Riflessi sulla croce
Fa
caldo ma si sta bene. La pendenza si fa più aspra, lascio la sella e mi alzo
sui pedali. Il mio sguardo è al manubrio, alla strada, alla ruota. Amo questa
posizione di fatica, l’ho sempre amata anche quando era solo uno studio
televisivo, la ammiravo da altri ciclisti, Giri d’Italia in bianco e nero, Eddy
Merckx, Felice Gimondi, Francesco Moser. Li adoravo quando, Alpi o Pirenei era
lo stesso, li vedevo arrampicarsi, scattare, lottare fra pareti di neve, dentro
boschi di larici, in salita verso le pareti di dolomia o il granito. Per me era
solo quello il ciclismo. E’ arrivato presto il mio momento, una bici da corsa,
il gesto del grimpeur. E anche stamani, alle otto, nel caldo piacevole di un
sabato qualunque di una primavera che muore, come sto morendo io (tutti, prima
o poi, si muore, chiariamolo subito), scollo il culo dal sellino, premo sui
pedali, guardo la cima. Ma amo anche questa catenina che mi balla davanti agli
occhi, una catenina d’oro, una piccola croce d’oro. Ho sempre amato, anche sul
collo degli altri, la catenina del ciclista che traballa, che segue la
pedalata, che penzola. Il sole, appena oltre la linea dei castagni, la
illumina. Riflessi sulla croce. Penso alla croce. Io non sono in croce, sono ai
suoi piedi, come ogni uomo ragionevole; ogni uomo non può che stare ai piedi di
una croce, quando non ci è inchiodato sopra. Sto ai piedi ma guardo chi è
inchiodato, e più mi è amico più lo vedo bene, sento il suo respiro, l’odore
dei suoi piedi, i suoi lamenti, avverto la sua fatica che bagna, in gocce di
sudore, la mia fronte. Bacio questi piedi, mi aggrappo al legno, vorrei
arrampicarmi come fosse un albero della cuccagna, ma qui nessuno è felice.
Continuo
a pedalare, i riflessi mi accecano, oro luminoso. La piccola croce danza
nell’aria. La preghiera segue il suo ritmo, s’adegua al movimento dei pedali,
batte continua come il mio piccolo cuore.
39-continua
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