venerdì 22 maggio 2015

Picchio il pugno



PICCHIO IL PUGNO
di carlozanzi

Mi guardo le mani, appaiate. Stringono il manubrio, fra pollice e pollice dieci centimetri. Oltre le nocche delle dita i fili dei freni si incrociano, più in basso dieci millimetri di copertone strisciano sulla terra, l’asfalto corre indietro, spintonato dalla ruota sottile. La salita è già pesante ma sopportabile. Ho nelle orecchie la sua musica. Picchio un pugno sul metallo, il pugno destro, la bici barcolla, devo mettere il piede a terra per non cadere come un fesso. Mi fermo, riparto ma ora sono costretto a salire sui pedali, le mani stringono le corna del manubrio da bici da corsa, i piedi ruotano sotto di me, la strada riprende a scapparmi via, verso la valle. Io guardo alla galleria della funicolare, lontana. La pendenza s’inasprisce. Osservando le case sul colle, il campanile ben saldo, quell’immagine da presepe, prego. Torno a sedermi sul sellino, di nuovo le mani si avvicinano, pedalo con eleganza nonostante la rabbia. E la preghiera cambia direzione, non è più supplica ma pretesa. Lo si può fare quando si domanda una cosa soltanto. Non si chiede la luna, il sole, la gloria degli uomini, la ricchezza e magari insieme la felicità, una bella donna, dei figli che ti sono riconoscenti per averli messi al mondo, nipotini come quelli delle pubblicità, e aggiungiamoci anche una lussuosa villa al mare, uno chalet sulle Dolomiti, la salute e una bici da diecimila euro. Così sarebbe chiedere troppo. Che pretenzioso che sei! Tutto per te? Non lasci nulla agli altri?
Una cosa soltanto ma precisa, circostanziata, chiara, come quella parola evangelica che non lascia incertezze: o sì o no perché il di più viene dal maligno. Ma io al maligno non credo, chiariamolo subito.

Un solo, precisissimo favore: un miracolo. 

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