giovedì 29 ottobre 2020

Marco, 5 anni dopo - 27


 

Sabato 25 luglio 2015

Caro Marco, ieri sono tornato all’Humanitas, finalmente hanno fatto la TAC, ti hanno cambiato l’antidolorifico, ora ancora per bocca, molto forte, trenta volte più forte della morfina, ma non ti ha tolto del tutto il dolore all’addome, un dolore 4, hai detto, nella tua scala da 1 a 10.

“Siamo già arrivati a questo punto” hai detto, accarezzandoti il ventre gonfio. Una frase con poca speranza. Ho cercato di parlare della tua musica, della Piedmont, mi hai fatto capire che stai già dando indicazioni perché la tua creatura abbia un futuro, perché non ci siano troppi galli nel pollaio.

Me ne sono andato con due distinti sentimenti: da un lato volevo scappare da quel tuo calvario, dall’altro volevo rimanere, per alleviarlo….ma cosa posso alleviare io?

 

 

Lunedì 27 luglio 2015

Caro Mock, ieri ancora da te. Prima la vita che cresce, con la nipotina Rebecca Zoe a Crema, poi il nostro incontro. Dicono che Dio non mandi sofferenze, dolori troppi forti per la nostra sopportazione. Lo dicevi anche tu, agli inizi di questo calvario, due anni fa. Non credo che il dolore venga da Dio, altrimenti sarebbe un’altra prova della sua inesistenza, e dell’inutilità per me. Tu stai soffrendo troppo. Il tuo calvario dura da due anni. E so bene che qualcuno sta soffrendo anche più di te, se è possibile, ma a me interessi tu. Mio fratello.

I tuoi occhi gialli per l’ittero, per la bilirubina che non quadra mi fissavano. Ieri ho letto in quegli occhi stanchi la tua paura, che è anche la mia. Ma la tua è la paura vera, ci sei tu in quel corpo che ti tradisce, su quel letto d’ospedale. E per quanto non faccia che pensare a te, io sto bene, lo capisci? C’è un’enorme differenza. Hai voluto che ci fermassimo a cena con te, non volevi restare solo, avevi bisogno di noi tre, io, Carla, Gabriella. Gli antidolorifici forse sono troppo forti, il dolore è sotto controllo ma tu sei stanco, inappetente, a volte non lucido, non riesci a fare pipì, sei bloccato, timoroso. Hai trovato un attimo di pace sdraiandoti sul letto. Ti accarezzavi il ventre gonfio per l’ascite. Anche Gabriella lo faceva. Io ti accarezzavo le gambe magre, bianche. Che contrasto fra il mio braccio abbronzato e le tue gambe pallide. Hai detto: “La vita se ne va, è così…” Che potevamo dire?

Mangi a fatica, non gusti più nulla, non c’è conforto, non c’è speranza. “Lo dico che le cose non vanno, e se lo dico dovete credermi. Non sono certo il tipo che se appena sta bene non si dà da fare…”

Alle 21 eri più tranquillo, meno impreparato alla notte. Siamo andati via. Sulla tangenziale il traffico della domenica sera. Troppe auto per la via. Troppa sofferenza all’Humanitas.

27-continua

 

 

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