giovedì 28 maggio 2015

Note come lucciole

                                                                                   ph patrizia frachelle


Sacro Monte di Varese – 27 maggio 2015

La sera sa di fior di sambuco e gelsomino. Il cielo non promette nuvole. Si sta bene. Lui dice che è venuto il momento di mettersi in cammino, pregando. E inizia la conta delle Avemaria. Alla Quarta si ferma: “Vi parlerò di questa ragazza, morta a quattordici anni per un tumore. Ciò che lei dice mi trova in sintonia. Cioè dice che ci sono solo due possibilità: o il miracolo o la morte. Lei prega per il miracolo, perché ama la vita e ha ancora tanti progetti. Ma anche la morte è bella, perché apre all’Eternità. Quindi entrambe le possibilità sono buone.” Come dire: non bisogna essere tristi. E la serata invita alla serenità. Qualcuno si commuove. Lui riprende il cammino, dopo che anche le ultime note di violino se ne sono andate come lucciole. Il suo passo non è veloce, la sua camminata è affaticata, sul suo volto un debole sorriso, un po’ forzato, comunque meraviglioso. Ci si ferma alla Settima, la gran cappella della fragellazione, vicino alla panchina del tramonto, quella che ispira i poeti, che si fermano per vedere come si impara a fare silenzio, a guardare il giorno quando è venuto il momento di andarsene. “Amo molto questo scorcio” dice lui, guardando verso la cima del monte, le case, la chiesa, la luce che se ne va. Davanti a lui la pianura, il lago, le prime luci. “Per me non è sempre così” dice. “A volte è dura, la sofferenza, la morte fanno paura. Soprattutto fanno paura a chi è solo. Io ho la grande fortuna di non essere solo, tanti amici che prendono un pezzetto della mia Croce.” Non capisco come faccia a trovare la forza di essere qui, di sorridere, di sedersi intrattenendo il piccolo gregge di amici. Non capisco. Vorrei non fosse vero, ma insieme è bello che sia così, che ci sia lui. Cammino al suo fianco verso la cima, da dietro arriva la spinta delle Avemaria. Ultima sosta alla Quattordicesima. Sfoglia il libro: “Ecco, lei dice che non bisognerebbe pregare l’eterno riposo, augurare un eterno riposo, ma un’eterna gioia. E in fondo la gioia è già qui, il centuplo è già qui. Se penso a questi ultimi due anni, sono stati molti di più i momenti di felicità rispetto a quelli di dolore.” Ancora note di violino, l’ultima pendenza della rizzàda, la chiesa, la Messa, il prete che parla di amore come dono di sé, unica ragione di vita e di senso.
Quando usciamo è buio. L’aria si è rinfrescata. Ma si sta bene.

In certi momenti o ci sei o ti sei perso qualcosa che può davvero incidere. E io c’ero. 

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