martedì 31 maggio 2022
lunedì 30 maggio 2022
Auguri, Umberto
Buon compleanno al mio amico Umberto, grande sportivo. E auguri anche al suo alter ego Jurenito, cantautore polistrumentista.
Il fratino di Fano
domenica 29 maggio 2022
sabato 28 maggio 2022
Varese è solidale
Bellissima iniziativa quest'oggi a Varese, che ha messo in vetrina la sovrabbondanza di solidarietà, altro che città bottegaia che pensa dumà ai danée, secondo uno stereotipo duro a morire. Molte sono le realtà che si occupano di andare al di là del proprio orticello, per dare un contributo alla collettività, nei diversi campi d'azione.
Ecco ad esempio il gazebo della Famiglia Bosina.
E stasera grande cena solidale.
Roby Bof direbbe: 'Ecco la Varese più bella!'
Alex Covi re delle dolomiti
Grande Alex!
Papà Mario saluta e ringrazia
Da Santa Maria del Monte sopra Varese mio papà Mario (che ieri ha compiuto 96 anni) saluta e ringrazia quanti (e sono stati in molti!) si sono ricordati di lui, facendogli gli auguri.
venerdì 27 maggio 2022
c.zanzi56@gmail.com
ricordo che ormai è fuori uso la mia vecchia mail, utilizzare:
c.zanzi56@gmail.com
Giovedì 27 maggio 1926
Giovedì
27 maggio 1926
Quando
Piera iniziò il travaglio, per sgravarsi del quinto figlio, un giovedì mattino
nel quarto anno dell’avventura fascista in Italia, si augurò che fosse per lei
l’ultima sofferenza da parto.
La
loro camera da letto, sua e di Luigi, confinava con il Circolo Cooperativa
L’Avvenire di Sant’Ambrogio Olona, che aveva l’entrata principale in piazza
Milite Ignoto e quella secondaria in via Oriani. Era mattina ma già qualcuno faceva
festa lì al Circolo, una settimana di celebrazioni con brindisi per ricordare i
vent’anni di fondazione; era infatti il 24 maggio del 1906 quando, davanti al
notaro della provincia di Como dottor Guglielmo Piatti, con residenza in
Barasso, venne firmato l’atto costitutivo della Società Anonima Cooperativa di Sant’Ambrogio
Olona detta l’Avvenire. Venticinque i soci fondatori: tre possidenti, due
meccanici, nove contadini, un calzolaio, due giardinieri, tre muratori, due
vetturali un fonditore, un fabbro ferraio e un tagliatore di tomaie. Primo
presidente fu eletto il signor Zanzi Pasquale fu Giulio.
Piera
era madre di Lisa, di Miriam, di Fabio, di Gino e adesso nuovamente a penare,
un altro figlio, dono di Dio e delle voglie del suo uomo, della sua
arrendevolezza nel segno della pazienza, seguendo i consigli di mamma
Celestina: “L’è n’omm…ghè da capìll…”
I
suoceri erano morti, arrivò sua madre, la levatrice, Fabio, Gino e Miriam erano
a scuola, Lisa al lavoro, Luigi dai Toeplitz, due vicine di casa erano pronte
ad assisterla, Piera ebbe paura e voglia di dormire.
“Su,
su fa la brava” disse la levatrice. “Fa no la stüpida…Te sètt ma l’è la
storia…Pàsa tuscòss…”
Con
le gambe larghe guardò il crocifisso sopra il comò, chiuse gli occhi, con il
pollice si accarezzava la fede d’oro, piatta, cinque millimetri di larghezza,
pensava a quella vita in più in famiglia, si consolava perché gli altri
crescevano in fretta e avrebbero portato qualche lira in casa, come Lisa. Miriam
aveva undici anni, era una bambina devota e ligia. Il dolore cresceva, cercava
di distrarsi, la scelta più rassicurante, efficace era la preghiera.
Le
donne trafficavano, mamma Celestina le accarezzava la fronte, i capelli…”Tusa,
tusa…Brava la me tusa…”, il travaglio si prolungava, fece in tempo a tornare
Luigi, a mangiare di malavoglia un boccone, a spiare in camera, a riprendere il
lavoro mentre la festa al Circolo si preparava per il culmine serale.
Mauro
non attese il volo delle rondini di maggio, che a sera si radunano per fare
strage di moscerini. Non attese il tramonto né i brindisi nel salone confinante
con la camera dei patimenti di Piera. Scivolò alla vita a metà pomeriggio, poco
dopo i quattro colpi pesanti delle campane del vecchio campanile in via Sacro
Monte, torre sorta sul fianco dell’antica parrocchiale, che recava in cima non
una croce ma la statua di Sant’Ambrogio con lo staffile in mano.
“’N’altar
masc” disse la levatrice.
Il
neonato venne lavato. Rosso di pianto, venne adagiato fra le braccia di Piera,
che lo accolse con un sorriso sofferto.
“Ga
manca nagòtt” disse Celestina.
“L’è
‘n bell turèll” disse la levatrice.
Ai
ragazzi fu concesso di salutare il fratellino, arrivò anche Lisa dal lavoro,
ultimo il padre, che entrò in camera togliendosi il cappello. Luigi aveva
addosso tutto lo sporco di un magütt, fu invitato a darsi una pulita prima di
avvicinarsi troppo. Vide che non era stato necessario chiamare il medico e
questo gli bastò. Per lui maschio o femmina era lo stesso.
Andò
a lavarsi. Insieme al piacere dell’acqua, che gli toglieva di dosso la fatica,
provò la gioia di essere nuovamente padre. Pensò che sarebbe andato al Circolo,
gli amici gli avrebbero offerto da bere, o avrebbe offerto lui, senza
ubriacarsi, a tanto non arrivava mai.
(Fuga da Charleroi)
L' attesa
Sembra paradossale ma più si avvicina l'epilogo (e quindi bisognerebbe non perder tempo) più sto apprezzando il piacere dell'attesa, la lentezza di un progetto che si realizza poco alla volta, il privilegio di saper dire: "Non fa niente, per oggi basta, continuerò domani...E se un domani non ci sarà, va bene così...Qualcosa si è già fatto..."
Niente affanno ma degustazione, come se mi trovassi davanti ad un pranzo luculliano e con una sola ora a disposizione: meglio abbuffarsi senza piacere, o gustare solo qualche assaggio?
E' l'accettazione del limite che ti permette quel minimo di felicità che ci è concessa.
giovedì 26 maggio 2022
Roberta Frattini fa quello che può
Roberta
Frattini è fra le più prolifiche, giovani narratrici varesine. Dopo aver recentemente
presentato il romanzo ‘Ad occhi aperti’ (Macchione editore – 2020) eccola
nuovamente in sala Morselli alla biblioteca varesina. Fra le mani la sua più recente storia letteraria, sempre edita da Macchione. Titolo: ‘Faccio quello che posso…e
voglio’. Protagonista è sempre lei, Libby (un nome che prende ispirazione sia
dalle libellule che dalla libertà), giovane varesina freelance che nel primo
romanzo aveva vent’anni e passava la giornata in lavori precari, amicizie,
amori e movida in corso Matteotti e dintorni. Ora Libby ha una decina di anni
in più, non ha dimenticato il mondo adolescenziale ma si incammina verso la
maturità: un lavoro stabile, la ricerca di un amore duraturo, di un equilibrio
meno precario e – soprattutto – l’incontro con i temi dolorosi della vita. La
presenza di Martina, adolescente che già ha sulle spalle un fardello di domande
senza risposte facili, porta Libby ad approfondire il senso della vita. Si
imbatte quindi nella drammatica realtà della violenza sulle donne e della
presenza di uno stalker.
“Sì”
racconta l’autrice, “la protagonista del mio nuovo romanzo ha più coscienza di
sé, è più matura. Per affrontare il tema dello stalker mi sono confrontata con
un ispettore di Polizia, ho approfondito molto l’argomento.”
Con
Roberta Frattini, ieri in Sala Morselli, era presenta il giornalista e
scrittore Mario Visco, che nel suo intervento ha anzitutto ringraziato Guido
Morselli (cui è dedicata la sala, scrittore poco riconosciuto in vita e oggi
caso letterario fra i più interessanti) e l’editore Pietro Macchione (sempre
generoso nel dare spazio a chi desidera comunicare il suo vissuto attraverso la
scrittura), paragonando poi la giovane scrittrice in alcuni passaggi a Liala,
in altri rimarcando la sua sincerità e freschezza; una narrazione libera da
pregiudizi, da ipocrisie, vera come è vera la vita.
Auguri, papà Mario
Oggi mio papà Mario compie 96 anni. So di fare cosa gradita scrivendo qui qualche notizia su di lui, perché ha molti amici. Come sta? Come vive lo scorrere dei giorni al Centro Polivalente Asfarm di Induno Olona, noto fra l'altro per il suo meraviglioso giardino e le sue rose? Sta come tutti coloro che arrivano ad un'età avanzata, che hanno qualche malattia e limitazione e fanno fatica, molta fatica a trovare un senso alla giornata, che quindi risulta pesante. Per fortuna dai primi di giugno sarà più facile andare a trovarlo, perché le limitazioni del Covid certo non gli hanno fatto bene. Comunque mi è di esempio perché si intuisce che vorrebbe protestare, arrabbiarsi, sfogarsi ma resiste, accetta e chiede sempre come stiamo noi, e sentendo che stiamo bene mostra cenni di felicità, quello stato d'animo da tutti desiderato e che a tarda età diventa un dono raro, rarissimo.
mercoledì 25 maggio 2022
Con Giovanni
L'odierna salita in bici al Campo dei Fiori ho avuto la fortuna di pedalarla con Giovanni Montini, l'ironman di Barasso, grande atleta di ultragare, socio Panathlon, amico.
martedì 24 maggio 2022
Papaveri di benvenuto
lunedì 23 maggio 2022
Luigi Zanzi: libertà e responsabilità
Sette
anni fa moriva Luigi Zanzi, avvocato, docente universitario, scrittore,
camminatore di mente e di gambe, amante della montagna e tanto altro ancora.
Aveva 77 anni. Un doveroso e gradito ricordo è arrivato ieri dalla sua amata
Varese grazie al Premio Chiara, che ha voluto onorare il cittadino illustre con
un pomeriggio davvero intenso, uno spazio nella Primavera della Cultura
fortemente voluto da Romano Oldrini e Bambi Lazzati. A ricordare Luigi erano
presenti in sala ‘Ambrosoli’ a Villa Recalcati la figlia Barbara Zanzi (foto), la
nipote Laura Caterina Corsi (foto), il già rettore dell’Università dell’Insubria Renzo
Dionigi, l’architetto Riccardo Blumer e il fotografo Carlo Meazza, oltre a
Bambi Lazzati, all’assessore alla Cultura del Comune di Varese Enzo Laforgia e
all’Assessore alla Cultura della nostra Provincia, Emanuela Quintiglio. Partecipazione molto nutrita di pubblico, in prima fila il fratello di Luigi, Paolo.
Il
ricordo è stato introdotto da un filmato, in anteprima assoluta, girato subito
dopo la morte dello Zanzi, voluto dalla famiglia per ricordarlo nei luoghi
della sua vita (la casa sul Colle Campigli, lo studio da avvocato in via San
Martino e la sua abitazione a Macugnaga, al cospetto della parete est del Monte
Rosa), così come erano al momento della sua morte. Un video commovente, la voce
di Luigi e la lettura di alcune sue lettere, indirizzate soprattutto alla
figlia e alla nipote.
Mi
soffermerò qui più in dettaglio soprattutto sull’intervento della figlia
Barbara, che mi ha permesso (insieme al filmato) di conoscere un personaggio
varesino che avevo incontrato raramente, in occasione di alcuni suoi
interventi, dai quali avevo ricavato la seguente impressione: un uomo dalla grande
cultura, probabilmente troppo vasta e articolata per il mio livello, tanto da
giudicare le sue relazioni lunghe e per un uditorio erudito.
Barbara
Zanzi, nel ringraziare il destino che le ha permesso di avere Luigi come padre,
si è soffermata su alcune sue priorità: l’amore per la libertà, mai disgiunta
dalla responsabilità che la libertà porta con sé. “Mio padre era solito
ripetere che la libertà è un dono che ci è dato all’atto della nascita, non è
un diritto da conquistare” ha detto Barbara. Altra sua caratteristica era l’umiltà,
unita alla generosità, doti accompagnate da un irrefrenabile entusiasmo vitale.
Altri
hanno raccontato di come era strutturata l’intensissima giornata di Luigi Zanzi:
arrivava nel suo studio in via San Martino sul tardi, verso le 10, non a seguito
di una levata da fannullone ma perché le prime ore del mattino erano dedicate allo studio, alla scrittura. Arrivava con una brusca frenata d’auto,
entrava in ufficio e cominciava a dettare, a organizzare, a lavorare su più
fronti. Del resto dalla nonna aveva ereditato il seguente messaggio: “Se vuoi
essere veramente libero, devi esercitare almeno due professioni e parlare
almeno due lingue.” Le serate erano spesso occupate da incontri pubblici,
convegni, cene al Rotary, momenti conviviali durante i quali Zanzi era solito
esporre il suo pensiero, rispettando però sempre le opinioni altrui. Era un
uomo che sapeva gestire la solitudine, che la ricercava, ma non era una
solitudine fine a se stessa, era uno spazio che serviva poi ad alimentare i rapporti
d’amicizia, d’amore. Scriveva moltissimo, anche innumerevoli lettere ai
familiari, toccando ogni argomento. Si rammaricava di non riuscire a dedicare un
tempo più congruo alla sua famiglia, era sempre portato altrove, spesso in
cammino sulle sue amate montagne.
sabato 21 maggio 2022
Ciao, Nicola
Lo scorso mese di luglio io, il mio amico Nicola e altri amici, in un pomeriggio caldo come questi giorni (ma a luglio è normale) siamo saliti due volte di fila in bici al Campo dei Fiori. Nicola era stato mio collega alla Vidoletti un anno, per passare poi alla media di Casciago. Gli dissi che era un po' troppo magro (Nicola in foto ha la maglietta nera con maniche gialle), lui rispose che mangiava, stava bene, probabilmente praticava troppo movimento. Era sempre in movimento. Lui disse anche che io ero un tipo vintage (bici e abbigliamento) ma ci stava, cioè non ero troppo fantozziano. Dopo la seconda salita scappò subito in discesa, perché era atteso dalla moglie: dovevano uscire a cena. Era felice anche perché una recente operazione era andata bene, aveva ripreso il suo amato sport. Sportivo a 360°, eccelleva in bici e sugli sci.
Un paio di mesi dopo quella nostra salita Nicola si è ammalato gravemente, non ce l'ha fatta a venirne fuori.
Martedì 24 maggio, alle ore 14.30, nella chiesa parrocchiale di Masnago, i funerali.
Ciao, Nicola.
venerdì 20 maggio 2022
La Vidoletti fa strike
Dopo aver ben figurate alle recenti finali regionali dei Giochi Sportivi Studenteschi di atletica leggera di Brescia, i ragazzi della scuola media Vidoletti di Varese fanno strike, vincendo la finale provinciale del progetto 'Scuola e Bowling'. Nemmeno il tempo di mettere in bacheca il grosso birillo bianco, ed ecco un nuovo impegno sportivo: martedì 24 maggio, sul tartan di Gavirate, i primini saranno in pista per le finali provinciali di atletica leggera, categoria 'ragazzi'. E' bello vedere che finalmente tornano in libertà le attività sportive scolastiche, ma non è di minor valore constatare che ai primi posti (e spesso prima) si distingue la scuola media Vidoletti di via Manin, la cui tradizione di eccellenza sportiva (e non solo) si perde nella notte dei tempi!!!!!
giovedì 19 maggio 2022
Come a Spoon River
Davvero
un bell’evento culturale, premiato da un folto pubblico, quello che si è svolto
ieri pomeriggio, giovedì 19 maggio, in Sala Morselli alla civica biblioteca
varesina, nell’ambito degli incontri con l’autore. E’ stato presentato il libro
‘Come a Spoon River’ – Arte e arcani misteri nel cimitero di Ganna (Macchione
editore), scritto da Alberto Bertoni e Vincenzo Capodiferro, docenti al liceo
artistico ‘Frattini’ di Varese (foto in alto). Gli autori sono stati presentati da Chiara Merlotti. Si legge in quarta di copertina: “Il testo
nasce con l’intento di valorizzare il patrimonio storico e artistico del
cimitero di Ganna. L’occasione viene data dalla ristrutturazione di un’edicola
funeraria in cotto, appartenente alla famiglia Orelli. A partire da questo
progetto di restauro, curato da Mauro Manzoni e Stefano Russo, abbiamo voluto
mettere in risalto tutti gli artisti – e le opere ad essi legate – per buona
parte sepolti a Ganna, piccolo ma importante sacrario dell’arte italiana. Pochi
cimiteri possono vantare il fatto che un artista rinomato quale Vittorio Grubicy
de Dragon, il padre del Divisionismo italiano, dedichi loro ben due tele.
Grubicy era in stretta amicizia con Giuseppe Grandi, una delle figure più
autorevoli della scultura italiana della seconda metà dell’Ottocento, nato e
sepolto a Ganna. Il libro è stato strutturato con un taglio divulgativo e
originale, che si ispira all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Non
è un testo scientifico ma letterario, dove si intrecciano episodi reali ed
immaginari. L’abbiamo perciò suddiviso in parti, consacrate ai personaggi, che
parlano della loro vita e delle loro opere, cui sono associati degli epitaffi,
redatti dai poeti Gianfranco Galante e Umberto Belardinelli. (foto in basso)”
Il
testo è corredato da un ricco apparato fotografico e da un serie di tavole in
china, realizzate dalla classe 4^A di grafica del liceo artistico varesino,
lavoro coordinato dalla docente Rosalia Azzarello, nell’ambito di un
laboratorio di PCTO alternanza scuola-lavoro, progetto interdisciplinare che ha
visto la supervisione del fumettista Corrado Roi. Tavole davvero pregevoli,
realizzate da Ginevra Amelotti, Giada Antonini, Matteo Yves Assamoi, Beatrice
Bau, Asia Cattarin, Giulia Confessore, Sara Conforto, Ella Clara Di Ciccio,
Filippo Fochi, Martina Morassi, Roxy, Maria Grazia Tocco, Andrea Torri, Lara
Ranieri e Zoe Merlino. Il momento culturale è stato arricchito dall’intervento
dell’attore Gaetano Giovi (che ha riportato all’attualità la figura di Giuseppe
Grandi, autore del monumento alle 5 giornate di Milano) e da un contributo musicale di Elisa e Francesca, chitarra e voce (foto).
Fra
gli altri, Alberto Bertoni ha voluto ringraziare Gabriele Scazzosi, già docente
di scultura al ‘Frattini’ di Varese, che ha indirizzato i numerosi attori di
questa bella ‘rappresentazione culturale’ verso il piccolo camposanto della
Valganna, meritevole di essere valorizzato. Ecco allora un altro esempio
concreto di attenzione al territorio, alla sua storia artistica, che per
fortuna non sempre è destinata ad essere invasa dalle erbacce e dall’incuria,
dimentichi di un passato che non merita l’oblio. Abbiamo quindi una Spoon River
varesina, dove c’è chi ‘dorme’ sulle prealpi, le nostre amate colline.
martedì 17 maggio 2022
Man Ray e Debora Barnaba
E’
di ieri, lunedì 16 maggio, la notizia che è stata battuta all’asta la
fotografia di Man Ray (1890-1976, pittore, fotografo, regista…), ‘Le violon d’Ingles’
(nudo di donna, modella Alice Prin detta Kiki de Montparnasse) per la
straordinaria cifra di 12,4 milioni di dollari, record per una fotografia. La
notizia relativa alla celebre donna-violino, ripresa di schiena da Ray, oltre
ad altre considerazioni mi ha fatto tornare alla mostra aperta in questi giorni
in galleria Ghiggini (via Albuzzi, Varese), dal titolo ‘Body Architecture’, che
espone foto di Debora Barnaba.
Già
ne ho parlato in questo blog. Voglio aggiungere qualche nota personale.
Faccio
riferimento principalmente alla foto che qui vedete. Si tratta di un autoscatto
in bianco e nero. Debora ha posato per se stessa e per la sua idea di corpo, di
carnalità. Michele Liuzzi ha curato la parte scenografica, la cornice, l’architettura
sulla quale si posa la donna.
Prima
impressione: il piacere alla vista di un nudo di donna, un corpo giovane, atletico. Ho immaginato i punti centrali del piacere come un volto: gli
occhi, la bocca. Anche perché il viso di Debora è semicoperto dal braccio,
spunta un occhio che ci guarda, una porzione di bocca. Fra le foto esposte,
questa è la foto dove il viso è più riconoscibile. La fotografa ci ha mostrato
il suo corpo ma ha tenuto per sé il volto, i lunghi capelli neri, capelli poi
sacrificati in un taglio radicale con cambio di colore.
Seconda
impressione: il piacere della vista comprende il desiderio di impossessarsi di
quel corpo, di entrare in contatto.
Terza
impressione, o meglio, domanda: quanto coraggio è stato necessario per arrivare
ad esporsi così, sull’altare dell’arte? So che Debora Barnaba non è la sola
fotografa che ha fatto questa scelta, come so bene che il nudo di donna è
frequentissimo nella storia dell’arte, pittura, scultura, fotografia. Ma qui
stiamo all’autoscatto e alla scelta di mostrarsi in pubblico, per testimoniare
quanto un nudo femminile possa essere espressivo, generare emozioni, raccontare.
Sul coraggio dovrebbe esprimersi la protagonista, io posso solo immaginare che sia
stato necessario credere con fermezza nel proprio lavoro.
...e se non vuoi, è ancora così
Di fronte alla nostra riluttanza di bambini, obbligati a svolgere mansioni non gradite, i miei genitori solevano dire: "Se vuoi è così...e se non vuoi, è ancora così!" Un imperativo educativo che era - diciamolo - anche un'apertura al mistero che regge l'universo. Non tutto ha spiegazione, non tutto è gradito ma ci tocca. Mi è tornata alla mente la frase di mamma e papà leggendo che qualcuno ancora resta stupito: "Ma come? Mi dicono di pregare per la pace, io prego, e digiuno pure, eppure la pace non arriva, Dio non mi spiega, non mi accontenta..." Ho imparato dalla vita che è giusto pregare, che è un bisogno pregare, ma che restiamo sempre bambini che non capiscono, che non apprezzano, che faticano e che, con riluttanza, obbediscono al mistero.