sabato 25 agosto 2018

Vivi Papi, foto d'autore




Inaugurata questa mattina, sabato 25 agosto, all’Oratorio di San Domenico, a Velate, una mostra dedicata al fotografo varesino Vivi Papi, nato nel 1937 e morto nel 2005. La mostra, coordinata da Carla Tocchetti, è stata realizzata grazie alla disponibilità in primis di Annamaria Fumagalli Papi, moglie di Vivi, dell’Università dell’Insubria (con la fattiva collaborazione di Claudia Biraghi), della parrocchia di Velate, con il parroco don Adriano Sandri sempre in prima linea sul fronte culturale, e di alcuni sponsor, in particolare il Comune di Varese (presente stamani il sindaco Davide Galimberti). La mostra è una ricca collezione di fotografie realizzate da Vivi, soprattutto dedicate a personaggi della nostra città, artisti, fotografi, architetti….Fra i tanti, ecco qui Carlo Meazza (sua è la foto in alto, che ritrae Vivi Papi con la moglie Annamaria), Bruno Ravasi, Enrico Baj. Il prof. Silvano Colombo, già direttore dei Musei civici varesini, ha ricordato Vivi Papi pochi giorni di morire. Insieme camminavano dalle parti di Oronco e il fotografo gli confidò che sentiva il desiderio di essere più vivo; Vivi era un uomo schivo, molto riservato, che certamente non amava mostrarsi e lodare la sua arte. Probabilmente la malattia lo aveva convinto che era arrivato il momento di dare il tutto per tutto, intento purtroppo non realizzato causa la morte prematura. Presente anche Turri Bonacina, perché la mostra avrà una ‘sezione’ nel rione di San Fermo. Il ricordo di Papi sarà anche l’occasione per una serie di incontri, legati all’evento. Soddisfatto dell’iniziativa si è detto anche il decano, don Mauro Barlassina.
Molti i presenti al vernissage, fra i tanti i fotografi Paolo Zanzi e Alberto Bortoluzzi, i giornalisti Gianni Spartà e Riccardo Prando, i fratelli Piatti (notaio e avvocato).
La mostra resterà aperta sino al 16 settembre.

Scritta in sintesi la cronaca, cambio tono e mi inoltro sul terreno personale, perché ho avuto il piacere di conoscere Vivi Papi all’inizio del nuovo millennio. Stavo infatti lavorando ad un libro su mio zio, l’architetto Bruno Ravasi, e fra coloro che l’avevano conosciuto ebbi modo di intervistare anche Papi, nella sua casa al Sacro Monte.  Già a partire dal nome (Vivi) mi resi subito conto che mi trovavo di fronte ad un uomo singolare, originale, niente affatto mondano, come già scritto molto schivo, timoroso di apparire, di mostrarsi degno di ammirazione. Un professionista precisissimo, maniacale, che per scattare una foto poteva stare ore ed ore non a scattare foto (non era il tempo del digitale) ma in attesa, a curare la luce, il momento adatto. Un umile professionista dell’immagine, sempre desideroso di far meglio. Per questo andava d’accordo con mio zio Bruno, uno che amava le cose ben fatte. Sua figlia Albachiara (che oggi ho rivisto con piacere, e anche lei scattava foto) è stata mia alunna, un’ottima atleta. Oggi è mamma.   

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