torna il desiderio di racconto breve
Verso
il Po
di carlozanzi
Il
Mincio scorreva veloce davanti al lavatoio di Goito. Cento metri più avanti si
biforcava, per riabbracciarsi sotto il ponte dei Bersaglieri e correre giù,
diluendosi infine nel Po. Era acqua scura in una chiara e soffocante mattina di
luglio, acqua inquieta, mai ferma e mai stanca.
Luigi
si era alzato triste, incredulo per l’esame a settembre di greco, quarta
ginnasio a Mantova e fine ingloriosa, inattesa, un’estate di studio e perdita
di sicurezza, quella poca sicurezza che gli restava, messa in dubbio dalla
villania dell’adolescenza. Aveva aperto il libro e il Riva Rocci ma la nausea
lo aveva aggredito senza pietà. Nella speranza di potersi salvare dalla noia
aveva preso la canna, il mulinello Mitchel, ami, lenza, cagnotti, guadino,
tutto il necessario per la pesca e si era diretto a piedi al lavatoio, dove le
donne di Goito, molti anni prima, lavavano i panni sporchi in acqua fresca e
pulita.
All’ombra
della struttura di pietra, col tetto di tegole rosse, stava pescando da un’ora
senza successo. Ancora una volta, sentendo nella valle profonda dello stomaco
un malessere senza nome, raccolse la lenza, sostituì l’esca molle, regolò il
galleggiante e lanciò verso la montagna, dove quell’acqua era stata generata.
Sentì lo splash del galleggiante, pensò che aveva lanciato bene e lo lasciò
scorrere verso la pendenza. La piccola allungata boa di sughero passò davanti a
lui e proseguì la corsa, sino ad arrestarsi per la tensione del filo, che la
teneva a pelo d’acqua. Attese.
Il
galleggiante tremò, si inabissò per metà, tornò fuori, tremò di nuovo, piccoli
movimenti, lievi immersioni, sparì, Luigi diede uno strappo deciso ma all’amo
restò agganciato solo il cagnotto maciullato, la lenza volò verso di lui e si
impigliò sui rami sottili di un salice. Amareggiato cercò la calma che non possedeva,
diede strattoni, il filo si ruppe, amo, piombini, galleggiante rimasero a
penzoloni sul ramo, troppo in alto per essere recuperati.
Trattenne
un pianto di rabbia, si sedette, tirò fuori dallo zaino il pacchetto di
sigarette che aveva rubato a suo padre, ne sfilò una, l’accese e fumò. Stava
aggiungendo altro veleno in corpo ma provava un debole piacere, forse per la
trasgressione, il furto. Guardò verso la riva opposta, poi alla sua destra, la
biforcazione, il ponte, alberi che si piegavano con i rami a mollo nella
corrente, anatre che zampettavano sulla riva o galleggiavano lievi nella
calura. Cominciò intorno alla sua testa la danza dei moscerini. Luigi pensò:
‘Speriamo non arrivino i pappataci di merda!’
Avrebbe
ripreso a pescare, ricostruendo la lenza, o sarebbe tornato a casa, nella
disperazione? Scelse la via meno dolorosa, finì la consunzione della sigaretta
e si mise al lavoro: filo, un nuovo galleggiante, più panciuto di quello
smarrito sul ramo, piombini, amo. Non ci volle molto, era esperto e, ora,
abbastanza tranquillo.
Stava
per effettuare un nuovo lanciò quando vide arrivare un uomo in bicicletta, che
si fermò al lavatoio, osservandolo. Provò disagio. Avrebbe preferito la totale
solitudine. Si sentì spiato.
Fra
un lancio e l’altro si girava per indagare sul nuovo venuto. Era un vecchio che
conosceva di vista. L’intruso parcheggiò la bici contro una colonna del piccolo
edificio e si avvicinò, senza essere troppo invadente. Quello che Luigi
sospettava, avvenne.
“Non
ti ho mai visto pescare qui sul Mincio” disse l’uomo.
“Qui
vengo spesso” disse Luigi.
“Che
esca usi? Cagnotti?”
“Sì.”
“Vaironi,
scardolette, pesciolame….col cagnotto e il galleggiante…forse qualche
cavedano….dipende anche dall’amo…”
Luigi
avrebbe voluto dirgli che quella mattina pescava solo perché la sua camera e il
vocabolario di greco lo stavano soffocando. “Quello che abbocca” disse il
ragazzo. “Ma oggi non abbocca niente.”
Il
vecchio pensò ‘pazienza, devi avere pazienza’ ma si trattenne, considerando che
nel mese di luglio, a quell’ora, con quel caldo, il Mincio sarebbe stato
sterile anche con la pazienza più raffinata. Non si accorse che quel giovane
aveva bisogna di essere lasciato nella sua pace ansiosa, considerò invece che
il dialogo avrebbe aiutato entrambi. Per questo non fece silenzio.
“Vengo
da Cerlongo…anch’io pesco sul Mincio, preferisco l’inverno…mi metto proprio là
di fronte” e indicò con il braccio teso e l’indice appuntito la riva opposta.
Luigi
mise la mano a visiera, disse: “Ah...di là?”
“Sì…barbi,
anche così” e distanziò le mani, a mostrare la taglia del pesce. “E carpe,
lucci…”
“In
inverno ho freddo, c’è nebbia” disse Luigi. “E poi devo studiare.”
“Giusto…d’estate
preferisco invece i fiumi, volevo dire i torrenti, quelli di montagna, anche se
alla mia età…le gambe…”
Il
ragazzo mosse il capo, il che significava: sei vecchio, rischi di caderci nel
torrente…ma anche ‘perché non te ne vai e mi lasci pescare senza rompere?’
“Mai
sentito parlare della Val Saltaria? Una laterale della Val Gardena? E’ la mia
preferita.”
Luigi
disse di no con la testa.
“Non
hai mai provato a risalire un torrente con la canna in mano, a caccia di trote?
Pesca con la mosca, saltando da un masso all’altro?”
“No…”
“Ci
si muove…il movimento muove le idee…”
Luigi
non capì e nemmeno volle capire. Eppure proprio lui, quella mattina, si era
mosso da casa.
“Le
trote sono sospettose, furbe…ma noi siamo più furbi…”
Il
ragazzo tacque, recuperò la lenza, infilzò sull’amo tre cagnotti che si
agitarono nel dolore, sarebbero morti annegati a breve, rituffò il galleggiante
nell’acqua verdescura, attese.
Il
vecchio capì che non era benvoluto, ci rimase male e si avvicinò alla
bicicletta. Ma proprio non gli riusciva di essere comprensivo, empatico. Si
sentiva in dovere di trasmettere la sua esperienza, frutto di giorni e giorni e
giorni…un lungo viaggio come quello del fiume. Corse il rischio di essere
sopportato. Si avvicinò di nuovo all’imberbe pescatore, silenzioso come la
maggior parte dei pescatori, malinconico come la maggioranza dei viventi.
“Risalire
il torrente è andare contro il tempo, che corre in avanti…So che non puoi
capire…è l’illusione di tornare giovani…E più si diventa vecchi, più il tempo
scappa…Ma una cosa la puoi capire, amico mio.”
Luigi
si voltò, ora cominciava ad interessarsi a quell’uomo, che si giudicava suo
amico. “Capire?”
“Sì…hai
troppa fretta. Lascia che il pesce assaggi, faccia il suo dovere di animale
guardingo, che ha imparato dalla morte degli altri. Quando il galleggiante va
sotto, dopo le prime mosse, quando sparisce devi contare sino a tre..uno, due,
tre...poi tira…ma sempre senza foga…se l’amo è bene in bocca non è necessario
strappare…Ricorda…uno, due, tre e via.”
“Grazie”
disse Luigi.
“Grazie
a te” disse il vecchio che risalì in bici e si diresse verso nord,
controcorrente.
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