domenica 9 agosto 2015

Il ricordo di Ric


Il mio amico Riccardo, docente, giornalista e narratore, era in Spagna sabato 8 agosto, giorno dei funerali di Marco. Così lo vuole ricordare e abbracciare.




Ieri sera ho raccolto dalla rizada che porta al Sacro Monte un frammento minimo della sofferenza d’un amico. Poca cosa, s’intende, briciole di dolore rispetto all’enormità del male che sta devastando il suo fragile organismo, ma sufficienti a farmi riflettere giusto il tempo d’un rosario sull’infinita piccolezza che siamo; sulla mia infinitesima piccolezza affacciata sopra l’immensità del Mistero. Un granello di senape, come dice il Vangelo, che basterebbe la guareschiana “ultima falange del dito mignolo” del Padreterno a spazzar via; oppure a riempire di eternità, magari attraverso le vie buie e tortuose di una malattia che non perdona. Lo sa bene, il mio amico, quando in avvio del pellegrinaggio ci ha ricordato chiaro e tondo che davanti a lui ci sono adesso due sole strade: il miracolo, che sempre invoca perché tanti progetti gli rimangono da realizzare, e la morte. Non quella cupa e disperata di tanti affreschi medievali che la ritraggono con la falce in mano, ma un’altra –più rara ad incontrarsi e quindi più preziosa- fatta di affidamento, di cosciente lasciarsi andare al destino buono che ci chiama e, oserei dire, persino di serenità. Quanta fede bisogna avere, mi chiedevo mentre sgranavo avemarie insieme a tanti altri amici, quanto coraggio e quanta umana o cristiana decisione per guardare con una simile carica di fiducia in faccia la realtà? Perché, ecco, è di fiducia che in fondo si tratta: di fidarsi dell’Altro, cioè di avere Fede. La sera precedente avevo ascoltato un docente di Lettere, Franco Nembrini, parlare di educazione, cioè del sentimento con cui accompagnare i ragazzi dentro la realtà; oggi, invece, ho trascorso oltre quattro ore chiuso dentro scuola ad osservare come l’ottusità della burocrazia sia capace giorno dopo giorno, con implacabile determinazione, di distruggere quello che di più sacro ci può essere dentro un’aula: il rapporto tra maestro e discepolo. Non so perché mi sia venuto in mente di mettere una accanto all’altra queste tre serate vicine tra loro eppure tanto diverse. Forse perché ne ho sentito sulla pelle il terribile, disumano contrasto tra chi la vita, da sano o da malato, è ancora capace di abbracciarla e chi, non sapendolo più fare, crede di tenerla in pugno riempiendo a iosa moduli e registri, iscrivendosi a corsi di aggiornamento in cui la teoria governa da padrona, pronunciando il fatidico “signorsì” davanti ad ogni richiesta assurda che venga dai piani nobili (o ignobili) della scuola. Mi piacerebbe ci fosse il tempo per invitare quel mio famoso amico in classe, alla ripresa delle lezioni, perché la linea sottile che divide la vita dalla morte diventi per i miei ragazzi qualcosa di concreto da toccare dentro le sue parole che sanno andare ben oltre la banalità di una lezione didatticamente corretta. Ma già mi chiedo: quale modulo dovrò riempire per poter richiedere l’incontro e, soprattutto, con quale motivazione che possa rientrare nella casistica dei manuali della burocrazia?

Ric


Giovedì 28 maggio 2015

Nessun commento:

Posta un commento