CONTRO
LA SCUOLA
Sarà
nelle librerie di tutta Italia, alla fine di questo agosto, l’ultimo libro di
Riccardo Prando (in alto, in uno scatto di Carlo Meazza), docente, giornalista e narratore varesino. Il volume ha per
titolo: ‘Contro la scuola’. Sottotitolo: ‘Perché opporsi a un modello educativo
che privilegia la burocrazia a scapito della cultura. E riduce lo studente a
numero.’
Prando,
dopo oltre trent’anni di insegnamento, ha sentito l’urgenza di scrivere queste
pagine che non sono un saggio sulla piega burocratica presa dalla scuola
italiana negli ultimi anni, ma piuttosto il diario di un prof. preoccupato di
sentirsi annoiato nel suo lavoro, e di scorgere sbadigli di noia nei suoi
alunni.
Il
docente di lettere di scuola media inferiore denuncia anzitutto lacune nelle nuove
indicazioni didattiche: la scuola è diventata quella del saper fare e non del
sapere, contano le competenze, poco valore è dato alla fatica dello studio,
ogni attenzione è rivolta a chi manifesta difficoltà, agevolando il suo compito
di studente e appesantendo (con relazioni, schede da compilare, questionari da
crocettare…) il lavoro dei docenti, in primis del docente coordinatore di
classe, che per lo più è l’insegnante di lettere. Riccardo Prando sa molto bene
cosa significhi passare ore ed ore a compilare la moderna modulistica, un pro-forma
senza sostanza. Eppure consideriamo il titolo forte ‘Contro la scuola’
fuorviante, perché in fondo Prando punta anzitutto il suo sguardo, il suo
interesse, diciamo pure il suo amore di insegnante verso gli alunni, dialoga
con loro, li sprona a sognare, ad amare la poesia, la prosa, a non farsi soffocare
dalla tecnologia, dalla vita virtuale, dalla continua tentazione di evitare la
fatica del vivere, che per loro è anzitutto la fatica di studiare. E’ un libro
poetico; Prando (amante della natura) spesso inizia i suoi brevi capitoli con
descrizioni di albe e tramonti, di neve e di pioggia e di sole, di montagne lontane
per poi scendere con lo sguardo sui giovani allievi, chini sui libri, non di
rado con sonno arretrato e scarse tracce d’entusiasmo. Ma proprio quando la
delusione sale arriva la frase, la confidenza, la dimostrazione inattesa che
ciò che si è seminato qualche frutto lo sta portando. Perché i docenti questo
chiedono: la conferma di aver lasciato una traccia, di aver dato una mano in un
tratto di cammino. Duecento pagine (arricchite dalla prefazione del poeta
Davide Rondoni) nate di getto, ricche di umanità, di passione per una
professione poco apprezzata. Scrive il prefatore Rondoni: ‘Diceva Pèguy che
ogni crisi di civiltà è una crisi di insegnamento. E invece tutti coloro o
quasi che hanno osservato questa crisi
per cercare di capirla e domarla non hanno guardato lì, all’insegnamento. Hanno
guardato altrove: nelle banche, nelle aziende, nei vaticini quasi tutti
sbagliati degli economisti, nelle prime pagine dei giornali sempre lontani
dalla vita reale.’
Scrive
l’autore, nel post scriptum finale: ‘…Credo che il mestiere più antico, insieme
a quello più bello, sia insegnare. Non dico in una classe, dico in una vita.
Trasmettere agli altri ciò che si conosce, in termini di contenuti disciplinari
o di esperienze personali, è strutturale alla natura umana…’
Riccardo
Prando, in questo libro, non ha fatto altro che continuare ad insegnare.
Nessun commento:
Posta un commento