giovedì 10 gennaio 2019

Dante, Franco e lo spilungone

                                                                                             ph carlozanzi

Dante è Dante Alighieri, che tutti più o meno conoscono; Franco è Franco Nembrini, già docente bergamasco classe 1955, ciellino folgorato sulla via di Firenze da Dante, ma ancor prima da don Giussani sulla via di Milano, lo spilungone è un ex alunno di Franco, alto, apparentemente disinteressato, pieno di ferro nelle orecchie e in altre parti del corpo, che imparò a memoria un canto di Dante, sorprendendo il suo prof. Perché questa introduzione bislacca? Perché ieri sera il Teatro Apollonio di Varese era quasi pieno (va bene, l’ingresso era libero, però...), pieno non per la presenza di un attore noto, di un cantante di grido, ma per la presenza di questo docente che stravede per le terzine in rima, che riempie le sale parlando del sommo vate e di come lui per 40 anni lo ha proposto ai suoi alunni e di come Dante può risolvere non il problema di un’interrogazione ma il dramma della vita. Nembrini, che non è un Accademico, che ha studiato alle serali perché intanto doveva lavorare, che parla metà italiano metà bergamasco (ogni tanto qualche parolaccia), in bilico fra il comico e il serio, che professa umiltà ma certo non disdegna le sale piene (siamo uomini, suvvia!) e che ha firmato un contratto con la Mondadori, per la realizzazione della Divina Commedia “per le massaie” (come la definisce lui), che dovrà essere completata nel 2021, 700 anni dalla morte di Dante Alighieri. Per ora abbiamo l’Inferno, un tomo di dimensioni ragguardevoli (eppure non ha una nota), illustrato da Gabriele Dell’Otto, Inferno che è stato presentato ieri.
Nembrini, il Benigni degli amici di Comunione e Liberazione, ha -come si dice- incantato la platea, strappato applausi e risate, dimostrato di essere buon affabulatore, ringraziato Alessandro D’Avenia (che, esagerando un poco, ha chiamato IL professore!), colui che ha favorito, anzi, praticamente preparato a Nembrini la via verso la Mondadori, ringraziato la sua prof delle medie e don Giussani (che gli hanno regalato la passione per il poeta dal naso aquilino), ha fatto intendere che studiare Dante può regalarti attimi di estasi, commozione, lacrime, che tutti lo possono capire, anche studenti bergamaschi che traducono prima in dialetto e poi in italiano. Nembrini va alla grande, quindi molte notizie su di lui le potete trovare su internet, al di là di queste mie poche note.
Per quanto mi riguarda, io sono coetaneo di Nembrini (un anno in meno) ma non ho avuto la sua fortuna, cioè Dante l’ho un po’ studiato al Liceo (senza passione) e poi l’ho abbandonato. L’ho ripreso una decina d’anni fa, volevo stimolare il mio cervello in via di disfacimento imparando a memoria il V canto dell’Inferno, impresa riuscita. Ma quando, anni dopo, tentai con un canto del Paradiso, l’impresa fallì, la mia memoria si era ulteriormente indebolita.

Per quanto mi riguarda, dicevo, l’incontro è stato certamente interessante, Dante non risolverà i miei problemi esistenziali, le paure, i miei dubbi su Dio, però lo leggerò (già in questi giorni ci avevo riprovato, senza sapere di Nembrini), anche se da anni corro già di mio a rimirare le stelle, che mi annunciano un probabile Dio molto più che l’ottima poesia del nostro italico padre.  


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