GODITI
LA VITA
di carlozanzi
Lui
mi ha detto, l’altro giorno: “Goditi la vita, finché puoi.” Aveva occhi tristi
e sofferenza nell’anima. Ma ci credeva a quell’invito, tanto che lo ha
ripetuto: “Dà retta a me, goditi la vita.” Poi ci siamo abbracciati.
Ora
sono qui, una sera come tante, in attesa di ospiti, in annunciato ritardo. Ma
la pizza è pronta, la focaccia è calda e croccante. Se c’è una cosa che mi
intristisce è attendere ospiti mentre la pizza si raffredda, la focaccia perde
la sua tiepida friabilità, fatta apposta per sposarsi con una fetta di crudo,
con un tondo di salame felino.
Guardo
dal balcone, gli ospiti non s’annunciano in fondo al viale alberato. E’ una
sera meravigliosa, né caldo né freddo: giusto.
“Goditi
la vita, finché puoi” e le sue parole galleggiano fra le foglie nuove dei
platani, salgono verso la luna, si posano sul mio balcone.
Prendo
un cavatappi e stappo la Bonada dei Colli Piacentini, fresca, spumosa. Ne verso
due dita nel mio bicchiere. Mi avvicino alla focaccia, da me impastata, curata
nella lievitazione, cotta e condita. La sento mia, predisposta per appagare il mio
bisogno di piacere. Anche minimo, ma piacere. Prendo l’angolo, il più
croccante, due fette di salame, il bicchiere, mi siedo sul divanetto in vimini,
all’aperto. So che sarà un godimento di un attimo, nulla più di un effimero
piacere serale, un sapore che se ne andrà come un rivolo d’acqua succhiato
dalla terra assetata. Ma ho deciso di concedermelo. Nonostante lui, lontano,
senza appetito. Perché lui me l’ha consigliato. So che non mi biasimerà.
La
piccola fetta di focaccia cede ai miei denti e alle mie tentazioni, il salame
pare fatto apposta per quell’unione, il vino fresco, frizzante amabile, non
dolce, amabile, che si lascia amare, soddisfa per pochi secondi la mia sete.
Che è sete di giustizia, di serenità senza dolore, priva dei graffi di un
destino venuto male. Con l’appagamento della gola scende l’illusione che potrebbe
esistere una felicità duratura. Ma la focaccia non c’è più, gli ospiti non si vedono;
torno in sala, due dita di Bonarda, un’altra fetta di focaccia, una fetta di
crudo di Parma. Mi siedo, mi illudo, raccolgo quel piacere, guardo verso le
stelle, penso a lui.
Un’auto
si avvicina, sono loro: fra poco ci sarà festa nella mia sala, una cena dove le
confidenze, i racconti, i pettegolezzi permetteranno di non pensare. Il rumore
coprirà la voce che ho dentro.
Mi
alzo, fra un attimo suoneranno alla porta. Alzo il bicchiere nell’aria, sul
fondo solo le tracce rosse della Bonarda: lo ringrazio e torno in casa.
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