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Lo specchio
di carlozanzi
Sono lo specchio
di un parrucchiere da uomo. Sono qui da una vita. Ho visto migliaia di volti,
di sguardi, di capelli cadere, di tristezze salire. Conosco ogni genere di
taglio, ogni qualità di capello, ma soprattutto conosco, e bene, le sottigliezze
di un presagio che, di anno in anno, di taglio in taglio, si concretizza in
timore, sospetto fondato, quasi certezza, certezza e infine pena.
Contro di me
cozzano gli sguardi di chi scruta, cerca conferme di stabilità, nota zone di
luce, spazi che si aprono verso un futuro per nulla promettente.
Le
prime tristezze giungono sui vent’anni. E sono le più cupe. Si capisce che non
potrà durare, il malcapitato lo sa e allora, di seduta in seduta, aguzza la
vista e insieme si immerge nelle profondità della depressione da calvizie
precoce. Infine la rabbia, con rapata senza censura, al grido: “Calvo è sexy!”
E qui si consuma la prima selezione naturale. Mi soffermo allora sugli sguardi
temporaneamente soddisfatti di chi ha passato il primo giro di vite e può
guardare al futuro con parvenze di ottimismo. Ma se lo sfoltimento è più lento,
dando in apparenza l’agio di abituarsi al cambiamento, in verità il lutto è
sempre grave, e l’elaborazione comunque lunga e penosa. Sicché gli sguardi si
fanno sospettosi, più penetranti, indagano, curano, tracciano immaginarie linee
che non andrebbero mai valicate, spostano i confini, si abituano a nuove
visioni. Infine, presto o tardi, ma sempre a denti stretti, accettano.
E’ un duro
lavoro il mio. Contemplare, impotente, la melanconia di generazioni di
insoddisfatti non è facile. A volte, quando mi par di capire che dietro quei
due occhi persi vi sia davvero una lancinante pena esistenziale, lascio andare
qualche lacrima. So che tutti pensano si tratti di gocce di profumo spray
finite sullo specchio, di schizzi d’acqua. Si tratta, in verità, della mia muta
compassione.
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