Caro Marco
Varese, 20 giugno
2013
Caro Marco,
ancora una volta la
scrittura mi aiuta, mi permette di capire, di ricordare, di sostare. Mai avrei
pensato di scrivere a te, ora, ma nella vita il mai non esiste. In questo
momento, che mi vede ancora rifiutare la notizia, non coglierne l’effettiva
portata, che mi trova in fase di totale speranza, alcuni sentimenti prevalgono.
Anzitutto l’ammirazione nei tuoi confronti. Stai reagendo come io non saprei
fare. Nel modo giusto, credo, vivendo come nulla fosse, nella speranza e nella
dimenticanza di tutto il peggio che potrebbe essere. Non è facile. “E’ già un
miracolo questo” ha detto Carla ieri, da voi, a cena.
L’altro giorno dicevi:
“Prima o poi tutti devono combattere la loro battaglia. Ora è il mio turno. Non
è giusto nemmeno pensare che capiti sempre agli altri.”
Io osservo, senza parole,
i primi colpi di questa atroce battaglia.
Ieri sera hai detto fra
l’altro: “Dicono che il Signore non ci manda prova che non siamo in grado di
sopportare. Speriamo sia vero, Io chiedo di poter vivere il tempo che mi si
apre davanti con onore, onorevolmente. Prego per questo.”
In te, caro Mock, leggo
poca rabbia, io ne avrei tantissima, non vorrei vedere nessuno, mi chiuderei
nel mio dolore, animale ferito chiuso in un angolo, e invece tu cerchi la
compagnia, sei in grado di dimenticare, di minimizzare i fastidi che hai, di
sopportare quell’estraneo di dodici centimetri che sta crescendo in te. In
silenzio osservo i tuoi gesti, ascolto le tue parole. So che mi serviranno. Sto
imparando da te, dalla tua sincerità. E prego, perché altro non so fare. Ti
offro la mia ridicola, scarsa umanità.
La musica ti sta
aiutando. Che tu possa ascoltarla, crearne il più possibile.
15-continua
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