Sono
seduto in sala. Davanti a me il tavolo di frassino. Sono seduto per terra, oggi
sul parquet, allora, il trenta aprile millenovecentottantuno, sulla moquette
color carta da zucchero, in tinta con il soffitto. Allora il tavolo di frassino
sapeva di legno nuovo, aveva una tinta più chiara dell’attuale, aveva intorno
pochi mobili, pareti fresche di pittura e su due lati opposti io e la mia
futura moglie: ci saremmo sposati il giorno dopo. Sedevamo al tramonto di quella
sera di primavera, nel cuore della primavera della vita, con la primavera che
ci sbocciava dentro. Sedevamo guardandoci negli occhi (non sempre, qualche
volta), io tenevo i gomiti appoggiati al legno e il mento a riposarsi sulle
mani. Avevo un principio di crampi allo stomaco e un mal di testa veniente,
sintomi di quella eccitazione prenozze.
Non
era tutto perfetto. Certo, i mobili erano nuovi e così le lenzuola, le
forchette, i piatti…il pentolino per il latte….persino le pattine e i canovacci
di tessuto grezzo, un regalo della bisnonna della mia futura sposa. Ma qualcosa
difettava: ad esempio l’idraulico doveva completare i suoi lavori, li avrebbe
conclusi giorni dopo, mentre noi viaggiavamo nel centro dell’Italia, illuminati
dalla luna che non era tutto miele. Qualche incomprensione ci fu anche in quei
giorni, arrivavano dopo le non poche incomprensioni del fidanzamento, anticipavano
quelle che sarebbero giunte dopo. Non tutto era perfetto ma io ero
straordinariamente eccitato, felice, anche un po’ impaurito, stordito da un
senso di irrealtà. L’avventura mi pareva esagerata per me, e tutta quell’attenzione
intorno a noi….e perché no, anche il
sesso, certo, anche il sesso.
Oggi,
domenica quattro febbraio duemiladiciotto, sono seduto in sala, la stessa sala
di allora, davanti a me il tavolo di frassino, lo stesso tavolo di allora.
Trentasette anni fa il tavolo era lucido e sgombro, oggi è disordinato, ospita
il mio studio ambulante: notebook, macchina fotografica, quaderni, agende, fogli,
biro, cavetti, un disco esterno da molti gigabyte…ambulante perché ogni tanto,
anche più volte al giorno, devo spostare tutto nella mia camera per liberare il
tavolo, per riportare il tutto qui, sul tavolo, che non profuma più di legno
nuovo. Non sono solo, sto giocando con mia nipotina di quattro anni. Ogni tanto
mi imbambolo, guardo il tavolo, penso a quella sera d’aprile e lei se ne
accorge: “Nonno, giochi con me? Nonno giochi con me?”
“Sì,
scusa, sono qui….Ecco, tu prendi Melly e io prendo Zos, come li vestiamo?”
Ma
gli occhi tornano al tavolo e a quel tramonto, alla nostra stanchezza buona, ai
timori di non essere all’altezza, polverizzati dalla mazza della nostra giovane
età.
Sono
stato all’altezza di quei sogni? Dunque…come altezza ho forse perso un paio di
centimetri, causa schiacciamento dei dischi intervertebrali, però il peso è sempre
quello, ed è già qualcosa. Inoltre conservo ancora il bisogno di pregare. Ed è
molto.
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