Sabato 25 luglio 2015
Caro Marco, ieri sono tornato all’Humanitas, finalmente hanno fatto la
TAC, ti hanno cambiato l’antidolorifico, ora ancora per bocca, molto forte,
trenta volte più forte della morfina, ma non ti ha tolto del tutto il dolore
all’addome, un dolore 4, hai detto, nella tua scala da 1 a 10.
“Siamo già arrivati a questo punto” hai detto, accarezzandoti il
ventre gonfio. Una frase con poca speranza. Ho cercato di parlare della tua
musica, della Piedmont, mi hai fatto capire che stai già dando indicazioni
perché la tua creatura abbia un futuro, perché non ci siano troppi galli nel
pollaio.
Me ne sono andato con due distinti sentimenti: da un lato volevo
scappare da quel tuo calvario, dall’altro volevo rimanere, per alleviarlo….ma
cosa posso alleviare io?
Lunedì 27 luglio 2015
Caro Mock, ieri ancora da te. Prima la vita che cresce, con la
nipotina Rebecca Zoe a Crema, poi il nostro incontro. Dicono che Dio non mandi
sofferenze, dolori troppi forti per la nostra sopportazione. Lo dicevi anche
tu, agli inizi di questo calvario, due anni fa. Non credo che il dolore venga
da Dio, altrimenti sarebbe un’altra prova della sua inesistenza, e
dell’inutilità per me. Tu stai soffrendo troppo. Il tuo calvario dura da due
anni. E so bene che qualcuno sta soffrendo anche più di te, se è possibile, ma
a me interessi tu. Mio fratello.
I tuoi occhi gialli per l’ittero, per la bilirubina che non quadra mi
fissavano. Ieri ho letto in quegli occhi stanchi la tua paura, che è anche la
mia. Ma la tua è la paura vera, ci sei tu in quel corpo che ti tradisce, su
quel letto d’ospedale. E per quanto non faccia che pensare a te, io sto bene,
lo capisci? C’è un’enorme differenza. Hai voluto che ci fermassimo a cena con
te, non volevi restare solo, avevi bisogno di noi tre, io, Carla, Gabriella.
Gli antidolorifici forse sono troppo forti, il dolore è sotto controllo ma tu
sei stanco, inappetente, a volte non lucido, non riesci a fare pipì, sei
bloccato, timoroso. Hai trovato un attimo di pace sdraiandoti sul letto. Ti
accarezzavi il ventre gonfio per l’ascite. Anche Gabriella lo faceva. Io ti
accarezzavo le gambe magre, bianche. Che contrasto fra il mio braccio
abbronzato e le tue gambe pallide. Hai detto: “La vita se ne va, è così…” Che
potevamo dire?
Mangi a fatica, non gusti più nulla, non c’è conforto, non c’è
speranza. “Lo dico che le cose non vanno, e se lo dico dovete credermi. Non
sono certo il tipo che se appena sta bene non si dà da fare…”
Alle 21 eri più tranquillo, meno impreparato alla notte. Siamo andati
via. Sulla tangenziale il traffico della domenica sera. Troppe auto per la via.
Troppa sofferenza all’Humanitas.
27-continua
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