Ho scritto questo racconto breve, ripensando ad uno degli ultimi concerti di mio fratello Marco.
L’ultimo ballo di un concerto
memorabile
Te
lo devo ripetere un’altra volta? L’ennesima? Guarda che ridico ciò che hai già
sentito. Vuoi altri particolari? Non ti capaciti che sia scomparso?
Ricominciamo
da capo. Quel bambino in principio si è avvicinato agli strumenti, ha
accarezzato il contrabbasso di Zampa, la chitarra di Doug, ha toccato la gamba
di Little Annie perché non arrivava al violino, Josh si è abbassato, gli ha
sfiorato i capelli e gli ha fatto assaporare il gusto del mandolino; il
ragazzino si è messo in piedi, appoggiato al microfono di Ron, che lo ha
guardato male, preso nella sua canzone, poi è andato da Mock, che gli ha
sorriso mentre si destreggiava col banjo. Saranno state le ventidue e trenta,
il concerto alla Siebter Himmel era iniziato da venti minuti, non di più.
Brusio, le cameriere in abiti tirolesi che sfrecciavano con birre e panini, una
decina di persone ad assistere, le altre sparse e distratte in differenti locali,
alcuni nella terrazza coperta, dal cielo nero sgocciolavano i resti di un
modesto temporale. La bella musica della Piedmont inzuppava il locale come una
spugna di mare, satura d’acqua. Quel bambino sentiva il ritmo, si è
allontanato, ha cominciato a picchiare i piedi a ritmo, quindi a muoversi con
ritmo, poi a girare in cerchi, seguìto a distanza dal padre, che sorrideva.
E
Mock, a dirigere, a presentare i canti, più che altro il titolo, a chiamare gli
assoli…go Doug, go Zampa..alè Josh….vai Little Annie……go Ron…Poco alla volta ho
inteso che quel bambino amava particolarmente Mock, gli era simpatico: sarà
stato il suono caratteristico del banjo americano a cinque corde, sarà stato il
suo modo di guardarlo, di considerarlo, di amarlo. Amore chiama amore. E poco
alla volta il bimbo ha concentrato i suoi balli vicino a Mock, quasi si fosse
dimenticato degli altri: lì la musica era migliore. Alle ventitré e dieci -sono
preciso perché avevo guardato l’orologio poco prima- il padre ha cercato di
allontanare il figlio, era tardi e dovevano tornare a casa. Ma il bimbo ha
protestato e il padre è stato comprensivo. E’ arrivata la madre e ha preso
anche lei le parti del ragazzino. Eccoci
al turno del set di Doug, all time music, ancora più adatta al ballo rispetto
alla precedente, folk & bluegrass. E il bimbo lo ha capito subito. E’ stato
allora, diciamo alle ventitré e trenta, che il bimbo si è avvicinato a Mock e
gli ha fatto intendere che voleva ballare con lui. Mock, che in quelle canzoni
suonava la chitarra acustica, si è staccato dal microfono, si è messo in mezzo
alla sala e, continuando anche a suonare, a fare assoli, arpeggi, controcanti e
a dare ordini, ha principiato il ballo col ragazzino. E rideva e cantava. I
due, avrebbero potuto essere nonno e nipote, erano la rappresentazione vivente
e danzante della felicità. Saranno andati avanti una decina di minuti, anche
quindici. Era vicina la mezzanotte quando il bimbo ha preso per mano Mock, lo
ha fatto abbassare, gli ha lasciato un messaggio nell’orecchio e i due, ne verbum quìdere, senza dire una
parola, si sono allontanati, seguiti dai genitori del bimbo. Noi tranquilli,
sì, vagamente sorpresi ma tranquilli. Perché preoccuparsi? Un fuoriscena
divertente, commovente direi.
La
paura è arrivata dopo, quando i due genitori sono tornati senza bimbo e senza
Mock, sereni come avessero appena gustato un boccale di birra.
Del
bambino e di Mock non si è saputo più nulla. E sono passati dieci giorni.
Certo,
come no, capisco e comprendo, era tuo marito, l’uomo che amavi. Ma questa è la
cronaca.
Tutto
il resto è Mistero.
38-continua
Nessun commento:
Posta un commento