Da spettatore di una partita di calcio non facevo ritorno al ‘Franco
Ossola’ da almeno 50 anni. Iniziavano gli anni Settanta, avevo fatto
l’abbonamento alla Ignis basket, arrivavo mezz’ora prima della partita,
l’ultimo quarto d’ora si entrava gratis allo stadio, vedevo la fine della
partita del Varese, poi attraversavo la piazza ed entravo al Palazzetto.
L’Ignis vinceva sempre, il Varese calcio un po’ meno, ma ci si divertiva lo
stesso. Con il Varese mi ero fatto la bocca buona negli anni Sessanta, Varese
da serie A e B, Petruzzo Anastasi, Marosi, Lonardi, Da Pozzo (allora giocavo in
porta), Sogliano...Mio padre mi portava all’ingresso, chiedeva gentilmente ad
un perfetto sconosciuto di accompagnarmi dentro, in genere nessuno si
rifiutava, entravo sulle tribune di fronte alle tribune coperte: all’inizio
erano solo assi di legno e tubi di ferro, poi, dopo la promozione in A,
salirono al cielo tribune in cemento, comprese le curve. Ricordo di aver visto fra
l’altro un Inter-Varese: Helenio Herrera, Sandrino Mazzola, Corso, Facchetti
(il gigante di Treviglio), Suarez eccetera. Mi intrufolavo in ogni angolo pur
di avvicinarmi ai miei idoli, vederli lì e non alla tele o sui giornali era
come un miracolo, un’apparizione fiabesca, la presenza di uomini che
appartenevano ad un’altra dimensione, avevano colori più vivi, risaltavano come
fossero fosforescenti. Al ‘Franco Ossola’ sarei tornato molte altre volte, non
come spettatore ma come aspirante maratoneta. Finiva il millennio, volevo
correre una maratona, mi allenavo testardamente sull’anello tarlato e malconcio
dello stadio, vedevo ciclisti girare e calciatori allenarsi. Eppure ieri, dopo
50 anni, sono tornato allo stadio. Come mai? Soprattutto per tre giocatori, due
miei ex alunni e il figlio di un mio amico. Gli ex, cioè Filippo Boni e
Gianluca Piccoli: uno era in panchina e l’altro nemmeno convocato, oimè. Il
terzo, Francesco Gazo, figlio di Gabriele, mio amico d’oratorio, morto
prematuramente in questo 2022: volevo stare vicino a Lele.
E’ stato bello tornare. Prato perfettamente verde, poche nuvole nel
cielo turchino, i nostri biancovestiti, i milanesi dell’Alcione arancioni.
Unica nota stonata: la bandiera dell’Italia in cima ai distinti, stracciata,
senza il rosso, davvero un brutto vedere. Sparuto gruppo di ultras che non ha
smesso un attimo di cantare, gridare, incoraggiare, sventolare, tambureggiare:
complimenti per la costanza. Sulla cronaca sarò sintetico: il Varese parte un
po’ timoroso, l’Alcione va all’arrembaggio e rischia di segnare più volte, ma
la dura legge del gol punisce i meneghini: a metà primo tempo Carlo Ferrario,
classe 1986, segna. Il Varese si rianima, l’Alcione comincia a temere e si
intimidisce. Il Varese non domina, l’Alcione si fa cattivo sulla fascia
sinistra ma Giovanni Foschiani va ancora in gol alla fine del primo tempo: 2 a
0. L’Alcione non pare rassegnato ma nemmeno troppo grintoso e così nonnino
Ferrario fa doppietta: 3 a 0. Partita finita, salvo un ingenuo errore difensivo
del Varese nei minuti di recupero, con rigore per l’Alcione e gol della
bandiera: 3 a 1.
Altro da segnalare? I giocatori che corrono plaudenti verso gli ultras,
molti fra gli spettatori che sono nonni con nipoti al seguito, vecchi tifosi
nostalgici del Varese che fu e pronti a mandare al diavolo arbitro e giocatori
avversari, ma anche a bacchettare i nostri. E infine: forza Varese!
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