martedì 3 novembre 2020

Marco, 5 anni dopo - 33


 

Sabato 8 agosto 2015

Sono le sei del mattino del giorno del tuo funerale. Il cielo è sereno e fa caldo. Ripenso alla giornata di ieri, in bici al Campo dei Fiori, alle otto ero supino sulla panca in pietra della cima, in preghiera per te, con il primo sole che scottava e tanta nostalgia. Due ore dopo a piedi, io, Carla, Caterina, lungo la rizzàda del Sacro Monte, altre preghiere e il pensiero a quella sera, quando hai tenuto una delle tue ultime lezioni di vita, seduto sul muretto della Settima Cappella. Nel primo pomeriggio il nostro incontro, alla sala del Commiato. Fulvia ha detto che somigliavi a Gesù; è vero, il Gesù che abbiamo in mente nel film di Zeffirelli. Eri bello, sarà perché mi sono abituato poco alla volta a vederti cambiare, il viso tirato, il naso affilato, le guance scavata. Eri bello. Ti ho baciato. E sono tornato più tardi, non volevo lasciarti solo, anzi, solo non eri mai, tanti amici sono venuti, come centinaia e centinaia sono arrivati i messaggi via internet: me li aspettavo, non così tanti ma me li aspettavo. Ciò che tu sei stato in grado di farci vedere li merita, tutti, uno dopo l’altro. Infine la sera, il rosario nella chiesa vecchia, la chiesa della nostra prima comunione, della nostra cresima, delle sedie di paglia, delle Compiete la domenica pomeriggio con don Felice Guglielmetti, la chiesa preconciliare della comunione in ginocchio davanti alla balaustra, Messe in latino. Chiesa affollata. Don Carlo ha citato Paul Claudel: “Il nostro bisogno di spiegazione trova risposta in una presenza.” La presenza di Cristo Salvatore ci è necessaria, per non soffocare nell’ignoranza di senso e nella paura.

Oggi il tuo funerale, nel giorno del 229° anniversario della prima salita al Monte Bianco. Così ci ricorda Google. Il 6 agosto, giorno della tua morte, per la Chiesa Cattolica era il giorno della Trasfigurazione.  Più d’uno me lo ha fatto notare. Un segno?

Anch’io vorrei aggrapparmi ai segni, affidarmi ciecamente alla trascendenza per non soffrire troppo, per non confrontarmi con il tuo viso sofferente. A volte ci riesco, a volte no. Come stamani, quando alle 5.30 è suonata la sveglia e io, come sempre, mi sono messo seduto sul letto, le mani appoggiate al materasso, i piedi a cercare le ciabatte, seduto, un po’ intontito per il risveglio, seduto esattamente come ti sei messo seduto tu, martedì 4 agosto, quando ti ho rivisto scendendo dalla montagna. Io speravo tu fossi addormentato, incosciente, già in paradiso. E invece ogni tanto ti agitavi, e poi hai chiesto che ti aiutassimo a metterti seduto. Hai fatto un lamento, quasi un rantolo, hai chiesto da bere, mi hai guardato con occhi lontani e persi…Mi faccio del male a ritornare a quel momento? Come oso guardare in faccia alla morte? Dovrei scappare, non serve a nulla tormentarsi, sei volato ormai. E invece rimango, non per sfida, so già chi vincerà: solo per umanità. Perché in quel rantolo ho letto che tu eri presente, sapevi, capivi, ci vedevi, comprendevi che ti mancava poco. Ed è insopportabile avere davanti chi viaggia nella zona di confine, in quello spazio disumano, pazzesco, incomprensibile, inaccettabile che ci conduce verso il baratro. E per fortuna non ero presente quando hai detto a Carla: “Vado” e hai alzato la mano destra verso il cielo. Eri cosciente, con dentro tutto il peso di due anni di croce: ci salutavi con l’ultimo fiato e ci mostravi anche lì che credevi ad un destino superiore, infinito. Da oggi sino al giorno della mia morte ogni volta che mi sveglierò e mi metterò seduto sul letto ti rivedrò, proverò un brivido, una lacerazione e subito scapperò verso il cielo: come potrei iniziare diversamente la mia giornata terrena?

Ti voglio bene, fratellino mio


33-continua

 

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