Venerdì 31 luglio 2015
Muore luglio, moriamo tutti un po’ ogni giorno, ma tu più di noi,
carissimo Marco. E lo sai. Molto bene. Ieri sera sono tornato all’Humanitas, il
secondo intervento è riuscito, ora speriamo nei valori. La pezza è stata messa.
“Certo non si può dire che lei non sia un uomo con le palle!” Queste
le parole del primario che ha fatto il doppio intervento, “Anche per questo ho
voluto fare un secondo tentativo.” Come a dire: se lo meritava. Il suo coraggio
mi ha spinto a non mollare.
Ieri eri abbastanza lucido, vuoi che i medici ti dicano chiaramente
qual è la situazione, quanto puoi fare, quanto ti resta da vivere. “Mi
interessa che mi dicano: A, B, C. Questa è la situazione, questa la
prospettiva.”
Chissà dentro di te che rivoluzione, che caos, che rabbia, che voglia
di piangere e di urlare. Ma ciò che incontro è un uomo mai disperato,
rassegnato, rabbioso. Un uomo che vuole vivere sino all’ultimo al meglio, che
vuole testimoniare anche nel momento più duro la positività della vita: vale
comunque la pena di affrontare questo viaggio. E se lo dici tu…Pur nella tua
condizione non ti chiudi, non stai muto e rancoroso ma pensi ancora agli altri.
Io guardo allibito, triste ma non disperato. Poi stringo la tua mano
disidratata. Guardo i tuoi occhi gialli. Alzi le spalle, come a dire: ‘Ragazzi,
è così, questa è la mia storia, questo il mio destino. Siamo al dunque.’
Parto malvolentieri per la montagna. Ma so che sabato prossimo ti
ritroverò, a casa, ancora deciso a non mollare.
Domenica 2 agosto 2015
Caro Mock,
mentre salivo in bici allo Stelvio guardavo le pareti di roccia, sopra
Premadio. E pensavo all’invidia che ho provato quando, militari io e te, tu eri
riuscito ad imboscarti al corso roccia di Colfosco, in val Badia. Io ci avevo
provato col corso sci (con successo) ma la mia richiesta di corso roccia era
stata respinta. Avevo indossato la maglietta blu ‘Time to fly again’, la tua
maglietta. Nei momenti più impegnativi (un tratto al 14% dopo 10 km di salita,
e alla fine, gli ultimi km, sotto un leggera pioggia, nebbia e freddo) ho
pensato a te, al tuo coraggio. Quello è coraggio, non il mio.
E oggi, verso lo Zallingher, ancora e sempre il pensiero a te. Non
possiamo essere felici, nemmeno qui, nel paradiso dell’Alpe di Siusi. Non
possiamo, non è giusto ma qui non è questione di giustizia, è ciò che si prova.
La tua croce non si allontana. E’ forte l’impressione che non ci sia giustizia
nella nostra salute, nel nostro appetito, nelle nostre opportunità, nella
nostra vacanza. E i dialoghi con Carla, insieme a lunghi silenzi imbarazzati
(non è facile parlare di te, della tua malattia), sono dialoghi spesso
malinconici. Nel bosco dell’Alpe, poco prima di sbucare sui pascoli che spaziano
e regalano all’orizzonte lo Sciliar e lì vicino il Sasso Piatto, così dicevo a Carla:
“I genitori in fondo sono degli assassini, condannano a morte i loro figli. Ma
hanno un solo modo per attenuare questa grave responsabilità, anzi due modi:
mostrare ai loro figli che la vita ha un senso ed essere testimoni, con la
vita, che la morte fa paura ma si può affrontare con coraggio, la si può
guardare negli occhi.” E Carla ha detto: “Marco sta facendo la sua parte.” Sì,
sei un esempio per le tue figlie, e per noi. Poi siamo sbucati sull’ampio
pianoro, e il bello ci ha distratti un attimo. Ci ha rappacificati un poco col
mondo. Ma è stato un attimo, come un attimo è la vita.
29-continua
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