...Correva Cristina verso casa, nell’erba alta.
Dietro di lei il sole ancora caldo di giugno, in abbandono verso il tramonto.
Alle sue spalle il Castello di Belforte, un cane di mezza taglia ad inseguirla
solo per gioco, il bassotto della castellana che sbraitava sorridendo
con occhi inespressivi. Lontano ormai, in discesa verso il viale, lui che
annusava il profumo della sera. Lui, il migliore a giocare a calcio, un
biondino dagli occhi chiari, intraprendente e felice.
Correva Cristina che lasciò il prato e
raggiunse il sentiero: ora avrebbe potuto aumentare la velocità, lontana dal
verso dei grilli campagnoli, senza l’erba cucca e le felci alte un metro.
Davanti a lei il cubo della palazzina di via Ruffini, i primi orti sulla
destra, il bosco di robinie oltre il palazzo, la grande villa a sinistra, il
gelso carico di more. Cercò di individuare la sagoma di Ennio, chino sulla sua
piantagione: non poteva essere già salito in casa, non poteva essere così
tardi. Non lo vide e il cuore si intossicò d’ansia. Che avrebbero detto i suoi?
Quale la punizione?...
dal romanzo 'Fuggiaschi'
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