Ieri
sera, verso le 21, me ne tornavo a casa, lasciando diluire con passi lenti la
gioia per la vittoria della pallacanestro Varese contro Brindisi. Il cielo
protestava ancora ma sommessamente, dopo il temporale. Non piangeva lacrime di
pioggia, era una minaccia per scherzo. Vittoria dopo una partita tirata e il
cuore a mille. Riflettevo su questa vicenda del tifo e del fatto che ci si
appassioni, si soffra e si gioisca potentemente solo perché alcuni atleti si
divertono a giocare, e noi siamo lì a guardarli. In fondo è un trastullo. Una
malattia chiamata tifo, che a volte degenera, porta all’odio, a gioire per le
sconfitte degli avversari, a mettersi le mani addosso, incapaci di
autocontrollo. Si noti che non di rado tale gioco porta guai fisici a chi lo
pratica, che l’esito finale è fortemente condizionato da terzi, cioè dagli
arbitri, che la fortuna ha un ruolo non secondario…Insomma: tanto rumore per
nulla. Alla squadra del cuore si affidano le nostre sorti, i nostri riscatti,
la dimenticanza dei nostri fallimenti. Una vittoria ci regala la sensazione di
essere vincenti pure noi, una sconfitta ci deprime sino a gesti riprovevoli.
Per
parte mia sono tifoso appassionato solo del basket varesino. Gli altri sport
(calcio in primis) mi regalano emozioni sempre sotto ampio controllo. Per il
basket posso anche alzare le braccia al cielo, imprecare, mollare pugni alla
ringhiera, lanciare male parole contro gli arbitri..e di tutto ciò un po’ mi
vergogno.
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