Mai dimenticare il festeggiato...
Il vecchio Spagolla,
sacrestano, campanaro, segretario factotum, aveva due modi di bussare alla
porta: l'ordinario e l'urgente.
L'ordinario era una
serie di tre colpi, il primo leggermente distanziato dagli altri due, che
arrivavano in successione. L'urgente era in realtà una sarabanda indefinita, ma
nelle sue intenzioni doveva essere una serie ritmica che seguiva la melodia
della Cavalcata delle Valchirie: l'aveva spiegata così un giorno a Don Mario,
aggiungendo un “Eh, il Verdi è sempre il Verdi...” che aveva fatto sorridere il
prete. Non andò oltre il sorriso, però, e non lo corresse, pensando giustamente
che il sacrestano si sarebbe offeso molto più di Wagner e di Verdi.
“Entra, Spagolla,
cosa sta succedendo di così terribile?”, disse riconoscendo la bussata urgente
in una delle versioni più potenti che ricordasse.
“Una lettera della
Curia, Reverendo! Cose grosse!”
Don Mario fece finta
di non sapere che l'uomo aveva già cercato di leggere in trasparenza il
contenuto della missiva, e lo congedo' per poterlo fare in solitudine senza
tradire emozioni di sorta di fronte a lui, che a malincuore obbedì. Aprì la
busta, e si dispose alla lettura.
Da quel momento
parve che egli avesse ricevuto una mazzata tra capo e collo, tanto era nervoso,
e le voci sulla motivazione correvano per il paese attraverso il canale radio
più potente dell'universo, le chiacchiere dei beninformati.
La domenica, quindi,
giunse attesa: alla Messa c'era la folla delle grandi occasioni. Il parroco
fece il suo dovere egregiamente, non tradendo alcuna emozione, e al momento
degli avvisi disse: “Come sapete, e anche se non lo sapeste non è un problema
perché adesso ve lo dico io, dallo scorso anno Sua Eccellenza il Vescovo
sceglie per Natale una parrocchia dove celebrare la Messa di Mezzanotte. Ebbene
il prossimo Natale ha scelto di visitare la nostra parrocchia. Questa sera alle
ore 21 in canonica aspetto perciò le persone di buona volontà per una prima
riunione organizzativa”.
Sul sagrato,
all'uscita, scoppiò il putiferio. C'era chi esultava per la notizia, chi
mostrava delusione perché aveva alimentato le voci di un trasferimento del
parroco, ma soprattutto molti si
chiedevano il motivo del nervosismo che aveva mostrato in settimana.
In tutte le
parrocchie, però, c'è sempre chi la sa più lunga degli altri, e non tardò a
venire allo scoperto: “Eh, sfido io: Don Guido, il parroco di San Domenico!”
Don Mario
Petrocelli, della parrocchia dei SS. Nazario e Celso, aveva un solo cruccio
nella vita, una spina nel fianco: Don
Guido Marchetti. Compagni di seminario. Guido primo della classe, lui sempre
dietro. Guido bravissimo a giocare a calcio, lui in porta perché aveva due
piedi che parevano di granito.
E all'Ordinazione
Don Guido svettava fine ed elegantissimo coi paramenti, mentre lui sembrava uno
spaventapasseri.
La parrocchia di San
Domenico era distante una ventina di chilometri, neanche pochi, ma
insufficienti per dimenticarsi della sua esistenza: era un bel paese, servito
dalla strada provinciale, con molte attività avviate e molte famiglie
benestanti, alcune di esse ben introdotte e attive nella parrocchia. Per Don
Guido era un gioco da ragazzi organizzare incontri, feste patronali,
pellegrinaggi, campeggi e quant'altro. Ogni celebrazione risultava perfetta; fossero
le Cresime, Pasqua, i matrimoni dei rampolli delle famiglie in vista o anche
solo i funerali, c'era sempre mezzo paese pronto ad aiutare ad abbellire le
vie, la chiesa, organizzare i banchetti.
Per Don Mario
invece... la chiesa dei SS. Nazario e Celso sorgeva in un paese di collina,
raggiungibile mediante una sola strada piena di curve che doveva essere
costantemente sottoposta a lavori di manutenzione, per evitare l'isolamento,
con la popolazione prevalentemente dedita alla coltivazione delle viti e alle
tre o quattro piccole attività commerciali: il bar, il barbiere, il negozio di
alimentari e così via.
“E il Vescovo va a
scegliere proprio la mia parrocchia dopo che lo scorso anno è stato da lui!”,
pensava il parroco, non accorgendosi che lo stava facendo ad alta voce, in
cucina, poco prima della famosa riunione di quella sera.
La visita del
Vescovo alla parrocchia di San Domenico, infatti, era passata alla storia come
una cosa memorabile, e l'eco era giunto anche lì. Si parlava di un bellissimo
striscione di benvenuto, srotolato al suo arrivo dalla cima del campanile fino
a terra, illuminato a giorno da riflettori fatti arrivare dal teatro cittadino,
un coro di bambini perfettamente intonato che aveva commosso tutti sul sagrato,
il lancio di un numero spropositato di palloncini legati in modo tale da
formare la scritta “San Domenico”, la Messa con coro e orchestra fatti venire
dalla città, un rinfresco con panettoni di pasticceria e spumanti d'annata al
termine. La chiesa, il sagrato e la piazza erano stati tirati a lucido ed
addobbati come non si era mai visto.
Si era subito
vociferato, e per un bel pezzo, di un probabile avanzamento di carriera per Don
Guido.
La riunione non fu
molto lunga. Si decise di fare il meglio che si poteva con le risorse interne
del paese, anche perché soldi per provvedere diversamente non ce n'erano. Il
prete raccomandò ai presenti di aiutarlo a non dimenticarsi le cose importanti,
e più tardi a letto concluse
raccomandando sé stesso al Padreterno: “Che Dio me la mandi buona!”
Le settimane
successive furono impiegate per la preparazione, ma senza quella febbrile
attesa e concitazione che ci si sarebbe aspettati di vedere. Sembrava che la
gente fosse rassegnata, che non si potesse evitare comunque di essere messi a
confronto (impietoso) con San Domenico.
Don Mario era calmo,
stranamente sereno.
Venne la sera del
24. Tutto il paese in piazza ad aspettare. La signora Carla, incaricata del
rinfresco finale, corse in sacrestia dal parroco, disperata: “Quei disgraziati
non hanno scaricato il camion, i panettoni sono tutti congelati!”
Il prete alzò gli
occhi al cielo. “Cominciamo bene!”, pensò. Poi uscì sul sagrato ad attendere la
macchina del Vescovo, che non tardò. Le luci che l'elettricista del paese aveva
sistemato per illuminare il cartellone tre metri per due (preparato
dall'imbianchino) si fulminarono con perfetto tempismo appena fu azionato
l'interruttore, quando il Vescovo mise il piede a terra.
Il microfono dal
quale il figlio del barbiere doveva leggere la poesia di benvenuto fischiò
improvvisamente, causando una crisi di pianto inconsolabile al bambino, e non
fu possibile ascoltarla.
Il parroco si
genuflesse davanti al Vescovo, salutandolo timidamente con un “Eccellenza,
benvenuto.”, ed entrarono in chiesa mentre la corale intonava un canto, in modo
incerto e traballante.
Poco dopo, indossati
i paramenti, Don Mario consegnò al Vescovo la statua del Bambino Gesù da
deporre nella culla ai piedi dell'altare, molto stupito dal ringraziamento e
dal sorriso che ottenne in cambio dall'anziano prelato.
Iniziò la
processione di ingresso, e la Messa. Giunti al termine, dopo la benedizione, il
Vescovo sorprese tutti prendendo la parola e costringendo la corale, che era
già partita col canto finale, ad una brusca “frenata”: “Miei cari, vorrei
salutarvi uno ad uno ed augurarvi Buon Natale, ma non si può: credo però che il
modo migliore di farlo sia dirvi che per me questo Natale è meraviglioso, forse
il migliore che io abbia mai vissuto. Come sapete ho iniziato a visitare per
Natale le parrocchie, e dallo scorso anno avevo un pensiero che mi velava il
cuore. Il vostro parroco l'ha spazzato via, consegnandomi la statua del Bambino
Gesù prima della processione. E' stato un grande sollievo vedere che ci sono
ancora posti dove magari non si riescono a fare grandi cose, ma dove ciò che
conta non manca e non si celebra la Messa di Natale senza Gesù Bambino nella
culla perché presi da mille idee e iniziative ci si dimentica il festeggiato in
Sacrestia.
Complimenti a tutti,
avete riscaldato il cuore del vostro vecchio Vescovo”.
E a bassa voce si
rivolse a Don Mario: “Settimana prossima passi da me in Curia, le devo parlare,
Monsignor Petrocelli.”, proprio mentre la corale attaccava il “Cantique de
Noel”.
Sotto di un tono e
mezzo rispetto all'organo e sferragliante come un treno merci, ma pareva il
Coro degli Angeli.
Simone
Mambrini
Ringrazio l'amico Simone, anche quest'anno sono giunti i suoi auguri (che ricambio) tramite un raccontino natalizio.
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