domenica 4 febbraio 2018

Il tavolo di frassino



Sono seduto in sala. Davanti a me il tavolo di frassino. Sono seduto per terra, oggi sul parquet, allora, il trenta aprile millenovecentottantuno, sulla moquette color carta da zucchero, in tinta con il soffitto. Allora il tavolo di frassino sapeva di legno nuovo, aveva una tinta più chiara dell’attuale, aveva intorno pochi mobili, pareti fresche di pittura e su due lati opposti io e la mia futura moglie: ci saremmo sposati il giorno dopo. Sedevamo al tramonto di quella sera di primavera, nel cuore della primavera della vita, con la primavera che ci sbocciava dentro. Sedevamo guardandoci negli occhi (non sempre, qualche volta), io tenevo i gomiti appoggiati al legno e il mento a riposarsi sulle mani. Avevo un principio di crampi allo stomaco e un mal di testa veniente, sintomi di quella eccitazione prenozze.
Non era tutto perfetto. Certo, i mobili erano nuovi e così le lenzuola, le forchette, i piatti…il pentolino per il latte….persino le pattine e i canovacci di tessuto grezzo, un regalo della bisnonna della mia futura sposa. Ma qualcosa difettava: ad esempio l’idraulico doveva completare i suoi lavori, li avrebbe conclusi giorni dopo, mentre noi viaggiavamo nel centro dell’Italia, illuminati dalla luna che non era tutto miele. Qualche incomprensione ci fu anche in quei giorni, arrivavano dopo le non poche incomprensioni del fidanzamento, anticipavano quelle che sarebbero giunte dopo. Non tutto era perfetto ma io ero straordinariamente eccitato, felice, anche un po’ impaurito, stordito da un senso di irrealtà. L’avventura mi pareva esagerata per me, e tutta quell’attenzione intorno a  noi….e perché no, anche il sesso, certo, anche il sesso.
Oggi, domenica quattro febbraio duemiladiciotto, sono seduto in sala, la stessa sala di allora, davanti a me il tavolo di frassino, lo stesso tavolo di allora. Trentasette anni fa il tavolo era lucido e sgombro, oggi è disordinato, ospita il mio studio ambulante: notebook, macchina fotografica, quaderni, agende, fogli, biro, cavetti, un disco esterno da molti gigabyte…ambulante perché ogni tanto, anche più volte al giorno, devo spostare tutto nella mia camera per liberare il tavolo, per riportare il tutto qui, sul tavolo, che non profuma più di legno nuovo. Non sono solo, sto giocando con mia nipotina di quattro anni. Ogni tanto mi imbambolo, guardo il tavolo, penso a quella sera d’aprile e lei se ne accorge: “Nonno, giochi con me? Nonno giochi con me?”
“Sì, scusa, sono qui….Ecco, tu prendi Melly e io prendo Zos, come li vestiamo?”
Ma gli occhi tornano al tavolo e a quel tramonto, alla nostra stanchezza buona, ai timori di non essere all’altezza, polverizzati dalla mazza della nostra giovane età.

Sono stato all’altezza di quei sogni? Dunque…come altezza ho forse perso un paio di centimetri, causa schiacciamento dei dischi intervertebrali, però il peso è sempre quello, ed è già qualcosa. Inoltre conservo ancora il bisogno di pregare. Ed è molto.  

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