martedì 28 luglio 2015

Lo schizzo del mercoledì



GODITI LA VITA
di carlozanzi

Lui mi ha detto, l’altro giorno: “Goditi la vita, finché puoi.” Aveva occhi tristi e sofferenza nell’anima. Ma ci credeva a quell’invito, tanto che lo ha ripetuto: “Dà retta a me, goditi la vita.” Poi ci siamo abbracciati.
Ora sono qui, una sera come tante, in attesa di ospiti, in annunciato ritardo. Ma la pizza è pronta, la focaccia è calda e croccante. Se c’è una cosa che mi intristisce è attendere ospiti mentre la pizza si raffredda, la focaccia perde la sua tiepida friabilità, fatta apposta per sposarsi con una fetta di crudo, con un tondo di salame felino.
Guardo dal balcone, gli ospiti non s’annunciano in fondo al viale alberato. E’ una sera meravigliosa, né caldo né freddo: giusto.
“Goditi la vita, finché puoi” e le sue parole galleggiano fra le foglie nuove dei platani, salgono verso la luna, si posano sul mio balcone.
Prendo un cavatappi e stappo la Bonada dei Colli Piacentini, fresca, spumosa. Ne verso due dita nel mio bicchiere. Mi avvicino alla focaccia, da me impastata, curata nella lievitazione, cotta e condita. La sento mia, predisposta per appagare il mio bisogno di piacere. Anche minimo, ma piacere. Prendo l’angolo, il più croccante, due fette di salame, il bicchiere, mi siedo sul divanetto in vimini, all’aperto. So che sarà un godimento di un attimo, nulla più di un effimero piacere serale, un sapore che se ne andrà come un rivolo d’acqua succhiato dalla terra assetata. Ma ho deciso di concedermelo. Nonostante lui, lontano, senza appetito. Perché lui me l’ha consigliato. So che non mi biasimerà.
La piccola fetta di focaccia cede ai miei denti e alle mie tentazioni, il salame pare fatto apposta per quell’unione, il vino fresco, frizzante amabile, non dolce, amabile, che si lascia amare, soddisfa per pochi secondi la mia sete. Che è sete di giustizia, di serenità senza dolore, priva dei graffi di un destino venuto male. Con l’appagamento della gola scende l’illusione che potrebbe esistere una felicità duratura. Ma la focaccia non c’è più, gli ospiti non si vedono; torno in sala, due dita di Bonarda, un’altra fetta di focaccia, una fetta di crudo di Parma. Mi siedo, mi illudo, raccolgo quel piacere, guardo verso le stelle, penso a lui.
Un’auto si avvicina, sono loro: fra poco ci sarà festa nella mia sala, una cena dove le confidenze, i racconti, i pettegolezzi permetteranno di non pensare. Il rumore coprirà la voce che ho dentro.

Mi alzo, fra un attimo suoneranno alla porta. Alzo il bicchiere nell’aria, sul fondo solo le tracce rosse della Bonarda: lo ringrazio e torno in casa. 

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