Inaugurata
questa mattina, sabato 25 agosto, all’Oratorio di San Domenico, a Velate, una
mostra dedicata al fotografo varesino Vivi Papi, nato nel 1937 e morto nel
2005. La mostra, coordinata da Carla Tocchetti, è stata realizzata grazie alla
disponibilità in primis di Annamaria Fumagalli Papi, moglie di Vivi,
dell’Università dell’Insubria (con la fattiva collaborazione di Claudia
Biraghi), della parrocchia di Velate, con il parroco don Adriano Sandri sempre
in prima linea sul fronte culturale, e di alcuni sponsor, in particolare il
Comune di Varese (presente stamani il sindaco Davide Galimberti). La mostra è
una ricca collezione di fotografie realizzate da Vivi, soprattutto dedicate a
personaggi della nostra città, artisti, fotografi, architetti….Fra i tanti,
ecco qui Carlo Meazza (sua è la foto in alto, che ritrae Vivi Papi con la
moglie Annamaria), Bruno Ravasi, Enrico Baj. Il prof. Silvano Colombo, già
direttore dei Musei civici varesini, ha ricordato Vivi Papi pochi giorni di
morire. Insieme camminavano dalle parti di Oronco e il fotografo gli confidò
che sentiva il desiderio di essere più vivo; Vivi era un uomo schivo, molto
riservato, che certamente non amava mostrarsi e lodare la sua arte.
Probabilmente la malattia lo aveva convinto che era arrivato il momento di dare
il tutto per tutto, intento purtroppo non realizzato causa la morte prematura.
Presente anche Turri Bonacina, perché la mostra avrà una ‘sezione’ nel rione di
San Fermo. Il ricordo di Papi sarà anche l’occasione per una serie di incontri,
legati all’evento. Soddisfatto dell’iniziativa si è detto anche il decano,
don Mauro Barlassina.
Molti
i presenti al vernissage, fra i tanti
i fotografi Paolo Zanzi e Alberto Bortoluzzi, i giornalisti Gianni Spartà e
Riccardo Prando, i fratelli Piatti (notaio e avvocato).
La
mostra resterà aperta sino al 16 settembre.
Scritta
in sintesi la cronaca, cambio tono e mi inoltro sul terreno personale, perché
ho avuto il piacere di conoscere Vivi Papi all’inizio del nuovo millennio.
Stavo infatti lavorando ad un libro su mio zio, l’architetto Bruno Ravasi, e
fra coloro che l’avevano conosciuto ebbi modo di intervistare anche Papi, nella
sua casa al Sacro Monte. Già a partire
dal nome (Vivi) mi resi subito conto che mi trovavo di fronte ad un uomo
singolare, originale, niente affatto mondano, come già scritto molto schivo,
timoroso di apparire, di mostrarsi degno di ammirazione. Un professionista
precisissimo, maniacale, che per scattare una foto poteva stare ore ed ore non
a scattare foto (non era il tempo del digitale) ma in attesa, a curare la luce,
il momento adatto. Un umile professionista dell’immagine, sempre desideroso di
far meglio. Per questo andava d’accordo con mio zio Bruno, uno che amava le
cose ben fatte. Sua figlia Albachiara (che oggi ho rivisto con piacere, e anche
lei scattava foto) è stata mia alunna, un’ottima atleta. Oggi è mamma.
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