera ha questo colore? Non posso stare tranquillo…”
   lo stormo si sciolse in un batter d’occhio, poi si ricompose
   “L’aria? Tu noti un colore particolare? L’aria ha in sé tutti i colori, l’aria è perfetta. perfetta. perfetta.” ripeté una, cento, mille voci
   si ritrovò sul platano, e lo stormo era già lontano

   poi fu notte, e il suo colore solito

   si svegliò con le foglie: nel mattino ventoso una parte di esse rideva, quasi ubriaca, persa in un folle dondolio; le altre, sdegnate, alternavano i lamenti alle proteste per quel continuo disturbo
   le folate continuavano a passare, indifferenti

   si erano accesi i colori: il cielo era blu, la sabbia dei vialetti di un bianco abbagliante, l’erba verde intenso – l’erba normalmente sbiadita di un incongruo piccolo parco nel bel mezzo della città; perfino le auto, fuori dai cancelli, splendevano, e l’asfalto aveva una consistenza nuova, brillante, non quella dimessa dei giorni normali 

   per lui i giorni e le notti erano ancora una partizione incerta di un qualcosa di indistinto che credeva fosse il “tempo”; ma quello era di sicuro un giorno; di vento
   sarebbe accaduto qualcosa

   lo chiamavano
   ecco: era questo
 
   ma non aveva nome; né consistenza; non era neppure nel tempo, non proprio, almeno, e per questo un determinato livello di realtà non riusciva a coglierlo: poteva farsi trasportare dalle ventate, oppure lasciarsi attraversare, a suo piacere

   in fondo era felice
   o almeno gli sembrava

   “Io di che colore sono?”
   lo chiese alla foglia più vicina; quella lo guardò, dovette sbattere – con fastidio – alla ventata, tornò a fissarlo
   “Mah… non hai un vero colore. O almeno non l’avevi. Da ieri…”
   “Da ieri?” incalzò lui, che non se l’aspettava
   “Beh, lo dicevo poco fa, qui, con le mie sorelle. Da ieri sembri meno incerto, più color… color… dell’aria.”
   “Ma l’aria non ha colore!” replicò deluso
   “Ma certo che ce l’ha. Ne ha infiniti. Non riesci a vederli dal tuo ramo?”
   “Sì, ma… è quasi impercettibile. Cambia di continuo.”
   “Ecco, il tuo colore invece si sta fissando. Non credo che tu sia una foglia. E neppure un albero, a considerarti bene.”
   “E… è importante?” finora non lo era mai stato
   “Beh, forse no. E così te ne andrai, ora?”

   ma cosa stava succedendo? di nuovo, lo chiamavano

   “Andarmene? Ma dove? E perché?”
   “Eh…” fece la corteccia, che interveniva assai di rado, ma avendo molta esperienza era ascoltata con grande attenzione e rispetto: “Gli interrogativi fondamentali che ogni essere si pone. Solo i più fortunati trovano la risposta, dopo un’infinità di ricerche. Ma tu non hai ancora incominciato la tua. Vedrai, sarà interessante. Avventuroso. Complicato.”

   era confuso; il sole abbagliava, ma non era quella la direzione; l’acqua della vasca splendeva, e persino i pesci sembravano prendere parte alla musica allegra dell’aria: ma lui non era un pesce; lungo i viali del parco uomini e donne, a spasso con il cane o con i propri pensieri, tenevano anch’essi il ritmo delle folate

   si posò vicino a un piccolo cane bianco che già conosceva; i cani erano proprio simpatici: lo vedevano perfettamente, come del resto vedevano una quantità di cose del tutto ignota agli esseri che se li trascinavano attorno… era il loro destino, sapere senza poter trasmettere la loro conoscenza tranne che tra loro e a pochi altri esseri a mezzo tra i mondi

   si salutarono con affetto
   “Ehi, guarda che ti chiamano!” lo avvertì il piccolo cane, che per parlare con lui si era distolto da un cespuglio particolarmente interessante
   “Allora è vero!” esclamò “Ma tu come fai a saperlo?”
   “Io sono un cane!” replicò l’altro “Sono abituato a sentirmi chiamare tutto il tempo, a proposito e a sproposito. Per te è una cosa nuova, eh?”
   “Ma tu capisci il mio nome?” per la prima volta provava una specie di ansia
   “No, non è proprio un nome, non ancora. Ma quella è l’ultima definizione, sai? e non è quella importante. Questo è un richiamo di appartenenza, è fondamentale. Prima o poi doveva succedere.”
   “Ma dove devo andare? Con tutto questo rumore io mi perdo…”
   “Beh, direi che oggi è il vento che dirige le cose. Quelli più portati dal vento mi sembrano quei due, laggiù, sulla panchina. Io andrei a vedere…”

   due innamorati: si stringevano teneramente, parlando una lingua armoniosa, un suono di felicità
   si avvicinò guardingo, il cane doveva essersi sbagliato: i due erano un cerchio perfetto, non c’era alcuno spiraglio nella loro comunione; accadeva spesso con quel genere di esseri, c’era abituato: emanavano un che di gioioso nel quale molte volte si era adagiato; poi se ne andavano, lasciando un vuoto immenso

   eppure… il richiamo davvero pareva venire da loro
   si avvicinò ancora… erano simpatici! lei teneva le mani aperte, come se volesse afferrare qualcosa…

   facilmente, senza strappi o fratture, si chiuse nel loro cerchio, cominciò a ruotare in esso, sempre più forte, e fu nel loro pensiero, nella loro anima, nel loro possibile futuro, non più lampo di un’iride, o sfumatura di petalo, o rugiada di nuvola…

   Forse, essere umano.                         





Questo racconto, che lei definisce sperimentale, è di Elisabetta Ferrari. Ha vissuto a Peschiera Borromeo sino al 2003, quando è arrivata a Varese. Sposata, un figlio, laureata in Lettere Classiche nel 2012. Considera la letteratura di ogni tempo il suo vero orizzonte interiore. Scrive poesie, racconti e testi per il teatro. Ha curato la regia di alcuni eventi culturali.