Il Calandari dra Famiglia Bosina ha una sezione intitolata 'Il territorio'. Di questo angolo di libro presento l'articolo di Federico Bianchessi Taccioli, che ricorda l'avventura del quotidiano varesino 'La Cronaca'.
Mancavano due giorni all’estate del
1996, la temperatura superò i 28 gradi e a Varese spuntò una primizia. In
edicola. Un nuovo quotidiano. Nuovo non soltanto perché era il primo numero, ma
nuovo sotto tutti i punti di vista. Formato tabloid, il primo in una città
ancora abituata ai tradizionali lenzuoloni cartacei. Prima pagina stile
vetrina, articoli brevi, grandi foto. Nessuna notizia nazionale, men che meno
estera. Solo e soltanto cronache e inchieste sulla città. Prezzo 500 lire. Gli
altri costavano 1500. Con 2000, invece del resto, potevi prendere La Cronaca
(un’idea antica, questa, nientemeno che del 1885, quando a Firenze con 10
centesimi si potevano comperare un sigaro da 8 e il giornale da 2, ‘Il Resto al
Sigaro’, idea subito ripresa a Bologna lo stesso anno dal neonato Resto del
Carlino). “Era il panino senza il pane”, spiega Marco Dal Fior, direttore dal
primo numero fino al dicembre dello stesso anno. Un ‘panino’ era un quotidiano
nazionale nel quale era inserito uno sfoglio locale prodotto da una redazione
staccata e relativamente autonoma, a volte con una testata propria. La Cronaca
si presentava come la fetta di prosciutto. “Il ‘pane’ lo sceglieva il lettore”.
L’idea nasceva dalla constatazione che la vendita di quotidiani nazionali nelle
edicole varesine era mediamente più alta rispetto al giornale locale che in
altre città. “A differenza di tutti gli altri ‘secondi giornali’ nati nel tempo
a Varese, noi non ci proponevamo di sfidare la testata storica locale ma di
offrire a chi sceglieva altro anche la possibilità di conoscere le notizie
della città, in modo succinto, gradevole, con un minimo di spesa in più”. Ma
perché poi accontentarsi: nella ‘Cronaca’ non si trovava soltanto ‘cronaca’
spicciola, ma inchieste, dibattiti, approfondimenti. L’idea, curiosamente, non
era venuta né a un editore né a un giornalista, e nemmeno a un varesino, ma a
un giovane luinese, Luca Sartorio. “Non lo conoscevo, mi chiamò un giorno e ci
trovammo da Zamberletti. Era un tipo calmo, posato, il suo progetto mi
convinse. Lui, in realtà, non aveva la minima idea di quanto costasse fare un
quotidiano e le risorse erano davvero sottostimate. In appena una decina di
giorni, eravamo già oltre i 3 milioni di lire e il problema esplose nel giro di
poco tempo, portando all’arrivo di un nuovo editore, Donato Rita, imprenditore
nel settore costruzioni e sanità”. Benché i soldi in cassa fossero pochi, la squadra
giornalistica arruolata per l’impresa non era affatto da serie B. A cominciare
dal direttore, s’intende. Varesino, come naturale, i primi passi nell’incubatrice
di tanti giornalisti: Radio Varese, tra il 1977 e il 1979; poi all’Ordine di
Como, redattore al ‘Giornale’ di Indro Montanelli, caposervizio a ‘Repubblica’,
caporedattore alla ‘Voce’ montanelliana (e dopo la Cronaca, caporedattore al
Corriere della Sera fino al 2010). E poi Mario Chiodetti, Francesca Mineo,
Simone Marcer, Sara Magnoli, Andrea Confalonieri (che anni dopo avrebbe diretto
La Provincia di Varese), Marco Chironi, Alessandra Mangiarotti. “Il decollo fu
con il botto, tiratura sulle 8-10mila copie e ottime vendite per diverso tempo,
poi, come succede, ci fu un calo. E decidemmo di rafforzare il gruppo”.
Salirono quindi a bordo, nelle settimane successive, Nino Gorio, già brillante
e colto cronista del ‘Giorno’ a fare da coordinatore-regista della squadra di
cronaca, Saverio Cerè, ex della Notte, e chi scrive questo ricordo, chiamato da
Dal Fior, incrociato negli anni di redattore al ‘Giornale’ e poi di
caposervizio nella redazione romana della ‘Voce’, in quel momento
all’Indipendente diretto da Daniele Vimercati. Tre milanesi (Gorio era nato a
Soncino, ma Milano era anche la sua città), però già con radici a Varese.
Arrivò anche un’ottima grafica, Franca Gazzola, anche lei proveniente dalla
‘Voce’. E senz’altro lo stile rivoluzionario della grafica del giornale
‘ribelle’ di Indro si riflette in quello della Cronaca, quotidiano minigonna in
una realtà dove ancora imperava il tailleur. Al fascino visivo delle pagine
contribuì uno dei migliori obiettivi sulla piazza, forse il migliore, Carlo
Meazza. Insieme a una squadra di ottimi professionisti e giovani promettenti. Anche
la location sembrava strizzare l’occhio alla città: la prima fu nel palazzo di
via Dandolo 4, dove nel 1888 nacque la ‘Cronaca Prealpina’ di Giovanni Bagaini;
poi, risultata stretta, ci fu il trasloco nel moderno edificio di piazza XX
Settembre, con le vetrate affacciate su una delle arterie dello ‘struscio’
varesino. Sfogliare quel primo numero regala qualche sorpresa. A parte
l’editoriale del direttore, ‘Una sfida. Ma con voi vinceremo’, domina la prima
pagina la grande fotonotizia centrale, con la presidente del Fai Giulia Maria
Mozzoni Crespi (è morta il 19 luglio scorso) e l’allora ministro per i Beni
culturali Walter Veltroni che annunciano la donazione di Villa Panza al Fondo per
l’Ambiente Italiano e un titolo – ‘Finalmente il Guggenheim’ – che racchiude
anche non piccoli rimpianti. Sopra, titolo-mansarda tutto maiuscole, ‘Prove di
secessione’, dedicato a un ‘viaggio nei dubbi del Carroccio prealpino dopo lo
sfratto alla Prefettura’. Di taglio, il richiamo a una notevole intervista a
Paolo Conte (si sarebbe esibito il 25 giugno al Sacro Monte: ricordiamo ancora
la pioggia che si abbatté) che parlò di Piero Chiara. Lo sport lancia un
referendum via fax, ‘Pozzecco sì, Pozzecco no’. La pagina 2 era tutta di
servizio, con numeri, telefoni e indirizzi utili, le farmacie di turno, una
breve recensione di un film, gli orari dei treni. La 3, titolone ‘E’ il Bobo
che traccia il solco’ – riferito ovviamente a Maroni. Era l’epoca della guerra
della Lega ai prefetti, poi accantonata quando lo stesso Bobo divenne il
ministro dell’Interno del governo Berlusconi. “La Cronaca affiancava ogni
giorno alle notizie di cronaca, sempre condensate agli elementi essenziali,
approfondimenti e inchieste di respiro, anche a tutta pagina”. ‘Cosa diventerà
Varese?’, rivolta a disegnare la città ‘del Duemila’, fu ad esempio l’inchiesta
affidata al sottoscritto e sviluppata in più puntate, partendo dall’allora
ormai prossima inaugurazione dell’Università dell’Insubria per poi verificare
le prospettive economiche, sociali e culturali, con interviste al prevosto
monsignor Pezzoni, al rettore Renzo Dionigi, al presidente degli industriali
Lamberti e molti altri. E suona forse ancora attuale quel monito del pastore di
San Vittore, su cosa servisse di più alla Varese del 2000: “Meno arredi, più
fondamenta”. Un bel giornale, anche se il giudizio suona di parte, ma difficile
da contestare. Cosa non funzionò, perché si arrivò così presto al capolinea
(con un breve ed esile seguito sotto la modificata testata ‘Le Cronache’,
diretta da Diego Landi)? “Il primo limite fu territoriale: avere escluso Busto
Arsizio e Gallarate, limitandoci al capoluogo e al nord della provincia, privò
il giornale delle realtà più dinamiche e produttive, permise di contenere i
costi ma penalizzò moltissimo la diffusione e il radicamento del quotidiano.
Sarebbero servite risorse maggiori da investire, ma non le avevamo. Secondo, la
scommessa del secondo giornale, del panino senza pane appunto, non risultò
vincente nella città. Chi comperava il quotidiano nazionale non era
evidentemente abbastanza interessato alle notizie locali per affiancarne un
altro, sia pure a sole 500 lire”. Eppure, la vitalità della ‘torpediniera’ era
indiscussa: rompeva gli schemi, magari anche un po’ le scatole, ma certo non
passava inosservata. I garbati morsi di ‘Vipera gentile’, la reporter segreta
del gossip – Dal Fior oggi alza il velo sull’identità della Lady Veleno: “Era
Nicoletta Romano, la regina della ‘crema’ varesina” – faceva correre in edicola
i protagonisti degli eventi vip. E la concorrenza doveva lamentare, dalla
politica all’economia, quasi ogni giorno il ‘buco’ di un proiettile. Ma il
carburante cominciava a scarseggiare e qualche malumore serpeggiava. Un tentativo
venne compiuto allora con un ‘panettiere’ illustre e potente, al quale venne
proposta La Cronaca come nucleo di una nuova presenza locale, da affiancare
alle numerose altre già controllate nel Paese: “Insieme all’editore, andammo a
Roma dal principe Carlo Caracciolo, nella sede dell’Espresso. Ci ricevette con
grande cortesia, ci ascoltò con attenzione, ma l’idea di aprire a Varese un
altro giornale locale, mentre già meditava forse di sfoltire la galassia
cresciuta attorno a Repubblica, non gli interessava”. Così, nonostante
l’inserimento di L’Occasione – a base di inserzioni gratuite -, l’orizzonte
della Cronaca si chiuse. Tra le ragioni, certamente, ci fu anche l’avvento
delle notizie su internet. Nelle quali si rinnovavano alcune intuizioni dei giornali
più innovativi di quello scorcio di secolo: notizie rapide, sintetiche, ampie
immagini, servizi mirati, pratici, ma anche dibattiti, forum. “Senz’altro,
l’erede vero della ‘Cronaca’ è stato prima ‘Varesenews’ e poi soprattutto
‘Varesenoi’, che ancora conserva, a un costo di produzione irrisorio rispetto
alla carta stampata, la filosofia del gusto della cronaca intesa come racconto
di una città, come storia e storie dei suoi protagonisti”.
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