mercoledì 23 dicembre 2015

Il racconto del mercoledì (di simone)


 Ospito ben volentieri, nello spazio del mio racconto settimanale, questo racconto natalizio dell'amico Simone Mambrini, come me appassionato di scrittura e di fotografia. Simone ha l'usanza di inviare agli amici, per Natale, gli auguri sotto forma di racconto Ecco quello del 2015. Buona lettura. 





Un visigoto nel presepe.


        La giornata era cominciata come iniziano tutte, per chi è stato reso solo dalla vita.
        Aveva aperto gli occhi sul solito pezzo di parete; aveva fatto le solite cose, nei soliti tempi. Era uno dei momenti peggiori, il risveglio. Al pari del chiudere fuori dalla porta il resto del pianeta, alla sera.
        Lo era perché in quei momenti lui (Dottor Giovanni Trezzi il suo nome, posto sulla targa regolamentare della porta dell'ufficio) si sentiva mendicante di un sorriso, di un saluto, di un abbraccio. Poi il momento passava e l’agenda prendeva il sopravvento.
        Ma quella mattina era diversa. Era Natale.
        Ed era un Natale particolare: aveva organizzato tutto in modo perfetto, premeditato. Aveva detto, a ogni parente che per dovere gli aveva prospettato un invito, che ne aveva già accettato un altro, da un altro parente.
        Contava molto sulla comunicazione interfamiliare...
        Non a torto, visto che dalla sera della Vigilia, dopo le telefonate di auguri, era calato il silenzio. Quel silenzio che spesso bramava, quando era in mezzo alla gente, o quando il suo lavoro lo inseguiva, in ufficio o nelle trasferte; sotto forma di telefonate o richieste improvvise, fatte con l'insistenza e il tono di chi crede che il proprio problema sia l'unico degno di risposta immediata, o almeno che sia grave al punto da mettere a repentaglio la sicurezza nazionale.
        Un pensiero gli attraversò la mente; la contraddizione evidente tra l'amarezza del risveglio e questa ricerca della solitudine a tutti i costi. Sì sentì strano, fuori posto. O meglio, avvertì lancinante la sua domanda, il suo insoddisfatto desiderio di conoscere quale fosse il proprio posto nel mondo.
        Era andato alla Messa di mezzanotte, aveva salutato gli amici, indugiato con loro in piazza, dove era stato preparato il primo momento di festa. Era stato un piacere stare lì, e una sottile delusione incamminarsi verso casa. Ma nonostante questo aveva voluto un Natale solitario.
        Si preparò il pranzo, con molta cura; la stessa che aveva messo nel preparare comunque la casa, la tavola, l'albero, il presepe.
        Già, il presepe. Lo aveva studiato nei minimi particolari per giorni, e dopo la Messa aveva deposto la statuina di Gesù Bambino nella culla. “Come assomiglia al figlio dei vicini!”, si era detto.
        Matteo, il pestifero ultimo figlio dei Gherardi, la famiglia che abitava di fronte al suo appartamento.
        Matteo, che gli aveva ammaccato la porta del garage a pallonate, suscitando l'ira del Signor De Paoli, il quale abitava proprio sopra al box e doveva sorbirsi il fracasso.
        Immerso nei suoi pensieri aveva pranzato, con il sottofondo festoso di quello che accadeva negli altri appartamenti, dove si festeggiava in modo rumoroso ma senza infastidire, come era nello stile del palazzo. Aveva lavato  i piatti, e si accingeva a mettersi in poltrona, in compagnia di un libro, quando dal cortile giunse un rumore ben conosciuto: “Pum! Pum! Pum!”
        Il bambino imperversava sulla basculante del garage anche a Natale.
        E poteva farlo liberamente, perché il De Paoli a Natale non era mai in casa, sempre invitato dalla figlia. “Oggi però il visigoto si diverte di più, senti come se la ride!”, pensò Giovanni, e attratto dal baccano festoso decise di uscire in balcone, a vedere.
        In effetti il bambino aveva un'ottima ragione per essere così contento. Poteva confrontarsi con un portiere d'eccezione: il suo papà, che non aveva esitato di fronte all'invito del figlio e aveva abbandonato la tavola e i commensali per giocare con lui.
        Ma il portiere non stava difendendo la porta del suo garage, questa volta. Stavano giocando davanti al loro box. Sorrise, pensando che Matteo lo facesse apposta, a far imbestialire il povero De Paoli...
        E in quel momento il portiere lo vide: “Signor Giovanni, Buon Natale! Ma lei oggi è a casa? Come mai non è dai suoi parenti come al solito?”
        Non seppe cosa rispondere, e rimase lì, con il sorriso che aveva acceso il suo volto nel vedere il gioco dei due vicini.
        Fu Matteo a interrompere il silenzio che si era creato: “Dai, vieni a giocare con noi!”. Proprio così, come si invita un amico, un compagno di scuola. Non si poteva rifiutare.
        Si ritrovò in cortile, a giocare al pallone. E si divertivano tanto, quei tre, che presto furono quattro, cinque, sei.
        Quando il sole stava già calando c'era più gente nel cortile che nel condominio, e anche quelli che non partecipavano alla partita facevano il tifo dal balcone.
        Mamma Gherardi alla fine si sentì investita del ruolo di arbitro, se non altro per decretare la fine della gara, annunciando solennemente che era ora di risalire, per Matteo.
        E si sa, il marito non poteva contraddire.
        E si sa, quando la mamma che richiama all'ordine è quella del proprietario del pallone...
        Salirono insieme, ma quando Giovanni si avvicinò alla propria porta, Matteo disse: “Vieni a cena a casa nostra; nessuno deve stare solo, il giorno di Natale!”
        Il padre annuì, visibilmente soddisfatto per l'iniziativa del figlio.
        Fu così che il Dottor Giovanni Trezzi, che aveva progettato un Natale perfetto, da trascorrere da solo in santa pace, e che si era ritrovato anche quel giorno in compagnia della domanda che abitava da tanto tempo in fondo alla sua anima, si ritrovò in mezzo a una festa familiare in piena regola.
        Ma si sentiva il cuore leggero.
        Quando, ormai entrati a pieno titolo nella Festa di Santo Stefano, tornò finalmente nel suo appartamento, si accorse di aver lasciato accese le luci del presepe. Gesù Bambino, con la faccia del Matteo, sembrava sorridergli, per dirgli che il suo posto nel mondo era proprio lì, dove era stato messo.


 Simone Mambrini

 



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