domenica 1 novembre 2020

Marco, 5 anni dopo - 30


 

Martedì 4 agosto 2015

Carissimo Marco, sono sceso dalla montagna, alle dieci e trenta ero davanti al tuo letto, avevi gli occhi chiusi, le labbra piegate verso il basso come per una smorfia di disappunto, ogni tanto aggrottavi le ciglia, come chi alza le spalle e dice: “E’ così, che ci volete fare.” Mi sono seduto, avevo bisogno del contatto con la tua mano, ho appoggiato la fronte sulle tue dita, eri caldo, ho sentito in quel contatto tutta l’ingiustizia di questa vita, guardando il tuo viso tirato tutto l’assurdo del mistero di sofferenza che ci sovrasta.

In tanti sono venuti oggi a ringraziarti per quello che ci hai regalato. Pensavo: ‘Che almeno non soffra più...che almeno non capisca…’ Io e Gabriella abbiamo parlato con la dottoressa che non ha lasciato speranza, speranza che avevamo perso da tempo. Pochi giorni, uno, due, tre, quattro… “Non si può dire, è giovane…..Ma è questione di giorni…” Sono tornato in camera, ti eri messo seduto, gli occhi persi, hai chiesto da bere, Gabriella ti ha inumidito le labbra, hai bevuto un po’, nel mio cuore una pena immensa e la speranza che non fossi cosciente, perso in un limbo senza dolore e consapevolezza. Hai sofferto già troppo. Poi ti sei disteso di nuovo, hai chiuso gli occhi. Mi sono allontanato, dopo qualche tempo hai voluto ancora sederti, avevi sete, io non ero presente, Carla mi ha detto che l’hai salutata, le hai detto “Vado”. “Dove?” ha chiesto Carla. E tu hai alzato la mano destra, come a dire: “Lassù.”

Vederti soffrire, capire che hai attimi di lucidità, immaginare i tuoi pensieri senza parole, immaginare che forse stai pregando, non so, è per me insopportabile. Ci hai dato grandi esempi di fede ma oggi la fede se ne va. Eppure prego, con il capo piegato sulla tua mano, perché altro non so fare. E’ una preghiera-respiro, è come se il mio respiro si nutrisse di ossigeno e preghiera. Poi l’abbraccio con la tua Marta, con la tua Cecilia, con le mie figlie, tutte lì vicino a te.

Pensavo di fare la notte con te, rimane Gabriella, io forse domani, ma domattina presto sarò lì. Io e Guido siamo andati da papà Mario, abbiamo detto nuda e cruda la verità, è stato il vecchio a consolarci, a dire che è la vita, che sapeva che sarebbe finita così. Temevo che crollasse, perdere un figlio è il peggio che possa capitare a un genitore. Domani verrà anche lui all’Humanitas con Guido.

Oggi hai ricevuto l’unzione dei malati.

Tutto mi sembra così strano e doloroso. La tua immagine sofferente è sempre nei miei occhi. Non se ne va. E tornano, commoventi, tutti i tuoi gesti di generosità, le tue parole evangeliche, la tua voglia di vivere, ciò che ci hai regalato soprattutto in questi due anni. E ogni ricordo, ogni azione, ogni parola mi porta il pianto.  

Ieri, in cima al Piz Boè, alla Capanna Fassa che tu tante volte hai raggiunto, Carla ed io ci siamo guardarti, abbiamo considerato che mamma Ines è morta in agosto, a 56 anni: agosto, 56 anni.

“Se così fosse, non crederei al caso” ha detto Carla.

Mamma ti ha voluto? Ma è in suo potere? E perché, se stavi così bene sulla terra? Se sulla terra avevamo bisogno di te? Della tua musica? Del tuo talento? Che senso ha questo rapirti a noi?  

30-continua

 

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