Il film su Fabrizio De Andrè mi ha fatto tornare alla mente questo mio raccontino, scritto anni fa, dopo una visita alla città di Genova.
Via del Campo
di carlozanzi
Ho giocato al
gratta e vinci. Culo del principiante. Ho vinto una grossa somma, ho chiamato
mia moglie, ci siamo seduti intorno a un tavolo, le ho comunicato la buona
novella, lei mi ha detto: “Non dire cazzate!” poi ha visto il tagliando, ha
letto, ha ragionato, mi ha guardato negli occhi con una gioia a stento
trattenuta, ha detto con un calma strana: “Bravo! Una volta tanto hai fatto una
cosa giusta” e mi ha baciato sulla punta del naso.
Le ho detto:
“Che si fa?”
“Cioè?” ha
risposto.
“Di tutti questi
soldi.”
“Intanto
incassali, non c’è fretta.”
“Sai che ho già
una lista del commiato?”
“So che sei un
tipo originale.”
“Al numero sette
della mia lista c’è il ristorantino in via del Campo. Te ne avevo parlato, ricordi?”
“Vagamente.”
Faceva finta di
non saperlo perché di quella lista condivideva ben poco, certo non il
ristorante in via del Campo. Era una mia idea, nata ascoltando la canzone di
Fabrizio De Andrè, quella della puttana che vende a tutti la stessa rosa, e
quando eravamo ragazzi e la cantavamo in comitiva i più disinibiti cantavano
‘c’è una puttana’ mentre gli altri facevano un ridicolo lalala, come dei
puntini di sospensione. Mi dicevo: ‘Ci pensi, un bel localino in quella magica
Via, che fa girare tutto il tempo le meravigliose canzoni di Fabrizio. E magari
stanzette ai piani alti, per escort disponibili, pur che si paghi, come nella
canzone.’
La faccio breve.
Non ho convinto mia moglie, che ha concluso: “Senti, sono soldi tuoi, li hai
vinti tu, facci ciò che credi” e se ne è andata come un temporale; lei non l’ho
persuasa ma io a Genova ci sono venuto lo stesso. Per rendermi conto. Anche
perché in Via del Campo non ci ero mai stato. E ora sono qua, all’imbocco della
via dalla parte del mare. Si vede il porto vecchio. L’ho percorsa in su e in
giù tre o quattro volte, sarà lunga trecento metri. E sono deluso. Mi spiego:
deluso perché c’è poco De Andrè. Qui è come se una canzone non avesse reso
immortale questo caruggio sporco e
dagli odori guasti. Solo una scritta nera sul muro di un vico laterale (qui il
vicolo lo chiamano vico) porta una citazione da una canzone di Fabrizio. Si
sono dimenticati di lui. O forse no, hanno voluto che la via rimanesse come
l’ha vista lui sessant’anni fa, quindi nessun ritocco, abbellimento, lapide
alla memoria. La stessa puzza, non vedo però la puttana. Forse non è l’ora
giusta. Troppo presto, saranno sì e no le sei del pomeriggio. E sono stato
anche in Municipio, per sapere di eventuali negozi in vendita.
“Guardi” mi
hanno detto “spazi liberi non ce ne sono, sì, lei dice di aver visto delle
saracinesche abbassate, no, niente, non si vende..e poi, mi scusi, lei mi pare
una persona perbene, che ci vorrebbe aprire in Via del Campo? Ha visto la
fauna? Ha visto che brutta gente?”
“Pensavo a una
locanda…”
“Se vuole le
indico altri spazi in città…anche più confacenti…” e si è messo a picchettare
sulla tastiera del computer.
“No, no..lasci…mi
interessava solo Via del Campo.”
“Cambi zona, se
vuole un consiglio…e poi lì negozi non se ne possono aprire.”
Francamente sono
un po’ stordito. E ho caldo. E sete più che fame. Ma andarmene a casa così, con
questa brutta delusione, con tutti questi soldi che non so come investire. A
ben vedere di gente strana ne ho incontrata, diciamo d’altre nazioni, pochi
italiani, forse ai tempi di Fabrizio qui stavano più che altro genovesi….o
forse no, questo è un porto di mare, gente che va e gente che viene.
Osservo, mi
metto seduto sopra il gradino davanti ad una saracinesca abbassata, sto
abbastanza comodo. Cerco di selezionare gli odori, di pesce, di sale, di
verdura ammuffita, ventate di fumo che mi arrivano in faccia, soffiate
dall’alito di un uomo di colore seduto vicino a me, aiutate nel loro tragitto
dalla debole brezza che dal mare si incunea qui dentro come liquido in un
imbuto. Osservo, passa una bellissima ragazza, ai piedi le infradito, una
gonnellina corta, una polo bianca, l’uomo di colore che fumava poco lontano da
me lancia il muccio acceso, una traiettoria che il vento fa impazzire, finisce
sul piede nudo della bella ragazza che quasi inciampa, dà una pedata per
allontanare il bruciore, perde l’infradito che vola due metri più avanti, in
Via del Campo, e finisce in una pozza d’acqua sporca. Il nero fa un cenno con
una mano e un sorriso poco gentile, come a dire ‘Colpa del vento’ ma non chiede
scusa. La ragazza guarda sulle due rive della via, indaga, forse non ha capito
che è stato quell’uomo sui trent’anni, braccia muscolose, che sa ancora di
fumo; si accarezza il dorso del piede, cerca la scarpa leggera, la fa
sgocciolare, la ricalza, si allontana. Guardo quel maleducato, vorrei dirgli: ‘Belìn, almeno chiedere scusa!’ ma mi
hanno detto di non attaccar briga, in Via del Campo. Forse è stato il vento
davvero. Rosseggia ancora il mozzicone di sigaretta, vedo un tale, basso,
striminzito in panni decorosi, non l’avrei detto capace di tanto: invece questo
tipo strano, che cammina veloce, si blocca, da lontano valuta la lunghezza
della sigaretta consumata, si abbassa furtivo, la prende, fa due passi e fuma
quel poco che resta.
Ritrovo Fabrizio
e mi viene un’idea. Anche perché non posso andarmene via senza far nulla.
Chiedo notizie, m’allontano e torno un’ora più tardi. Ho acquistato una
chitarra, m’hanno garantito che è della stessa marca di quella che utilizzava
Fabrizio agli esordi; non me ne intendo, so che mi stanno fregando ma mi lascio
buggerare, tanto ho i denari. Nel prezzo ci ho fatto stare anche il capotasto,
corde metalliche perché mi ha garantito che Fabrizio usava una chitarra
classica ma con corde in metallo, non in nailon. Bene, torno in Via del Campo,
sempre all’imbocco dalla parte del Porto Vecchio, perché si intravvede il mare.
Comincio:
accordo lo strumento, ripasso qualche arpeggio, suono Blowing in the wind, senza cantarla, mi pare un oltraggio a
Fabrizio. Ripasso l’arpeggio di Via del Campo, non suono da almeno vent’anni ma
quello che si è imparato da giovani non scappa più. La canticchio a bassa voce,
però la parola puttana mi esce forte, guardo in alto, cerco quel paradiso al
primo piano. Ripasso La città vecchia (Nei
quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi…), mi scaldo la
voce, qualcuno lascia cadere vicino al mio piede destro venti centesimi. Vorrei
dire ‘Guardi che non ho bisogno, non sono qui per quello….” Mi pare un affronto
per chi è stato generoso con me. Tengo i quattrini.
Una ragazza si
ferma, anzi, sono in due, c’è anche una sua amica: non sono italiane. Una è un
cesso, l’altra è molto bella, come fanno a stare insieme due differenze così?
Una schiaccia l’altra, o no?
“Via del Campo,
Via del Campo, please!” e sorridono.
“Sorry, I’m not able…non la conosco
bene.”
Le vedo deluse.
“Ci provo”,
sposto il capotasto e via con il la minore, l’attacco solo musicale e parto “Via del Campo c’è una graziosa, gli occhi
grandi color di foglia, tutta notte sta sulla soglia, vende a tutti la stessa
rosa” e continuo, ogni tanto alzo lo sguardo, noto che le due ragazze
seguono le mie parole, cantano a bassa voce, mi abbraccia una gioia diffusa e
palpitante. Proseguo con più coraggio. Al termine della canzone ricevo applausi
da sei persone (se ne sono fermate altre quattro) e due euro di mancia. Mi
aspetto che chiedano il bis ma il gruppetto prosegue nel suo cammino. Guardo
verso l’uomo di colore, mi sorride, non riesco a tradurre quei suoi denti
bianchi.
E allora ho
fatto le cose per bene, sono entrato nella parte. Mi sono alzato in piedi, ho
messo i due euro e venti centesimi in un scatoletta che ho recuperato in un
cestino dei rifiuti, sono tornato al mio posto e ho riattaccato con De Andrè.
Via del Campo ma anche Marinella, La Canzone dell’Amore Perduto, la Città
Vecchia, La guerra di Piero, tutte quelle che mi ricordavo. Non ci crederete, è
passata un’ora, non si è fermato nessuno, non ho raccolto più nulla. E dopo
un’ora me ne sono dovuto andare, perché due vigili urbani di Genova mi hanno
invitato con gentilezza (hanno visto che ero ben vestito) a non proporre il mio
commercio esentasse in quella storica via del capoluogo ligure.
Me ne sono
tornato a casa felice. M’è bastato fare da tramite per un paio di minuti a
Fabrizio, far scorrere in quella sua via la sua magia, sentire le mie note
stentate arrampicarsi sopra muri scrostati, cercare primi piani paradisiaci,
consolare illusi con voglia di maritare.
Con voce
commossa ho detto ai ghisa genovesi: “Grazie lo stesso.”
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