Ho
conosciuto Giuseppe Armocida detto Giugi agli inizi del nuovo millennio. Era il
2002 e il dottor Armocida (medico psichiatra, docente universitario, storico…)
aveva aggiunto alle sue molte cariche anche quella di assessore alla cultura
del comune di Varese. Mi rivolsi a lui perché mi aiutasse a dare risalto ad una
iniziativa, a ricordo dell’architetto Bruno Ravasi. Fu molto collaborativo, ci
aiutò a diffondere un volume e ad organizzare alcune mostre. Ultimamente ci
siamo ritrovati, grazie alla comune passione per la storia locale, lui presidente
della Società Storica Varesina, io coordinatore del Calandàri dra Famiglia
Bosina. E ora Giugi (che ha rispetto di questo soprannome, visto che lo
utilizza anche in copertina al suo ultimo volume) mi fa dono di un libretto, che
appello in diminutivo solo perché è di ridotte dimensioni e di poche pagine,
non certo per il contenuto. E del resto è lo stesso autore che tende a
minimizzare, intitolando la sua ultima opera ‘Discorsetto sul piacere di non
viaggiare’. Sottotitolo: e altre minime confidenze. (Mimesis editore).
Un
discorsetto in un libretto: perché? Giunto Giugi alla soglia degli ottant’anni,
ha sentito il dovere e il piacere di raccontarsi, di appuntare alcune osservazioni
di varia natura, riassunte in undici capitoletti. Così spiega Armocida: “…Ora,
nella vecchiaia, gli è permesso ordinare il proprio pensiero, anche fuori dai
confini tracciatigli dalla professione e presentare senza imbarazzo queste amichevoli
confidenze, forse aritmiche e irregolari, ma tutte sincere.”
Ecco
allora le confidenze. Si parte proprio dal titolo, cioè dal suo piacere di non
viaggiare, così poco attuale, quando il mito del viaggio (soprattutto del
viaggio di piacere) è sogno di molti. Si passa poi ad una avvertenza: non
lamentarsi invecchiando. ‘Stare in mezzo ai libri’ è la terza suggestione, e
qui l’autore si definisce bibliomane e non bibliofilo, spiegandone la
differenza. Quindi ecco le caratteristiche del suo vivere ‘paesano’, essendo
Armocida di Ispra: un amarcord carico di velata nostalgia. Altro capitolo
controvento: non sentirsi sportivi. In una società che esalta l’eterna
giovinezza, ‘regalata’ dalla pratica sportiva, Giugi ammette candidamente di
non aver mai praticato sport, e di non sentirne affatto l’esigenza. Seguono
considerazioni sul valore dell’obbedienza (che può diventare un disvalore),
sull’accettazione del destino, sulla bioetica (in particolare sulla spinosa
questione del fine vita e dell’eutanasia), sulla pena di morte, sul mistero
della malattia e persino, ultimo capitolo, su Putin e sull’ostilità della
Russia. Il tutto arricchito da citazioni, senza mai lasciarsi guidare da
eccessiva erudizione. Non è nello stile di questo autore, abile conferenziere,
che ha il dono di farsi intendere senza la necessità di lauree o
specializzazioni in materia.
Giunto
alla soglia dei settant’anni (alludo al sottoscritto) ho trovato questa lettura
gradevole e stimolante. Credo possa interessare anche a persone più indietro
negli anni, rispetto all’autore e al qui presente lettore.
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