Bisognerebbe
parlare di Dio con prudenza, non nominarLo invano. Ma la prudenza è una virtù
che vado perdendo.
Se
uso la ragione per convincermi dell’esistenza di Dio mi perdo. Tutto è
razionalmente chiaro: l’uomo ha bisogno di un Dio (soprattutto perché ha paura
di morire, per dare un nome all’ignoto….), non a caso abbiamo gli dei e qualche
consistente religione monoteista, non vedo perché il cristianesimo debba essere
la migliore, anzi, la sola vera…E quanti Cristi abbiamo nella storia?
No,
non posso percorrere la via della ragione, lì sbando.
Credo
in Dio? Più che altro sento Dio. La sola prova dell’esistenza di Dio, valida
per me, è il bisogno che ho di Lui. E devo bloccare qui il pensiero, perché se
lo lascio correre trovo che questo mio bisogno è stato indotto, indottrinato da
decenni di vita coinvolta nella fede...mi devo fermare al bisogno e non pensare
oltre.
Sento
Dio, sento il bisogno di pregare questo Dio che credo possibile, che vedo
soprattutto nella natura, nel bello.
Si
dirà che sono a livello di prima elementare sul fronte della fede, ma in fondo
Gesù diceva che bisogna tornare bambini.
Ricordo
un’immaginetta, schiacciata fra le pagine sottili del mio Libro delle Ore. La frase
era: ‘E’ il cuore che sente Dio, non la ragione.’ Autore: Blaise Pascal. Oggi
la comprendo più di quanto la capissi allora, negli anni Settanta e Ottanta.
Se
guardo un tramonto non faccio ragionamenti: percepisco la possibilità, la non
assurdità di una Presenza sovrumana. A quella mi rivolgo nella preghiera, e se
stringo fra le mani una croce, se porto al collo una piccola croce d’oro, se
vado a pregare in chiesa è perché questo mi hanno insegnato i genitori, gli
amici, questo ho sempre fatto e probabilmente continuerò a fare. Ma non
chiamatemi cristiano, men che meno cattolico.
Chiamatemi Carlo, che non
sbagliate.
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