martedì 10 novembre 2015

Il racconto del mercoledì


                                                                           ph carlozanzi

Per l'uomo di scienza il mistero è limite da superare, stimolo alla ricerca, sfida, pungolo...Io, il mistero. soprattutto lo subisco,

L’ULTIMO BALLO DI UN CONCERTO MEMORABILE
di carlozanzi

Te lo devo ripetere un’altra volta? L’ennesima? Guarda che ridico ciò che hai già sentito. Vuoi altri particolari? Non ti capaciti che sia scomparso?
Ricominciamo da capo. Quel bambino in principio si è avvicinato agli strumenti, ha accarezzato il contrabbasso di Zampa, la chitarra di Doug, ha toccato la gamba di Little Annie perché non arrivava al violino, Josh si è abbassato, gli ha sfiorato i capelli e gli ha fatto assaporare il gusto del mandolino; il ragazzino si è messo in piedi, appoggiato al microfono di Ron, che lo ha guardato male, preso nella sua canzone, poi è andato da Mock, che gli ha sorriso mentre si destreggiava col banjo. Saranno state le ventidue e trenta, il concerto alla Siebter Himmel era iniziato da venti minuti, non di più. Brusio, le cameriere in abiti tirolesi che sfrecciavano con birre e panini, una decina di persone ad assistere, le altre sparse e distratte in differenti locali, alcuni nella terrazza coperta, dal cielo nero sgocciolavano i resti di un modesto temporale. La bella musica della Piedmont inzuppava il locale come una spugna di mare, satura d’acqua. Quel bambino sentiva il ritmo, si è allontanato, ha cominciato a picchiare i piedi a ritmo, quindi a muoversi con ritmo, poi a girare in cerchi, seguìto a distanza dal padre, che sorrideva.
E Mock, a dirigere, a presentare i canti, più che altro il titolo, a chiamare gli assoli…go Doug, go Zampa..alè Josh….vai Little Annie……go Ron…Poco alla volta ho inteso che quel bambino amava particolarmente Mock, gli era simpatico: sarà stato il suono caratteristico del banjo americano a cinque corde, sarà stato il suo modo di guardarlo, di considerarlo, di amarlo. Amore chiama amore. E poco alla volta il bimbo ha concentrato i suoi balli vicino a Mock, quasi si fosse dimenticato degli altri: lì la musica era migliore. Alle ventitré e dieci -sono preciso perché avevo guardato l’orologio poco prima- il padre ha cercato di allontanare il figlio, era tardi e dovevano tornare a casa. Ma il bimbo ha protestato e il padre è stato comprensivo. E’ arrivata la madre e ha preso anche lei le parti del ragazzino.  Eccoci al turno del set di Doug, all time music, ancora più adatta al ballo rispetto alla precedente, folk & bluegrass. E il bimbo lo ha capito subito. E’ stato allora, diciamo alle ventitré e trenta, che il bimbo si è avvicinato a Mock e gli ha fatto intendere che voleva ballare con lui. Mock, che in quelle canzoni suonava la chitarra acustica, si è staccato dal microfono, si è messo in mezzo alla sala e, continuando anche a suonare, a fare assoli, arpeggi, controcanti e a dare ordini, ha principiato il ballo col ragazzino. E rideva e cantava. I due, avrebbero potuto essere nonno e nipote, erano la rappresentazione vivente e danzante della felicità. Saranno andati avanti una decina di minuti, anche quindici. Era vicina la mezzanotte quando il bimbo ha preso per mano Mock, lo ha fatto abbassare, gli ha lasciato un messaggio nell’orecchio e i due, ne verbum quìdere, senza dire una parola, si sono allontanati, seguiti dai genitori del bimbo. Noi tranquilli, sì, vagamente sorpresi ma tranquilli. Perché preoccuparsi? Un fuoriscena divertente, commovente direi.
La paura è arrivata dopo, quando i due genitori sono tornati senza bimbo e senza Mock, sereni come avessero appena gustato un boccale di birra.
Del bambino e di Mock non si è saputo più nulla. E sono passati dieci giorni.
Certo, come no, capisco e comprendo, era tuo marito, l’uomo che amavi. Ma questa è la cronaca.

Tutto il resto è Mistero. 

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