martedì 2 luglio 2019

Verso il Po

                                                                                        ph carlozanzi

torna il desiderio di racconto breve


Verso il Po
di carlozanzi

Il Mincio scorreva veloce davanti al lavatoio di Goito. Cento metri più avanti si biforcava, per riabbracciarsi sotto il ponte dei Bersaglieri e correre giù, diluendosi infine nel Po. Era acqua scura in una chiara e soffocante mattina di luglio, acqua inquieta, mai ferma e mai stanca.
Luigi si era alzato triste, incredulo per l’esame a settembre di greco, quarta ginnasio a Mantova e fine ingloriosa, inattesa, un’estate di studio e perdita di sicurezza, quella poca sicurezza che gli restava, messa in dubbio dalla villania dell’adolescenza. Aveva aperto il libro e il Riva Rocci ma la nausea lo aveva aggredito senza pietà. Nella speranza di potersi salvare dalla noia aveva preso la canna, il mulinello Mitchel, ami, lenza, cagnotti, guadino, tutto il necessario per la pesca e si era diretto a piedi al lavatoio, dove le donne di Goito, molti anni prima, lavavano i panni sporchi in acqua fresca e pulita.
All’ombra della struttura di pietra, col tetto di tegole rosse, stava pescando da un’ora senza successo. Ancora una volta, sentendo nella valle profonda dello stomaco un malessere senza nome, raccolse la lenza, sostituì l’esca molle, regolò il galleggiante e lanciò verso la montagna, dove quell’acqua era stata generata. Sentì lo splash del galleggiante, pensò che aveva lanciato bene e lo lasciò scorrere verso la pendenza. La piccola allungata boa di sughero passò davanti a lui e proseguì la corsa, sino ad arrestarsi per la tensione del filo, che la teneva a pelo d’acqua. Attese.
Il galleggiante tremò, si inabissò per metà, tornò fuori, tremò di nuovo, piccoli movimenti, lievi immersioni, sparì, Luigi diede uno strappo deciso ma all’amo restò agganciato solo il cagnotto maciullato, la lenza volò verso di lui e si impigliò sui rami sottili di un salice. Amareggiato cercò la calma che non possedeva, diede strattoni, il filo si ruppe, amo, piombini, galleggiante rimasero a penzoloni sul ramo, troppo in alto per essere recuperati.
Trattenne un pianto di rabbia, si sedette, tirò fuori dallo zaino il pacchetto di sigarette che aveva rubato a suo padre, ne sfilò una, l’accese e fumò. Stava aggiungendo altro veleno in corpo ma provava un debole piacere, forse per la trasgressione, il furto. Guardò verso la riva opposta, poi alla sua destra, la biforcazione, il ponte, alberi che si piegavano con i rami a mollo nella corrente, anatre che zampettavano sulla riva o galleggiavano lievi nella calura. Cominciò intorno alla sua testa la danza dei moscerini. Luigi pensò: ‘Speriamo non arrivino i pappataci di merda!’
Avrebbe ripreso a pescare, ricostruendo la lenza, o sarebbe tornato a casa, nella disperazione? Scelse la via meno dolorosa, finì la consunzione della sigaretta e si mise al lavoro: filo, un nuovo galleggiante, più panciuto di quello smarrito sul ramo, piombini, amo. Non ci volle molto, era esperto e, ora, abbastanza tranquillo.
Stava per effettuare un nuovo lanciò quando vide arrivare un uomo in bicicletta, che si fermò al lavatoio, osservandolo. Provò disagio. Avrebbe preferito la totale solitudine. Si sentì spiato.
Fra un lancio e l’altro si girava per indagare sul nuovo venuto. Era un vecchio che conosceva di vista. L’intruso parcheggiò la bici contro una colonna del piccolo edificio e si avvicinò, senza essere troppo invadente. Quello che Luigi sospettava, avvenne.
“Non ti ho mai visto pescare qui sul Mincio” disse l’uomo.
“Qui vengo spesso” disse Luigi.
“Che esca usi? Cagnotti?”
“Sì.”
“Vaironi, scardolette, pesciolame….col cagnotto e il galleggiante…forse qualche cavedano….dipende anche dall’amo…”
Luigi avrebbe voluto dirgli che quella mattina pescava solo perché la sua camera e il vocabolario di greco lo stavano soffocando. “Quello che abbocca” disse il ragazzo. “Ma oggi non abbocca niente.”
Il vecchio pensò ‘pazienza, devi avere pazienza’ ma si trattenne, considerando che nel mese di luglio, a quell’ora, con quel caldo, il Mincio sarebbe stato sterile anche con la pazienza più raffinata. Non si accorse che quel giovane aveva bisogna di essere lasciato nella sua pace ansiosa, considerò invece che il dialogo avrebbe aiutato entrambi. Per questo non fece silenzio.
“Vengo da Cerlongo…anch’io pesco sul Mincio, preferisco l’inverno…mi metto proprio là di fronte” e indicò con il braccio teso e l’indice appuntito la riva opposta.
Luigi mise la mano a visiera, disse: “Ah...di là?”
“Sì…barbi, anche così” e distanziò le mani, a mostrare la taglia del pesce. “E carpe, lucci…”
“In inverno ho freddo, c’è nebbia” disse Luigi. “E poi devo studiare.”
“Giusto…d’estate preferisco invece i fiumi, volevo dire i torrenti, quelli di montagna, anche se alla mia età…le gambe…”
Il ragazzo mosse il capo, il che significava: sei vecchio, rischi di caderci nel torrente…ma anche ‘perché non te ne vai e mi lasci pescare senza rompere?’
“Mai sentito parlare della Val Saltaria? Una laterale della Val Gardena? E’ la mia preferita.”
Luigi disse di no con la testa.
“Non hai mai provato a risalire un torrente con la canna in mano, a caccia di trote? Pesca con la mosca, saltando da un masso all’altro?”
“No…”
“Ci si muove…il movimento muove le idee…”
Luigi non capì e nemmeno volle capire. Eppure proprio lui, quella mattina, si era mosso da casa.
“Le trote sono sospettose, furbe…ma noi siamo più furbi…”
Il ragazzo tacque, recuperò la lenza, infilzò sull’amo tre cagnotti che si agitarono nel dolore, sarebbero morti annegati a breve, rituffò il galleggiante nell’acqua verdescura, attese.
Il vecchio capì che non era benvoluto, ci rimase male e si avvicinò alla bicicletta. Ma proprio non gli riusciva di essere comprensivo, empatico. Si sentiva in dovere di trasmettere la sua esperienza, frutto di giorni e giorni e giorni…un lungo viaggio come quello del fiume. Corse il rischio di essere sopportato. Si avvicinò di nuovo all’imberbe pescatore, silenzioso come la maggior parte dei pescatori, malinconico come la maggioranza dei viventi.
“Risalire il torrente è andare contro il tempo, che corre in avanti…So che non puoi capire…è l’illusione di tornare giovani…E più si diventa vecchi, più il tempo scappa…Ma una cosa la puoi capire, amico mio.”
Luigi si voltò, ora cominciava ad interessarsi a quell’uomo, che si giudicava suo amico. “Capire?”
“Sì…hai troppa fretta. Lascia che il pesce assaggi, faccia il suo dovere di animale guardingo, che ha imparato dalla morte degli altri. Quando il galleggiante va sotto, dopo le prime mosse, quando sparisce devi contare sino a tre..uno, due, tre...poi tira…ma sempre senza foga…se l’amo è bene in bocca non è necessario strappare…Ricorda…uno, due, tre e via.”
“Grazie” disse Luigi.
“Grazie a te” disse il vecchio che risalì in bici e si diresse verso nord, controcorrente.




  


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