Sacro Monte di Varese – 27 maggio 2015
La sera sa di fior di sambuco e gelsomino. Il
cielo non promette nuvole. Si sta bene. Lui dice che è venuto il momento di
mettersi in cammino, pregando. E inizia la conta delle Avemaria. Alla Quarta si
ferma: “Vi parlerò di questa ragazza, morta a quattordici anni per un tumore.
Ciò che lei dice mi trova in sintonia. Cioè dice che ci sono solo due possibilità:
o il miracolo o la morte. Lei prega per il miracolo, perché ama la vita e ha
ancora tanti progetti. Ma anche la morte è bella, perché apre all’Eternità.
Quindi entrambe le possibilità sono buone.” Come dire: non bisogna essere
tristi. E la serata invita alla serenità. Qualcuno si commuove. Lui riprende il
cammino, dopo che anche le ultime note di violino se ne sono andate come
lucciole. Il suo passo non è veloce, la sua camminata è affaticata, sul suo
volto un debole sorriso, un po’ forzato, comunque meraviglioso. Ci si ferma
alla Settima, la gran cappella della fragellazione, vicino alla panchina del
tramonto, quella che ispira i poeti, che si fermano per vedere come si impara a
fare silenzio, a guardare il giorno quando è venuto il momento di andarsene. “Amo
molto questo scorcio” dice lui, guardando verso la cima del monte, le case, la
chiesa, la luce che se ne va. Davanti a lui la pianura, il lago, le prime luci.
“Per me non è sempre così” dice. “A volte è dura, la sofferenza, la morte fanno
paura. Soprattutto fanno paura a chi è solo. Io ho la grande fortuna di non
essere solo, tanti amici che prendono un pezzetto della mia Croce.” Non capisco
come faccia a trovare la forza di essere qui, di sorridere, di sedersi
intrattenendo il piccolo gregge di amici. Non capisco. Vorrei non fosse vero,
ma insieme è bello che sia così, che ci sia lui. Cammino al suo fianco verso la
cima, da dietro arriva la spinta delle Avemaria. Ultima sosta alla
Quattordicesima. Sfoglia il libro: “Ecco, lei dice che non bisognerebbe pregare
l’eterno riposo, augurare un eterno riposo, ma un’eterna gioia. E in fondo la
gioia è già qui, il centuplo è già qui. Se penso a questi ultimi due anni, sono
stati molti di più i momenti di felicità rispetto a quelli di dolore.” Ancora
note di violino, l’ultima pendenza della rizzàda, la chiesa, la Messa, il prete
che parla di amore come dono di sé, unica ragione di vita e di senso.
Quando usciamo è buio. L’aria si è
rinfrescata. Ma si sta bene.
In certi momenti o ci sei o ti sei perso
qualcosa che può davvero incidere. E io c’ero.
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