Giovedì
27 maggio 1926
Quando
Piera iniziò il travaglio, per sgravarsi del quinto figlio, un giovedì mattino
nel quarto anno dell’avventura fascista in Italia, si augurò che fosse per lei
l’ultima sofferenza da parto.
La
loro camera da letto, sua e di Luigi, confinava con il Circolo Cooperativa
L’Avvenire di Sant’Ambrogio Olona, che aveva l’entrata principale in piazza
Milite Ignoto e quella secondaria in via Oriani. Era mattina ma già qualcuno faceva
festa lì al Circolo, una settimana di celebrazioni con brindisi per ricordare i
vent’anni di fondazione; era infatti il 24 maggio del 1906 quando, davanti al
notaro della provincia di Como dottor Guglielmo Piatti, con residenza in
Barasso, venne firmato l’atto costitutivo della Società Anonima Cooperativa di Sant’Ambrogio
Olona detta l’Avvenire. Venticinque i soci fondatori: tre possidenti, due
meccanici, nove contadini, un calzolaio, due giardinieri, tre muratori, due
vetturali un fonditore, un fabbro ferraio e un tagliatore di tomaie. Primo
presidente fu eletto il signor Zanzi Pasquale fu Giulio.
Piera
era madre di Lisa, di Miriam, di Fabio, di Gino e adesso nuovamente a penare,
un altro figlio, dono di Dio e delle voglie del suo uomo, della sua
arrendevolezza nel segno della pazienza, seguendo i consigli di mamma
Celestina: “L’è n’omm…ghè da capìll…”
I
suoceri erano morti, arrivò sua madre, la levatrice, Fabio, Gino e Miriam erano
a scuola, Lisa al lavoro, Luigi dai Toeplitz, due vicine di casa erano pronte
ad assisterla, Piera ebbe paura e voglia di dormire.
“Su,
su fa la brava” disse la levatrice. “Fa no la stüpida…Te sètt ma l’è la
storia…Pàsa tuscòss…”
Con
le gambe larghe guardò il crocifisso sopra il comò, chiuse gli occhi, con il
pollice si accarezzava la fede d’oro, piatta, cinque millimetri di larghezza,
pensava a quella vita in più in famiglia, si consolava perché gli altri
crescevano in fretta e avrebbero portato qualche lira in casa, come Lisa. Miriam
aveva undici anni, era una bambina devota e ligia. Il dolore cresceva, cercava
di distrarsi, la scelta più rassicurante, efficace era la preghiera.
Le
donne trafficavano, mamma Celestina le accarezzava la fronte, i capelli…”Tusa,
tusa…Brava la me tusa…”, il travaglio si prolungava, fece in tempo a tornare
Luigi, a mangiare di malavoglia un boccone, a spiare in camera, a riprendere il
lavoro mentre la festa al Circolo si preparava per il culmine serale.
Mauro
non attese il volo delle rondini di maggio, che a sera si radunano per fare
strage di moscerini. Non attese il tramonto né i brindisi nel salone confinante
con la camera dei patimenti di Piera. Scivolò alla vita a metà pomeriggio, poco
dopo i quattro colpi pesanti delle campane del vecchio campanile in via Sacro
Monte, torre sorta sul fianco dell’antica parrocchiale, che recava in cima non
una croce ma la statua di Sant’Ambrogio con lo staffile in mano.
“’N’altar
masc” disse la levatrice.
Il
neonato venne lavato. Rosso di pianto, venne adagiato fra le braccia di Piera,
che lo accolse con un sorriso sofferto.
“Ga
manca nagòtt” disse Celestina.
“L’è
‘n bell turèll” disse la levatrice.
Ai
ragazzi fu concesso di salutare il fratellino, arrivò anche Lisa dal lavoro,
ultimo il padre, che entrò in camera togliendosi il cappello. Luigi aveva
addosso tutto lo sporco di un magütt, fu invitato a darsi una pulita prima di
avvicinarsi troppo. Vide che non era stato necessario chiamare il medico e
questo gli bastò. Per lui maschio o femmina era lo stesso.
Andò
a lavarsi. Insieme al piacere dell’acqua, che gli toglieva di dosso la fatica,
provò la gioia di essere nuovamente padre. Pensò che sarebbe andato al Circolo,
gli amici gli avrebbero offerto da bere, o avrebbe offerto lui, senza
ubriacarsi, a tanto non arrivava mai.
(Fuga da Charleroi)
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