Presentazione ieri delle iniziative per festeggiare i 50 anni di vita della Fondazione La Casa di Varese onlus. Fra queste, la pubblicazione di un libro. Come si noterà da ciò che è scritto sotto, ho molti legami con 'La Casa di Varese', compresa l'amicizia con don Pino Gamalero (in foto).
Buon anniversario!
Ricordi
personali
Vorrei
concludere queste pagine con alcuni ricordi personali, immagini di chi non ha
mai operato come collaboratore all’interno della Casa ma gli è stato accanto,
l’ha conosciuta indirettamente, ha preso parte ad alcuni momenti della sua
storia. E mi piace partire dalla piccola chiesa, da quell’ampio locale reso
luogo di preghiera. Spesso ci sono salito, durante attimi di pausa del mio lavoro
al settimanale Luce, stesso edificio, un paio di piani sotto. Cappella che mi
ha visto presente anche alle numerose Sante Messe per Natale e per Pasqua, con
i vari prevosti varesini, con il decano don Pino Tagliaferri, con don Gianmario
Mariani, con don Marco Casale, ultimo arrivato. Mi piace qui ricordare don
Gilberto Donnini, perché mio direttore al Luce, poi prevosto di Varese. E se penso
alla piccola chiesa domestica, non posso non rivedere lei, Luciana Pajetta, che
quelle celebrazioni contribuiva ad organizzare e a condurre nei canti. Oggi
abbiamo il maestro Francesco, sua moglie Roberta e altri cantoni sopraffini.
Sono
fra i pochi varesini di area cattolica che non ha preso parte ai Corsi
Prematrimoniali a La Casa. Ci sono stati anni nei quali l’Istituto era
identificato come il luogo dei Corsi Prematrimoniali. Io e Carla li saltammo, perché
dopo anni di gavetta nella Comuntà Shalom don Angelo Morelli garantiva per noi.
Don
Pino Gamalero lo lascerei per ultimo, ma no, forse è il caso di parlarne
subito. Quando ci siamo conosciuti? Ho lontani ricordi di don Emilio Mauri,
qualche immagine, e così don Franco Cardani, un sacerdote che ascoltavo
volentieri. Sono troppo giovane per aver conosciuto Monsignor Enrico
Manfredini, ma ricordo che ne parlava assai bene mio zio –suo amico-
l’architetto Bruno Ravasi, che con il prevosto (poi arcivescovo) contribuì ad
abbellire Varese. E don Pino? Forse ci siamo conosciuti grazie al Luce e a una
intervista, ma non sono certo. Sono certo invece che mi è parso da subito un
sacerdote coraggioso, un prete di frontiera, un po’ ribelle. Chissà perché
pensando a lui mi viene in mente don Giuseppe Noli, in quegli anni responsabile
della Pastorale del lavoro, oggi in missione. Un prete di quel genere, non
facile da incasellare nei ranghi della gerarchia ecclesiale, pedagogista,
insegnante, una vocazione adulta, attento alla cultura. Anche a quella locale,
non d’alto profilo, tanto che generosamente mi accolse nella sala della Casa,
quando agli inizi degli anni Novanta lo contattai per la presentazione di un
mio libro di racconti. Non solo fu accogliente ma si dimostrò attento alla mia
narrativa, alla mia scrittura, forse perché il mio primo libro si intitolava ‘Papà
a tempo pieno’, un argomento a lui gradito. Don Pino: un buon camminatore,
ricordo una passeggiata in montagna, al Pian Cavallone. E quel convegno a Borca
di Cadore, nel 2006. Venivo come accompagnatore di mia moglie Carla, anche se
in verità ne approfittai per andare in bici, con Cris (marito di Simona) al
Passo Giau. E poi lui, il presidente, Luigi Mombelli. Ricordo i nostri dialoghi
quasi sempre intorno a un tavolo, con un piatto, pane e companatico davanti:
perché Luigi, uomo generoso, offriva spesso pranzi e cene ai collaboratori del
Consultorio, parenti compresi. E in genere mi aggregavo. Ricordo in particolare
una cena per pochi intimi, osteria Al Mattarello di via Del Cairo, cuore di
quella Varese che Luigi conosceva bene, nelle persone e negli eventi.
Soprattutto la Varese delle banche e quella ecclesiale. Al Mattarello Luigi fu
particolarmente ricco sul fronte delle confidenze, mi regalò aneddoti sulla
città. C’era anche il fratello Paolo, che oggi ha ereditato il mandato lasciato
da Luigi. Per mia fortuna, della Casa ho soprattutto un ‘dolce’ (e salato)
ricordo, perché al di là dei momenti di preghiera, solitamente ero invitato al
panettone natalizio, alla colomba pasquale e alla cena di inizio estate, quella
dove ognuno portava qualcosa da condividere. In quelle occasioni dialogavo
soprattutto con il mitico Rino Pajetta, inossidabile, con i coniugi Pevarello,
con il dinamico e sempre sorridente Enrico Pellegrini, prof di ginnastica come
me, con i Chirillo (lui l’avevo conosciuto in Consiglio comunale), con il già
citato presidente Luigi e con il fratello Paolo, con i sacerdoti (compresi i
Vicari episcopali) e con don Pino. Fra le immagini, eccoci al mese di giugno
del 2008, festa per i 50 anni di Messa di don Pino: una celebrazione nella
chiesetta dell’Immacolata Concezione, al prologo del viale delle Cappelle, e
una cena al ristorante Prima Cappella: doni al don e al presidentissimo. Ricordo
un tramonto spettacolare a Villa Cagnola, durante una Messa e cena nel mese di
giugno del 2013: scattai una delle ultime foto, che ritraggono insieme Luciana
e Rino. Ma soprattutto vorrei rimarcare ciò che dell’attuale Fondazione conta di
più, che valorizza la sua storia, che rende ragione di una festa per i 50 anni.
Dovessi sintetizzare le mie impressioni, direi questo: La Casa è un luogo
‘pulito’, negli ambienti (assai curati) e nella idealità, è un luogo di
generosità e di competenza, di alta professionalità, un luogo senz’altro al
passo coi tempi, capace di rispondere alla sofferenza con la cura adatta, una
famiglia allargata, che cerca nella fede in Dio e nella scienza degli uomini
risposte e consolazione.
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