sabato 11 novembre 2017

Incontro di libertà

                                                                                                         ph cibi


Ieri sera, nella bella sala convegni del Museo rurale di Brinzio, è stato presentato il libro di Riccardo Prando, 'Contro la scuola'. Il docente di lettere della Vidoletti giocava in casa, la serata è stata piacevole (si è conclusa con un'Apericena al Circolo), coordinata da Carlo Piccinelli. Sono stati premiati i Volontari della Protezione Civile e gli Alpini che si sono prodigati, in questi giorni di incendi al Campo dei Fiori. Ho rivisto con piacere il sindaco di Brinzio, Sergio Vanini, con il quale ho trascorso anni indimenticabili all'oratorio di Biumo Inferiore. Io mi sono limitato a rivolgere alcune domande all'autore. Aggiungo qui alcune considerazioni personali sul libro:

D’istinto, dopo aver letto il libro, mi è venuto da dire: ‘La severità di giudizio sulla scuola è eccessiva. E’ il frutto di un’esperienza professionale stressante, giunta in un periodo particolare, quindi si possono capire certe esagerazioni. La burocrazia c’è, le crocette inutili ci sono ma la libertà d’insegnamento è salvaguardata, il rapporto educativo prof-alunni è sempre lo stesso.’
In fondo lo penso ancora, ma devo fare alcune precisazioni.
A differenza di Prando, mi sono trovato a vivere gli ultimi anni di insegnamento in una situazione più favorevole rispetto alla sua, e questo conta; gli ultimi anni di insegnamento, cioè quando l’età si avvicina ai sessanta, sono delicati. I docenti oggi sessantenni hanno fra i denti la delusione per essere stati ingannati quando parlavano di diritti acquisiti e di una pensione per noi garantita intorno ai 56-57 anni. Quindi già questa è stata dura da digerire. A rigirare ancor più il coltello nella ferita, ecco questi adempimenti burocratici, dei quali avremmo fatto volentieri a meno. Dopo oltre trent’anni di insegnamento si fa fatica ad obbedire a disposizioni quanto meno discutibili. A sessant’anni non si ha nessuna intenzione di perdere tempo, si cerca ciò che davvero è necessario. Quindi questo è il terreno, sul quale è maturato il libro di Riccardo che si è trovato, proprio in questi anni, una dirigenza scolastica sin troppo ligia nell’applicazione delle nuove norme. Per contro io non ho fatto questa esperienza di costrizione, perché la dirigenza della mia scuola, pur attenendosi formalmente alle norme, le ha interpretate con maggior larghezza di vedute.
Vi è poi da dire che l’onere maggiore, di questo fardello di carte e di crocette, spetta ai docenti coordinatori, cioè in genere ai prof di italiano. Inoltre anche la materia conta, per facilitare o meno il proprio lavoro. Un docente di lettere è maggiormente controllato dalle famiglie, le sue valutazioni sono attentamente visionate, non è mai facile far apprezzare la bellezza di una poesia o di un racconto, la necessità della ripetizione a casa, dello studio, mentre è più agevole per un docente di ginnastica appassionare il ragazzo, perché già di per sé la materia diverte, suscita interesse, rilassa. Niente studio a casa, niente compiti, il ragazzo capisce più facilmente il senso di ciò che fa, l’immediata utilità per lui.
Tutto ciò fa sì che la mia esperienza abbia tonalità differenti, tinte meno forti (in quanto a critica) rispetto alla contrarietà verso la scuola di oggi del prof. Prando.
Ciò premesso, sono convinto che se questo libro fosse stato scritto dopo un anno di lavoro alla Vidoletti, avrebbe avuto meno accenti di radicalità.
Il libro è certamente servito all’autore come sfogo, come pubblica confessione, come contributo ad un dibattito necessario, come pungolo ‘rivoluzionario’ verso una categoria tradizionalmente poco incline alla lotta, che cerca di adattarsi alle riforme (e nella scuola abbondano) con scarso piglio critico, forse convinta (è il mio caso) che se a Roma sono contenti di qualche crocetta e modulo da compilare, che si faccia, nel minor tempo possibile, purché poi ci lascino fare il nostro lavoro.
Il libro non è certo un saggio di difficile digestione. Saltando fra la prima e la terza persona, si legge con agilità e leggerezza. Penso possa essere utile al lettore (docente o non docente) perché fa conoscere il vissuto di un docente che ama il suo lavoro, e il cammino della scuola italiana, in questi ultimi decenni.


Il libro parte con la descrizione dell’insegnamento come incontro fra due libertà, che si dicono: ‘Tu sei un bene per me.’ Sì, ma sono due libertà molto diverse. La libertà dei ragazzi che abbiamo di fronte è una libertà in divenire, che si nutre ancora di obbedienza, di fiducia negli adulti più vicini (genitori, docenti….), di affidamento. La libertà è il presupposto della felicità, ma non si fa guidare una Ferrari a un ragazzino senza patente. La libertà è pericolosa se non è matura, se non ha gli strumenti adatti per essere gestita, governata, indirizzata verso il bene e il bello.
La scuola è cambiata, certo, è cambiata la società e sono cambiati i ragazzi. Non sono certo i moduli da compilare che mi fanno paura, penso piuttosto alla mancanza di sintonia fra famiglia e docenti, che rende più arduo per il ragazzo avere riferimenti credibili e condivisi. La casa ha bisogno di fondamenta per reggere, per salire solida. Certamente ci troviamo di fronte ragazzi fragili, insicuri (mediamente più insicuri di un tempo) proprio perché la bandiera non è attaccata al pennone ma vola nel vento, quindi il vento della vita (alla loro età è anche tormenta) li sbanda. Sono frastornati da immagini, suoni, messaggi, informazioni di ogni tipo. E’ più facile per loro (rispetto ad anni fa) cadere nella trappola della scelta comoda, nel rifiuto della fatica…non ne comprendono il valore, la necessità. La vita diventa virtuale, la vita reale si fa ansiogena. La comodità di una vita virtuale inganna i ragazzi, i modelli di riferimento ben raramente sono i genitori o i docenti…sono altri, che certamente non propagandano valori essenziali per la crescita, ma confondono ancor più le idee, fanno credere alle sirene del successo, della bellezza, dei soldi, aumentando nei ragazzi un senso di inadeguatezza.
Anche ammessa un’alleanza più solida fra famiglie e docenti, una condivisione di valori, non so se tale influenza sarebbe in grado di superare lo strapotere dei media, soprattutto dopo le elementari. Certo che i primi 11 anni di vita sono fondamentali per gettare le fondamenta, sia del saper leggere, scrivere e far di conto che del saper vivere, come singoli e come cittadini.
All’età delle scuole medie si corre il rischio di affrontare una battaglia già persa, ma sono fiducioso, credo che sia un’età che permetta ancora di plasmare la libertà del ragazzo.       




2 commenti:

  1. Ho letto il libro di Prando con interesse apprezzandone la vis polemica e l'amore per l'insegnamento. Condivido queste tue riflessioni. Aggiungo solo che se l'Italia non fosse da anni un paese carente di occasioni di lavoro e rappresentato malissimo dai media che non perdono occasione per denigrarne la classe dirigente tanto imprenditoriale quanto politica, probabilmente la scuola sarebbe vissuta meglio da tutti.

    RispondiElimina
  2. grazie del tuo commento, caro miki

    RispondiElimina