Continuiamo con la presentazione di alcuni pezzi del Calandari 2021. Nella sezione 'La gente' appare un articolo di Fiorenzo Croci, che ricorda l'amico Maniglio Botti (foto), giornalista morto in questo 2020, per anni prezioso collaboratore del Calandari.
Settembre 1953. Maniglio compiva quattro
anni, io due e mezzo. Ci trovammo ad abitare una porta di fronte all'altra, al
Cantoreggio, nuovo quartiere popolare di Masnago. Quattro palazzine, ottanta
famiglie. La nostra, staccata dalle altre tre, era quella dei dipendenti del
pubblico impiego. Il papà di Maniglio era custode all'Ospedale di Circolo, il
mio lavorava al Distretto Militare di Varese. Maniglio non frequentò l'asilo,
poi alle elementari e alle medie era avanti due classi da me. Ci ritrovammo
adolescenti, a parlare di ragazze e d'amicizia. E una passione in comune: la
scrittura. Lui aveva le idee chiare. Voleva fare il giornalista. A quindici
anni comprava quattro, cinque giornali nazionali e con la bici andava nel prato
fuori del cimitero, luogo tranquillo e ombreggiato, a leggerli. Anzi, a
studiarli.
Il Cantoreggio offriva un vastissimo
materiale di osservazione: personaggi, storie, sentimenti. Un'umanità affascinante.
Gli adulti impegnati a ricostruire un paese distrutto da cinque anni di guerra,
i ragazzi a godere i frutti della pace. Il mondo iniziava lì, e lì per noi finiva,
perché c'era dentro tutto quello che ci serviva.
Una sera la signora Verri dal balcone contò
sul cortile più di cinquanta ragazzi compresi fra i dodici e i diciott'anni.
All'oratorio e ai tornei serali di calcio il Cantoreggio era sempre presente in
qualsiasi categoria d'età, e quasi sempre vinceva. Quando negli Anni Sessanta a
Varese scoppiò il fenomeno basket, mettemmo un canestro sporgente sul campo da
gioco e nacque una squadra a livello cittadino, col Maurizio Tallone che finì
per giocare in serie A, così come nel calcio il Sergino Bianchi giocò a
diciannove anni una partita di Coppa Italia, Cagliari-Varese, prima
d'infortunarsi e interrompere la carriera, e il Carluccio D'Amico fu campione
italiano di canottaggio.
Nel quartiere Maniglio stabilì un record
che ancora oggi resiste. Quello della corsa veloce intorno alle tre case, circa
270 metri, con discesa, pianura e una salita finale con pendenza all'8%. A
parte la velocità, la tecnica e gli allenamenti, il suo segreto fu nel coraggio
di affrontare in modo spericolato i quattro angoli delle case del circuito e la
discesa. Nemmeno il Fernando De Maria riuscì a fare meglio.
Non abbiamo mai amato la città, ci bastava
il quartiere. Abbiamo avuto un sacco di amici. Io conoscevo tutti i compagni di
scuola di Maniglio, pur non avendoli mai visti, solo dai suoi racconti. I miei
amici sono divenuti anche i suoi, e insieme abbiamo vissuto situazioni
stimolanti.
Avevamo capito che la cosa più importante
nella vita era distinguere una brava persona da una qualsiasi, e di conseguenza
ci siamo comportati. Nelle lezioni di introduzione al giornalismo per
Varesecorsi Maniglio insegnava che per essere un buon giornalista non occorre
tanto scrivere bene quanto conoscere e rispettare le persone. Qualche anno fa,
facendosi tatuare sul braccio la croce a otto punte dei Cavalieri di Malta, mise
a fuoco le parole esatte che distinguono le persone perbene: spiritualità, semplicità,
umiltà, compassione, giustizia, misericordia, sincerità e sopportazione.
In Prealpina scrisse di sport, di cultura
e soprattutto di cronaca, riempiendo pagine e pagine delle vicende dell'intera
provincia. Ma la sua passione erano le canzonette, di cui era un esperto a
livello nazionale. Ultimamente parlavamo spesso delle vicende belliche che
avevano coinvolto i nostri padri nella Seconda guerra mondiale, concordando che
per questa povera Italia di oggi, stritolata dalla burocrazia e avvolta
nell'odio, non c'è più niente da fare. Poi ci concentravamo, per esorcizzare il
tutto, sulla disquisizione per noi più importante, e vale a dire qual erano la
canzone e il cantante più significativi degli Anni Sessanta. Da diverso tempo
la classifica vedeva al primo posto Bobby Solo, che conoscemmo all'Ortica di Milano
e eleggemmo rappresentante del Movimento ideato dall'amico Pino Tuscano volto
al riconoscimento del Rock'n'roll come bene immateriale dell'umanità. Per la
canzone era ovvio Una lacrima sul viso,
sconfitta nel Sanremo del 1964, ma Maniglio mi diceva che Se piangi, se ridi, del vittorioso Sanremo dell'anno successivo,
non era da meno. Con le ragazze e i ragazzi del mio corso di scrittura
narrativa quest'anno abbiamo appena pubblicato Non sono canzonette, una raccolta di racconti ispirati alla musica
leggera italiana dagli Anni Cinquanta ai Novanta, rimasta orfana della
collaborazione di Maniglio, al quale ovviamente oggi è dedicata.
Gli amici del Cantoreggio mi hanno chiesto
di scrivere le storie, gli aneddoti di quegli anni. E'un lavoro che Maniglio e
io avevamo in mente da tempo e che abbiamo sempre rimandato, per pigrizia di
entrambi, ma che probabilmente quest'anno avremmo iniziato, fondendo i nostri
diversi modi di espressione, per raccontare alfine le stesse storie. Quelle che
ci siamo ripetute un'infinità di volte, perché hanno unito il cuore alla mente
in quegli anni formidabili di quando eravamo ragazzi.
Non scriverò una riga. Senza Maniglio non
avrebbe senso.
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