mercoledì 23 dicembre 2020

Notte di Natale


 

Notte di Natale

di carlozanzi

 

Entro nella pancia della notte di Natale con il malinconico piacere del vittimismo. Sono da poco passate le ventitré del ventiquattro dicembre. Ho ultimato di consegnare gli ultimi pacchetti: tortellini, ravioli, pasta al forno, cannelloni. Il Ciao verdemarcio è in garage. Ho addosso il profumo nauseante del Pastificio Bolognese di piazza della Repubblica. Ho salutato il maestro, il Peppino, la Luciana e quel tipo alto e secco, che tiene i conti di quanto sto al cesso e se sgarro mi dice: “La merda si fa quando è matura.”

Cammino nella notte verso casa. Taglio in diagonale piazza Repubblica, alla mia sinistra il mercato vecchio, i negozietti, il bar Firenze. Fa freddo. Mi fascio nel cappotto, mi stringo addosso il suo calore, ora vorrei piangere. E così il vittimismo corre col mio giovane sangue. Credo c’entri il fatto che all’inizio il Natale è magia, è la festa più desiderabile, è il miracolo possibile e poi un giorno si scopre che il Bambin Gesù è solo tuo padre e tua madre. Si rimane male. Ci si sente vittime di un tradimento. Si cresce, certo, si dimentica e si scoprono altre gioie ma la ferita rimane. Per questo cammino nella santa notte ma non sono felice. Un po’ di zucchero in verità lo gusto perché mi hanno tradito, la colpa è loro, sono innocente, me l’hanno fatta, è giusto che mi stringa nel cappotto e nella mia malinconia, che mi fa star bene.

Cammino lento, so che ad attendermi a casa non ci sarà nessun Re dell’Universo che reca doni, in fondo sono triste anche perché ho dovuto lavorare (io, giovane studente delle medie) sino al colmo della notte per guadagnare qualche soldo, indispensabile per regali alla mia portata. Mi compro ciò che voglio però non è giusto, sono ancora uno studente, fare lo studente lavoratore pesa, soprattutto la notte di Natale; si vorrebbe precipitare nel magico sonno che non dorme e vegli sino all’alba, quando ci daranno il permesso di alzarci e di continuare a sognare: che si può essere felici.

Cammino verso casa, nella notte di Natale. Non c’è traffico, la Messa della mezzanotte è ancora lontana, molti siedono a tavola per il cenone della vigilia, a casa niente cena speciale, i miei staranno già dormendo, o forse li sorprenderò nel goffo tentativo di riproporre un segreto ormai svelato.  

Ma alla fine che voglio? Magari non regali ma un abbraccio, due abbracci e tanti baci, mamma e papà che mi accolgono, si complimentano “Sei un ometto!”, mi spianano la rivoltina, mi baciano sulla fronte. O forse non mi sta bene nemmeno così, perché non potrei più cuocere a fuoco lento in questo senso di dolce abbandono nella commiserazione.

Cammino nella complicazione dell’esistere aumentando il passo, fa freddo, vorrei scaldarmi, la mia abitazione non arriva mai, ora desidero solo dormire. Un mendicante cammina verso un vagone alla stazione delle Ferrovie Nord Milano, lì passerà la notte di Natale. Non mi fa pena. Mi fa paura. Aumento la frequenza della camminata. Corro. Il mio appartamento modesto ma riscaldato mi accoglierà. E forse, domattina, al mio risveglio dimenticherò di essere a metà strada, né bambino né uomo. E i miei diranno: “Alzati, piccolo, Gesù Bambino non si è scordato di te.”  

Nessun commento:

Posta un commento