domenica 19 settembre 2021

Gli 80 anni di Umberto Bossi



 Oggi Umberto Bossi il senatur compie 80 anni. Per chi è più giovane di me la Lega è Matteo Salvini, al massimo Giorgetti e forse Bobo Maroni, ma Bossi è un ricordo sempre più lontano. Io invece, per ragioni anagrafiche e professionali, ho conosciuto la Lega delle origini (1985), quella di Umberto Bossi. Ho vissuto in prima persona, da giornalista, il clamoroso successo del 1994, la Lega di governo eccetera. La foto che vedete è stata scattata nella notte fra il 29 e il 30 marzo del 1994, nella sede della Lega a Milano, in via Bellerio. Saranno state le 2 o 3 di notte, Bossi è raggiante e annuncia che la Lega sarà necessaria per ogni tipo di governo. Io, sulla sinistra, capelli lunghi, prendo appunti soprattutto per il libro che sto scrivendo su Roberto Maroni. Bossi andava a 200 all'ora, non dormiva, correva di qua e di là, una vita senza prudenza che pagherà a caro prezzo una decina d'anni dopo.

Ma qui voglio ricordare l'Umberto Bossi poeta dialettale. Ecco una delle sue rare poesie, che dimostrano il suo legame con la terra dei padri.

  

TERA

di Umberto Bossi

 

Verda ‘na voeulta e piena da parol,
Tera
Ca t’hee scultà sguignì ul trapon e bastemà i roeuš.
Tera
Ho idüü i siren di stabiliment dientà siringh
e i tett di tos
ăn dientà mazz da timor
Tera
Ca t’hee idiüü burla giò ul f
ӧ e sradisà ul casan.
Mi a canti i pà ca pà hinn mai stai,
Mi a cant i fioeu ca fioeu hinn mai stai.

E crepan cui denc in dul gudron,
Nanca la tera sa po pü tucà,
Nanca un Tisin d’inchiostar l’è asèe pa scrì la so storia
ca l’è la nostra.
Cala d’ogni fir d’erba trašaa, dra imigrazion e di padron.
Rutam, d’una muntagna da rutam.
Tera nostra
Tusa dul giazz e di lach,
I dì ta
üü bojan anmò sott i navaa di stabiliment,
Süi clér di botegh, süi marciapee gh’è pü da om.

E ho idüü büšecch dra mè tera secas al su
‘me cent’ann da pan poss,
da calderin c’han picàa par nagott.
Mi a canti ul brügià dra carna in scatula e ul tanf dra cultüra.
A canti ul duman me ‘na pesciava in de la panscia.
Tera,
lndaben l’ültim ca ta carèza, l’ültim ca ta ciama
Tera

 

TERRA
Verde una volta
E piena di parole,
Terra,
Che hai ascoltato
Squittire la talpa
E bestemmiare le rose.
Terra
Ho visto le sirene
Degli stabilimenti
Diventare siringhe
E i seni delle ragazze
diventare mazzi di tumori
Terra
Che hai visto
Cadere giù il faggio
E sradicare la quercia.
Io canto i padri
Che padri non sono mai stati,
Io canto i figli
Che figli non sono mai stati.

E muoiono
Con i denti nell’asfalto,
neppure la terra si può più toccare,
Neppure un Ticino d’inchiostro
Basta a scrivere la loro storia
Che è la nostra;
Quella di ogni filo d’erba sprecato, dell’immigrazione
e dei padroni.
Rottami di una montagna di rottami.
Terra nostra
Figlia del ghiaccio e dei laghi,
I giorni taciuti abbaiano ancora
Sotto le navate degli stabilimenti,
Sulle saracinesche dei negozi,
Sui marciapiedi
Non ci sono più uomini.

E ho visto gli intestini della mia terra
Seccarsi al sole
Come cent’anni  di pane raffermo,
Di ciottoline che hanno picchiato per niente.
Io canto il muggire della carne in scatola,
Canto il fetore della cultura.
Canto il domani
Come un calcio nella pancia.
Terra,
Forse l’ultimo che ti accarezza,
L’ultimo che ti chiama
Terra

 

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