Sara
Bianchi, ex alunna Vidoletti, farmacista in una nota farmacia di Varese, tante
passioni ma una su tutte: la montagna. E’ appena tornata da un’avventura himalayana,
che l’ha condotta – con altri varesini – al campo base dell’Everest e ancora
più su, sino a sfiorare i 6000 metri. Le ho chiesto un breve sunto di questo
cammino ad alta quota. Gentilmente ha risposto, raccomandandosi di farlo
precedere da un grazie, rivolto a tutti coloro che hanno condiviso l’avventura,
una conquista di gruppo. E un grazie speciale al capo spedizione Ngima, della
agenzia ‘Unlimited Sherpa Expedition’. Un’impresa sportiva ma anche solidale,
perché il gruppo ha portato vestiti e materiale a supporto della popolazione
locale, nell’ambito del progetto ‘Okhaldhunga Nine Hills Association’
Ecco
le parole di Sara: “Definirlo “trekking” è riduttivo. È stata un’esperienza di
vita unica ed emozionante. Siamo entrati in contatto con i nostri limiti e li
abbiamo superati supportandoci a vicenda. Un gruppo magnifico di amanti della
montagna che si sono uniti per affrontare un viaggio di scoperta. Più di 140 km
nella natura inviolata della valle del Khumbu, con i campanacci degli yak a
fare da sottofondo al rumore dei nostri passi e del nostro respiro. Alcuni di
noi si conoscevano, con gli altri ci siamo raccontati durante le lunghe ore di
cammino, fino a comprendere le ragioni che spingevano ognuno di noi verso la
meta. Un ricordo indissolubile saranno gli abbracci al Campo Base e in vetta al
Kalapathar, tra lacrime e risate (e tanto affanno). La mancanza di ossigeno
mette a dura prova, soprattutto quando diventa difficile fare anche le cose più
semplici come sdraiarsi a letto per dormire. Questo ha reso ancora più
emozionante la conquista dell’obiettivo, il trovarsi alla base della Sacra
Madre di tutte le montagne, l’Everest. Uno dei ricordi che porteró sempre con
me sarà un ballo improvvisato con Gaia, Elisa e gli sherpa su una pietra al
Campo Base, sprezzanti dei 5364 mt di altitudine. Un altro la commozione nel
vedere l’alba sulle vette più alte del mondo dalla cima del Kalapathar (5644
mt).
E
poi tanti piccoli momenti delle lunghe giornate. Le risate, gli scherzi, i “40
minuti” che Ngima prospettava per qualsiasi spostamento, la mano dello yeti, le
partite a “uno” e i compleanni festeggiati nei lodge. Il mausoleo a cielo
aperto dedicato a chi ha perso la vita su quelle montagne, il maestoso Ama
Dablam che ci ha sorvegliati per quasi tutto il cammino. E sì, anche il volo
aereo da Lukla, definito l’aeroporto più pericoloso al mondo (e ora sappiamo
perché).
Naturalmente
tutto questo è stato possibile grazie a Ngima Sherpa, che insieme a Dawa,
Sange, Bal Kumar e a tutti i portatori ci hanno accompagnati e guidati in
questo incredibile viaggio.”
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