Oggi Umberto Bossi il senatur compie 80 anni. Per chi è più giovane di me la Lega è Matteo Salvini, al massimo Giorgetti e forse Bobo Maroni, ma Bossi è un ricordo sempre più lontano. Io invece, per ragioni anagrafiche e professionali, ho conosciuto la Lega delle origini (1985), quella di Umberto Bossi. Ho vissuto in prima persona, da giornalista, il clamoroso successo del 1994, la Lega di governo eccetera. La foto che vedete è stata scattata nella notte fra il 29 e il 30 marzo del 1994, nella sede della Lega a Milano, in via Bellerio. Saranno state le 2 o 3 di notte, Bossi è raggiante e annuncia che la Lega sarà necessaria per ogni tipo di governo. Io, sulla sinistra, capelli lunghi, prendo appunti soprattutto per il libro che sto scrivendo su Roberto Maroni. Bossi andava a 200 all'ora, non dormiva, correva di qua e di là, una vita senza prudenza che pagherà a caro prezzo una decina d'anni dopo.
Ma qui voglio ricordare l'Umberto Bossi poeta dialettale. Ecco una delle sue rare poesie, che dimostrano il suo legame con la terra dei padri.
TERA
di Umberto Bossi
Verda ‘na voeulta e
piena da parol,
Tera
Ca t’hee scultà sguignì ul trapon e bastemà i roeuš.
Tera
Ho idüü i siren di stabiliment dientà siringh
e i tett di tosăn dientà mazz da timor
Tera
Ca t’hee idiüü burla giò ul fӧ e sradisà ul casan.
Mi a canti i pà ca pà hinn mai stai,
Mi a cant i fioeu ca fioeu hinn mai stai.
E crepan cui denc in dul
gudron,
Nanca la tera sa po pü tucà,
Nanca un Tisin d’inchiostar l’è asèe pa scrì la so storia
ca l’è la nostra.
Cala d’ogni fir d’erba trašaa, dra imigrazion e di padron.
Rutam, d’una muntagna da rutam.
Tera nostra
Tusa dul giazz e di lach,
I dì taṧüü bojan anmò sott i navaa di stabiliment,
Süi clér di botegh, süi marciapee gh’è pü da om.
E ho idüü büšecch dra mè tera secas al su
‘me cent’ann da pan poss,
da calderin c’han picàa par nagott.
Mi a canti ul brügià dra carna in scatula e ul tanf dra cultüra.
A canti ul duman me ‘na pesciava in de la panscia.
Tera,
lndaben l’ültim ca ta carèza, l’ültim ca ta ciama
Tera
TERRA
Verde
una volta
E
piena di parole,
Terra,
Che
hai ascoltato
Squittire
la talpa
E
bestemmiare le rose.
Terra
Ho
visto le sirene
Degli
stabilimenti
Diventare
siringhe
E
i seni delle ragazze
diventare
mazzi di tumori
Terra
Che
hai visto
Cadere
giù il faggio
E
sradicare la quercia.
Io
canto i padri
Che
padri non sono mai stati,
Io
canto i figli
Che
figli non sono mai stati.
E
muoiono
Con
i denti nell’asfalto,
neppure
la terra si può più toccare,
Neppure
un Ticino d’inchiostro
Basta
a scrivere la loro storia
Che
è la nostra;
Quella
di ogni filo d’erba sprecato, dell’immigrazione
e
dei padroni.
Rottami
di una montagna di rottami.
Terra
nostra
Figlia
del ghiaccio e dei laghi,
I
giorni taciuti abbaiano ancora
Sotto
le navate degli stabilimenti,
Sulle
saracinesche dei negozi,
Sui
marciapiedi
Non
ci sono più uomini.
E
ho visto gli intestini della mia terra
Seccarsi
al sole
Come
cent’anni di pane raffermo,
Di
ciottoline che hanno picchiato per niente.
Io
canto il muggire della carne in scatola,
Canto
il fetore della cultura.
Canto
il domani
Come
un calcio nella pancia.
Terra,
Forse
l’ultimo che ti accarezza,
L’ultimo
che ti chiama
Terra
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